Tassazione sull’oro e sulla compravendita di metalli preziosi da investimento

Le trattenute sulle plusvalenze generate da investimenti finanziari fanno parte di un argomento non sempre così noto alla maggior parte dei contribuenti: ancor meno si può dire dell’imposizione fiscale applicata sulla cessione dei metalli preziosi.

La tassazione sull’oro da investimento è un tema piuttosto recente infatti, solo in seguito all’approvazione della legge n. 7 del gennaio 2000, i soggetti privati possono effettuare operazioni finanziarie sull’oro. Prima che intervenissero le modifiche normative, il monopolio per il commercio di metalli preziosi era gestito unicamente dall’Ufficio dei cambi (soppresso nel 2007), privilegio poi abolito per consentire ai cittadini residenti in Italia di acquistare e vendere lingotti e monete d’oro.

Il legislatore sottopone a tassazione la cessione d’oro solo se allo stato grezzo (polvere, lingotti, lamine, ecc.), oppure sotto forma di monete, mentre non è applicato alcun balzello fiscale a seguito della vendita di oro usato, sempre che risulti un oggetto di oreficeria, oppure un gioiello. Inoltre, la legge italiana non prevede l’applicazione dell’IVA sull’acquisto di oro da investimento e nemmeno la tassazione del possesso.

Semmai l’unico onere spettante all’investitore privato è quello di dover dichiarare all’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia (UIF), ogni compravendita d’oro di importo pari o superiore a 12.500 euro. A seguito della cessione, sull’eventuale plusvalenza si dovrà applicare la medesima disciplina prevista per il capital gain ovvero imposta sostitutiva al 26%. La sostanziale assenza di tasse per l’acquisto e il possesso dell’oro fanno facilmente intuire il perché risulti una forma di investimento tanto apprezzata e quella, in assoluto, fiscalmente più conveniente sul mercato.

Andiamo dunque a scoprire cosa intende il legislatore con la definizione oro da investimento, come avviene la tassazione, il metodo per calcolare la base imponibile e quali obblighi è tenuto a rispettare il contribuente al fine del monitoraggio fiscale per i metalli preziosi detenuti eventualmente all’estero.

Indice:

 

Cosa significa ora da investimento?

Come abbiamo già anticipato, l’oro da investimento è un concetto nato a partire dall’anno 2000 con l’entrata in vigore della legge n.7. Una disciplina che il Parlamento italiano è stato, in un certo senso, quasi costretto ad introdurre a seguito della forte pressione esercitata dall’Unione Europea che chiedeva all’Italia di adeguarsi alla direttiva 98/80/CE.

Spetta all’articolo 1 definire il concetto di metalli preziosi che, nello specifico, stabilisce che:

  • oro da investimento: sono valide tutte le forme grezze quali polvere, lamine e lingotti, purché con peso di almeno 1 grammo e purezza superiore ai 995 millesimi;
  • monete d’oro: rientrano nella forma “da investimento” qualora risultino di purezza superiore ai 900 millesimi. Inoltre, è necessaria la sussistenza dei seguenti requisiti:
    • coniate dopo il 1800;
    • corso legale nel Paese di origine;
    • prezzo di vendita non superiore all’80% del valore dell’oro contenuto, basandosi sulle quotazioni correnti del mercato libero;
    • incluse nell’elenco creato dalla Commissione unica delle Comunità europee (sono valide anche le monete con medesime caratteristiche anche se non facenti parte dell’elenco).

Tra i metalli preziosi rientra anche il materiale d’oro impiegato a livello industriale in qualsiasi forma, compresi semilavorati con purezza pari o superiore a 325 millesimi.

Il motivo che ha portato a tali disposizioni è definire con una certa precisione i confini per le compravendite di oro che, per legge, devono essere comunicate all’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia, nonché individuare operatori professionali che sono tenuti ad informare preventivamente l’UIF del possesso dei requisiti richiesti per svolgere le transazioni.

 

Metalli preziosi: la tassazione secondo il sistema tributario italiano

Le compravendite di oro da investimento o di qualsiasi altro metallo prezioso rappresentano operazioni finanziarie che possono dar vita a minusvalenze o plusvalenze, esattamente come la cessione di un titolo azionario o di qualunque altro prodotto contrattabile sul mercato finanziario.

