Superamento del limite di fatturato in regime forfettario

Per giovani alle prese con la prima esperienza imprenditoriale, titolari di partita IVA che decidono di avviare una nuova attività o comunque per ditte individuali che prevedono un costante e limitato giro d’affari, il regime forfettario rappresenta un’ottima opportunità di risparmio fiscale. Tuttavia, a fronte di una tassazione agevolata con imposta sostitutiva ad aliquota fissa, riduzione dei contributi INPS ed esenzione dall’applicazione nonché versamento dell’IVA, è necessario rispettare alcuni fondamentali requisti: primo fra tutti il limite di fatturato.

Infatti, l’ordinamento tributario italiano prevede l’applicazione del regime forfettario solo in presenza di ricavi non superiori a 65.000 euro, soglia oltre la quale decade il diritto al regime agevolato. Quindi, all’inizio di ogni anno, molti titolari di partita IVA in regime forfettario possono continuare a sfruttare tale sistema di tassazione, solo se hanno rispettato il suddetto limite di fatturato.

Per gli altri invece, quelli che hanno superato il tetto massimo di fatturato dei 65.000 € nell’anno appena concluso, si apriranno necessariamente le porte del regime fiscale ordinario, verosimilmente con il passaggio ad una contabilità semplificata, con tutti gli annessi e connessi che un cambiamento di questo genere causa.

Il 2020 è stato un anno molto particolare, per usare un eufemismo, a causa della pandemia di Covid-19 che ha portato ad un blocco di parecchi mesi della maggior parte delle attività e, comunque, ad una serie di restrizioni che hanno inciso pesantemente sulla condizione economica, non solo del nostro Paese, ma del mondo intero. Nonostante l’emergenza sanitaria, e le chiusure forzate ad intermittenza, alcuni contribuenti in regime forfettario hanno comunque superato il limite di fatturato e si chiedono, in tale circostanza, quali effetti provochi e cercando di capire quale possa essere il modo migliore di comportarsi.

Cerchiamo dunque di capire quali siano le conseguenze dovute al superamento dei 65.000 euro di fatturato, quali ricavi/compensi dovranno essere considerati per il computo del limite, cosa accade aprendo la partita IVA durante l’anno e come avviene l’eventuale passaggio di regime.

Indice:

 

Il limite di fatturato è indipendente dal tipo di attività

Il regime forfettario offre una tassazione agevolata a persone fisiche che esercitano attività d’impresa, arti o professioni. Con la Legge di Bilancio 2019 il Governo ha modificato uno dei requisiti fondamentali per aver diritto al regime forfettario, ovvero il limite di fatturato portandolo a 65.000 euro.

Un aspetto molto importante, da non dimenticare, è come il tetto massimo risulti SEMPRE indipendente dalla tipologia di attività esercitata. Per esempio, chi si occupa di servizi di alloggio e ristorazione deve rispettare lo stesso limite di fatturato di un commerciante ambulante, oppure all’ingrosso. È altresì rilevante ricordare che il computo del reddito imponibile viene effettuato applicando il coefficiente di redditività, valore invece variabile in base al settore di appartenenza e all’attività svolta.

Per rendersi conto di quanto appena affermato è sufficiente dare uno sguardo alle tabelle che si possono trovare facilmente anche online. Le attività infatti, vengono suddivise per gruppi di settore, con i relativi codici ATECO e un coefficiente di redditività che va da un minimo del 40% ad un massimo dell’86%. Osservando invece la colonna del limite fatturato si noterà come il valore resti sempre pari a 65.000 euro.

Altro particolare che riteniamo doveroso evidenziare riguarda il caso in cui il contribuente svolga più attività con diversi codici ATECO. Fermo restando l’immutabilità del limite di fatturato, è necessario prestare attenzione al calcolo del ricavo totale: dovrà risultare dalla somma degli importi derivanti da ogni attività applicando i relativi coefficienti di redditività.

Per accedere al regime forfettario, non basta il solo rispetto del limite di fatturato, ma anche la sussistenza di un altro indispensabile requisito. Ci riferiamo alle spese per lavoro accessorio, compensi per lavoratori dipendenti o collaboratori anche con contratto a progetto, che non possono superare il tetto massimo di 20.000 euro. Nel totale sono compresi gli importi corrisposti a titolo di utile di partecipazione agli associati  e quelli elargiti a fronte di prestazioni di lavoro offerte dall’imprenditore o da membri del suo nucleo familiare.

Nel caso in cui chi esercita l’opzione per il regime forfettario abbia acquisito l’attività da un altro soggetto, per l’applicazione della tassazione agevolata è necessario che i ricavi dell’anno precedente non abbiano superato il limite dei 65.000 euro.