Anche il meccanismo della tassazione è del tutto identico, infatti il Fisco assoggetta i guadagni derivanti dalla cessione di metalli preziosi ad un’imposta sostitutiva, rendendo deducibili le eventuali perdite. Il calcolo delle plusvalenze / minusvalenze è alquanto semplice, essendo la differenza tra il prezzo di acquisto dell’oro, o altro metallo prezioso, e quello di vendita pattuito tra le parti al momento della cessione.

Il contribuente che effettua operazioni di compravendita di oro da investimento o metalli preziosi è tenuto ad indicarne gli estremi all’interno del Modello Redditi Persone Fisiche. Il soggetto dovrà compilare il quadro RT presente nella sezione II denominata Plusvalenze di natura finanziaria. Un’operazione da eseguire annualmente e indispensabile per applicare la tassazione sulle plusvalenze al fine delle imposte dirette.

 

Calcolo base imponibile per determinare l’imposta sostitutiva

Nel quadro RT del modello Redditi Persone Fisiche bisogna inserire la base imponibile su cui poi verrà applicata l’aliquota per ottenere l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze generate. Secondo quanto previsto dall’articolo 68 del DPR n. 917/86, il calcolo viene effettuato facendo la differenza tra:

  • valore di acquisto: ovvero l’importo che risulta da una fattura, o comunque da un documento, che certifica la cifra versata per comprare il metallo prezioso;
  • corrispettivo pattuito per la vendita: dev’essere aumentato tenendo in considerazione oneri di produzione, ivi comprese eventuali imposte di successione o donazione e spese notarili. Non sono da computare gli interessi passivi.

 

L’importanza della documentazione che certifica l’atto di acquisto

Per calcolare l’esatto valore della plusvalenza, o minusvalenza, è necessario determinare con precisione ed in modo corretto il valore di acquisto. A tale scopo è fondamentale aver conservato la documentazione, quantomeno per il periodo di accertamento fiscale (di solito fino al 31 dicembre dell’anno successivo rispetto la presentazione della dichiarazione dei redditi).

Molto spesso è sufficiente disporre di una fattura di acquisto da cui risulta il prezzo pagato, per poter determinare senza alcun problema la plusvalenza eventualmente generata e versare l’imposta sostitutiva una volta che viene rivenduto il “prezioso”.

La domanda che sorge spontanea è cosa accadrebbe qualora il contribuente dovesse aver smarrito l’atto di acquisto e non possa esibirlo al momento della vendita. In tali frangenti, il Fisco fa una considerazione molto semplice: applica una tassazione fissa prendendo come base imponibile un valore pari al 25% del corrispettivo incassato a seguito della cessione. E’ bene evidenziare come l’Amministrazione Finanziaria non conceda alcuna deroga al riguardo, quindi non si tratta di un’opzione ma di un vero e proprio obbligo a cui deve attenersi il contribuente che ha smarrito il documento di acquisto.

Una situazione che in caso di cifre modeste può risultare di scarsa importanza, ma diviene invece estremamente rilevante quando la compravendita prevede il pagamento di importi ingenti. Per esempio, supponiamo di aver acquistato oro per un valore di 35.000 euro, essere in possesso della fattura e procedere alla vendita incassando un corrispettivo di 40.000 euro. I 5.000 euro di plusvalenza sono sottoposti a tassazione con aliquota al 26% (l’imposta sostitutiva prevista per il capital gain): si dovranno pertanto versare al Fisco 1.300 euro.

Immaginiamo invece di aver smarrito il documento di acquisto per la stessa transazione, in questo caso il Fisco applicherà l’imposta sostitutiva al 26% su un guadagno ipotetico del 25% sui 40.000 euro della vendita: la tassazione che ne conseguirebbe costringerebbe il nostro sfortunato, o disordinato, investitore a sborsare esattamente il doppio ovvero 2.600 euro ((40000 x 25%) x 26% =2600).

Una situazione che potrebbe addirittura assumere i connotati della beffa in presenza di una minusvalenza e senza documentazione che dimostri il prezzo di acquisto. In questo frangente, nonostante la mancanza di un reale guadagno, anzi la presenza di una perdita, il venditore dovrà anche sobbarcarsi l’onere di versare le imposte.