 

Calcolo del limite di fatturato: come computare ricavi e compensi

Una delle caratteristiche tipiche del regime forfettario riguarda il calcolo della base imponibile. Il contribuente deve utilizzare un metodo, per l’appunto quello forfettario, che normalmente ha il vantaggio di ridurre l’importo soggetto a tassazione rispetto al metodo ordinario. Tuttavia, il rovescio della medaglia è l’impossibilità di dedurre i costi sostenuti durante il periodo d’imposta.

Dunque, il regime forfettario non permette al titolare di partita IVA di poter scaricare le spese, riducendo il calcolo del reddito imponibile alla semplice applicazione di un coefficiente di redditività (diverso per ogni tipologia di attività esercitata) al totale dei ricavi maturati nel corso del periodo di imposta.

A titolo di esempio prendiamo un consulente informatico la cui attività rientra tra quelle professionali, quindi con coefficiente di redditività stabilito al 78%. Supponiamo che a fine anno questo signore abbia conseguito ricavi per 30.000 euro. Il calcolo del reddito imponibile sarà il seguente:

  • 30.000 x 78% = 23.400 €.

Di conseguenza, il professionista dovrà calcolare l’importo dell’imposta sostitutiva che dovrà pagare per il reddito conseguito che sarà il 15% del reddito imponibile appena calcolato:

  • 23.400 € x 15% = 3.510 €

Per quanto riguarda i contributi previdenziali obbligatori, il soggetto dell’esempio è obbligato all’iscrizione presso la Gestione Separata dell’INPS non avendo una cassa previdenziale di riferimento. In questo caso si perde il beneficio della riduzione del 35% sul totale dei contributi previdenziali opzionale prevista per il regime forfettario. In buona sostanza dovrà applicare l’aliquota del 25,72% sui 23.400 € di reddito imponibile, ottenendo un importo contributivo di ben 6.018,48 €.

 

Cosa accade aprendo la partita IVA in corso d’anno?

Un discorso interessante riguarda la tempistica d’apertura della partita IVA e le differenze che passano tra avviare l’attività all’inizio o in corso d’anno. In quest’ultimo caso, è opportuno sapere che la soglia di fatturato non equivale più a 65.000 euro, bensì sarà necessario rapportare la soglia annuale al periodo lavorato e verificare se compensi e ricavi conseguiti siano compatibili con la permanenza nel regime.

Nel dettaglio, questo significa che se il titolare di partita IVA avvia l’attività il 1° gennaio, potrà contare sull’intero massimale di fatturato di 65.000 €. Viceversa, iniziando l’attività, ad esempio, il 1° aprile, dal limite si dovranno decurtare 4 mesi: in pratica, la soglia dei ricavi si ridurrebbe di un terzo.

Di conseguenza, il contribuente in questione avrà a disposizione, non più 65.000 euro, ma solo 21,666 euro da aprile a fine anno. Nel nostro esempio per facilitare il calcolo abbiamo fatto coincidere l’apertura dell’attività con il primo giorno del mese. Se invece la professione viene avviata, ad esempio, il 15 aprile si dovranno considerare anche i singoli giorni per ottenere l’esatto limite di fatturato secondo la seguente proporzione:

  • 65.000 € : 365 = numero di giorni operativi : limite di fatturato da calcolare

Risolvendo il calcolo avremo:


 
 
 

Ne caso di inizio attività il 1 aprile il calcolo sopra indicato offrirebbe come risultato € 48.972 € che sarà il limite di fatturato oltre il quale si perderebbe il diritto all’applicazione del regime forfettario nell’anno successivo

 

Conseguenze del superamento del limite di fatturato

Siamo dunque giunti al nocciolo della questione, ossia cosa accade quando un contribuente in regime forfettario supera il limite annuo di fatturato pari a 65.000 euro.

Innanzitutto, è opportuno precisare che le conseguenze risultano le medesime sia per un professionista o lavoratore autonomo che abbia aperto la partita IVA il 1° gennaio che per chi ha avviato l’attività nel corso dell’anno.

Così come nulla cambia se si superano i 65.000 € di un euro oppure di 20.000 €. Gli effetti saranno i medesimi e si manifesteranno al principio del successivo periodo di imposta in questo modo:

andando oltre la soglia prevista per il mantenimento del regime forfettario, il contribuente passa, l’anno successivo, dal regime forfettario al regime ordinario, in linea di massima alla classica contabilità semplificata

Questo a meno che i ricavi non subiscano un’impennata tale da oltrepassare i 400mila euro per le prestazioni di  servizi o 700mila euro per le attività di cessione di beni, oltre i quali non è più consentita nemmeno la contabilità semplificata e si dovrà passare al regime contabile ordinario.

In linea di massima, il passaggio “più naturale” dovuto al superamento dei limiti del regime forfettario è il primo descritto, per cui il passaggio da forfettario a contabilità semplificata si deve ritenere una situazione normale, praticamente all’ordine del giorno.