 

L’imposta sostitutiva sulle plusvalenze

Le compravendite di oro da investimento sono considerate alla pari di qualsiasi altra operazione finanziaria, per cui anche l’aliquota applicata è la medesima. Quindi, le plusvalenze generate dalla cessione di oro e metalli preziosi sono tassate con un’imposta sostitutiva fissa pari al 26%.

Le persone fisiche con residenza in Italia hanno l’obbligo di dichiarare le plusvalenze al Fisco in fase di dichiarazione dei redditi, unitamente a tutti gli altri importi che rientrano nei cosiddetti redditi diversi di natura finanziaria. In pratica, si tratta di quelli indicati nell’articolo 67 del DPR n. 917/86, conseguiti a partire dal 1° luglio 2014 e assoggettati ad imposta sostitutiva nella misura del 26%.

Abbiamo già accennato come la base imponibile ai fini dell’imposta sostitutiva dovrà essere indicata utilizzando il modello Redditi Persone Fisiche e nello specifico il quadro RT sezione II. Tale operazione va così effettuata:

  • rigo RT21: in questo campo il contribuente deve inserire il totale dei corrispettivi frutto della cessione di partecipazioni non qualificate, vendita di azioni, rimborso titoli, vendita di valute, cessione di metalli preziosi, nonché eventuali altri proventi;
  • rigo RT22: in colonna 3 va inserito il valore totale relativo al costo fiscalmente riconosciuto di azioni, valute, metalli preziosi, ovvero l’importo del costo rideterminato. Per i metalli preziosi, nel caso risulti mancante la documentazione che certifica il prezzo di acquisto, è necessario indicare il 75% del valore calcolato prendendo come riferimento il corrispettivo inserito nel rigo RT21;
  • rigo RT23: in colonna 2 si deve indicare la differenza, se positiva, tra l’importo inserito nel rigo RT21 e l’importo dichiarato nel rigo RT22. Qualora il risultato fosse negativo, il contribuente deve solo riportarlo nella colonna 1 e lasciare vuota la colonna 2.

Come accade per le rendite finanziarie, anche in questo caso il contribuente ha facoltà di portare in deduzione le minusvalenze sulle eventuali plusvalenze generate negli anni successivi. Tale agevolazione deve, tuttavia, rispettare due condizioni: plusvalenze e minusvalenze devono essere della stessa categoria (cessione di oro o metalli preziosi) e riguardare un periodo d’imposta successivo ma non oltre il quarto anno. Le quote residue delle minusvalenze sono da riportare nel rigo RT24 e RT25, mentre nel rigo RT27 va indicato l’ammontare complessivo dell’imposta sostitutiva, calcolata applicando l’aliquota al 26% sulla differenza risultante al rigo RT26.

 

Come si paga l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze finanziarie?

Il contribuente paga l’imposta sostitutiva attraverso il modello F24 e deve rispettare la scadenza per il versamento delle imposte sui redditi, quindi non oltre il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui le plusvalenze vengono generate. Infatti il pagamento si riferisce al saldo dell’anno precedente e la legge non prevede nessun versamento di acconto per il periodo di imposta corrente.

Tuttavia, è doveroso fare una distinzione a seconda se l’operazione di compravendita viene effettuata attraverso un intermediario finanziario residente in Italia, oppure all’estero. Nel primo caso il contribuente ha la possibilità di applicare il regime del risparmio amministrato o risparmio gestito, ovvero l’intermediario assume il ruolo di sostituto d’imposta ed effettua il calcolo accreditando al cliente il netto decurtato della tassa. Nel secondo caso invece il contribuente è sempre assoggettato al regime dichiarativo, e dovrà lui stesso provvedere al calcolo dell’imposta sostitutiva e versare il dovuto attraverso la dichiarazione dei redditi.

Ricordiamo che operando per mezzo di un intermediario estero, le plusvalenze sono sempre da dichiarare al Fisco italiano indipendentemente dal Paese in cui ha sede la società o la piattaforma online utilizzata per compiere la transazione.

 

Il monitoraggio fiscale delle attività finanziarie all’estero

Un argomento pertinente e rilevante riguarda la disciplina del monitoraggio fiscale. Si tratta di un sistema introdotto con la legge n. 227/90 per porre dei limiti ai movimenti finanziari tra i vari Stati, in mancanza di un adeguato scambio di informazioni ai fini fiscali. Il monitoraggio fiscale è particolarmente odiato dai contribuenti residenti in Italia che svolgono attività finanziarie all’estero, in quanto sono tenuti a dichiararle e, qualora dovessero sussistere i presupposti, versare le imposte patrimoniali IVIE (per immobili detenuti all’estero) e IVAFE (per attività finanziarie detenute all’estero).

Di conseguenza, quando un contribuente residente in Italia detiene all’estero, a titolo di proprietà o diritto reale, investimenti e attività finanziarie, i conseguenti redditi imponibili dovranno essere dichiarati al Fisco attraverso il quadro RW del modello Redditi Persone Fisiche. Nel suddetto quadro dichiarativo c’è spazio, da una parte, per tutti i beni esteri di natura non finanziaria e in grado di produrre reddito (immobili, opere d’arte, oggetti preziosi, ecc.) e dall’altra gli investimenti finanziari suscettibili dal generare reddito. Quindi l’effettiva percezione del reddito da parte del possessore non è un requisito richiesto.

Tale disciplina trova applicazione anche ai metalli preziosi e all’oro da investimento. Il contribuente che detiene i beni all’estero (anche attraverso un intermediario) ha l’obbligo di indicarne il valore nel quadro RW, all’inizio e alla fine del periodo d’imposta. L’unica possibilità di evitare gli oneri previsti dal monitoraggio fiscale, avviene se i beni all’estero sono detenuti da un intermediario con residenza in Italia. In realtà, più che un’esenzione si tratta di una traslazione di tali obblighi che, infatti, passano dal possessore reale dei beni all’intermediario.

 

Come dichiarare i metalli preziosi detenuti all’estero

Il contribuente ha l’obbligo di compilare il quadro RW nel quale uno specifico rigo serve per indicare il valore iniziale nel periodo d’imposta, e un altro il valore finale relativo all’oro da investimento o metalli preziosi detenuti all’estero. Il modulo va redatto in ogni sua parte anche se durante l’anno sono stati ceduti tutti i beni, in tal caso si dovrà indicare il numero di giorni della durata dell’investimento.

La compilazione del quadro RW ha uno scopo dichiarativo e risulta propedeutica al pagamento dell’IVAFE. Ciò nonostante dobbiamo segnalare che tale imposta patrimoniale, a partire dal 2014, è prevista solo sui prodotti finanziari e quindi non dovrebbe riguardare i metalli preziosi.

 

Utilizzo di un conto corrente all’estero per la compravendita di metalli preziosi

Qualora si sfruttasse un intermediario estero per effettuare compravendite di oro da investimento e metalli preziosi, sarà necessario appoggiarsi ad un conto corrente. Dal punto di vista valutario tale conto corrente intrattenuto con la società straniera, è ritenuto alla pari di un conto corrente estero.

La normativa vigente prevede l’obbligo di monitoraggio fiscale per attività finanziarie all’estero solo per depositi e conti correnti con importi di oltre 15.000 euro, riferiti all’intero periodo d’imposta. Tenendo anche presente che l’onere di compilazione del quadro RW al fine di determinare l’imposta patrimoniale IVAFE sussiste per conti correnti con giacenza media superiore ai 5.000 euro, si possono verificare le seguenti situazioni:

  • conti correnti esteri con giacenza media superiore ai 5.000 euro senza aver mai superato, nel corso dell’anno, il limite dei 15.000 euro. Il quadro RW dovrà essere compilato per la sola applicazione dell’IVAFE;
  • conti correnti esteri con giacenza media inferiore a 5.000 euro, avendo però oltrepassato il limite massimo di 15.000 euro nel corso dell’anno. Il quadro RW sarà compilato unicamente ai fini del monitoraggio fiscale.

 

Chi può commerciare oro da investimento?

L’oro da investimento non può essere venduto da chiunque, ma solo da operatori professionali con apposita autorizzazione della Banca d’Italia e concessa se in possesso di determinati canoni di onorabilità e in base a specifici criteri di valutazione.

Gli operatori professionali in oro risultano iscritti ad un albo e l’elenco aggiornato è consultabile sul sito della Banca d’Italia.

   

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