Il superamento del limite implica l’automatica perdita di ogni agevolazione dal periodo di imposta successivo a quello in cui si splafona, e comporterà:

  • l’impossibilità di applicare l’aliquota fissa ridotta a titolo di imposta unica sostitutiva;
  • il pagamento dei contributi INPS senza poter applicare l’opzione dello sconto del 35%;
  • l’applicazione in fattura dell’IVA e i conseguenti adempimenti relativi;
  • l’obbligo della fatturazione elettronica.

Nel periodo di imposta in cui viene superato il limite, tutte le regole del regime forfettario si potranno applicare all’intera somma ricavata, quindi anche sull’eccedenza dei 65.000. Ad esempio, se il contribuente raggiungesse un fatturato di 80.000 euro applicherebbe le stesse regole del regime forfettario anche per i 15.000 euro in eccedenza dai 65.000, ma perderebbe il diritto di mantenere tale agevolazione negli anni successivi.

Col nuovo anno, infatti, il soggetto dovrà emettere le fatture con IVA utilizzando obbligatoriamente la fatturazione elettronica e ricevere, dai professionisti, fatture con ritenute d’acconto (altro privilegio del regime forfettario, di cui poco si parla, che, ovviamente andrebbe a decadere).

Cambierà completamente la gestione fiscale dell’attività in quanto si passerebbe dalla cosiddetta imposta sostitutiva al 15%, a tutta una serie di imposte quali l’IRAP, l’IRPEF, le addizionali regionali e comunali, ecc. Torneranno a far capolino tutti gli adempimenti IVA e i versamenti trimestrali, nonché la tenuta dei registri.

Per rendere ancor meglio l’idea dei cambiamenti a seguito del superamento del limite di fatturato, facciamo un esempio concreto: supponiamo che un titolare di partita IVA abbia esercitato ad inizio 2019 l’opzione per il regime forfettario e nel corso dell’anno ha mantenuto fede a tutti i requisiti richiesti, conseguendo un fatturato di 50.000 euro. Ricordando che tale regime non prevede una durata massima, ad inizio 2020 il nostro contribuente ha facoltà di adottare ancora la medesima tassazione agevolata. Fortuna vuole che durante l’anno, nonostante la pandemia da Coronavirus con  tutte le difficoltà annesse e connesse, a fine esercizio sia riuscito a conseguire ricavi per 80.000 euro.

Cosa accade al nostro titolare di partita IVA che ha superato il tetto dei 65.000 € ?

Sul fatturato di 80.000 euro, prodotto nel 2020, seppur abbia ecceduto il limite previsto dalla normativa, il soggetto ha comunque diritto di applicare l’aliquota al 15% dopo aver applicato al fatturato di 80.000 € il coefficiente di redditività di riferimento.

A partire dal 1° gennaio 2021 viene però a mancare il requisito fondamentale per il mantenimento del regime forfettario ovvero il limite di fatturato di 65.000 euro conseguito nell’anno precedente, per cui si vede costretto al passaggio automatico al regime della contabilità semplificata.

Ipotizziamo ancora che nel corso del 2021 il fatturato dovesse scendere e fermarsi a 63.000 euro: il titolare di partita IVA nel 2022 potrà nuovamente accedere al regime forfettario esercitando l’opzione nella dichiarazione dei redditi.

 

Il passaggio da un regime agevolato

Quella che abbiamo descritto è una situazione piuttosto comune in cui un contribuente in regime forfettario è costretto a passare in automatico alla contabilità semplificata. Di solito un titolare di partita IVA, o comunque chiunque soddisfi i requisti per il regime agevolato, decide di esercitare l’opzione, per poter beneficiare di oggettivi vantaggi fiscali.

Non è comunque detto che tutti facciano la medesima scelta e spesso si preferisce adottare direttamente la contabilità semplificata, o addirittura il regime di tassazione ordinario. Del resto, ognuno fa le proprie considerazioni in base alle diverse esigenze magari su consiglio di bravo consulente fiscale.

Fatto sta che la fuoriuscita da un regime agevolato dei minimi o forfettario per passare alla contabilità semplificata, è piuttosto frequente e non avviene solo per via del superamento dei limiti di fatturato. A tal proposito possiamo così suddividere le diverse casistiche:

  • abbandono regime forfettario per perdita requisiti;
  • abbandono regime dei minimi per perdita requisiti;
  • titolare di una start-up con regime forfettario al raggiungimento del 5° anno di attività;
  •  contribuente con regime dei minimi al 5° anno di applicazione della tassazione;
  • contribuente con regime dei minimi al compimento del 35° anno di età.

Come abbiamo visto nell’esempio del precedente paragrafo, un passaggio comporta sempre determinate conseguenze. Nel caso dell’imprenditore che ha fondato una start-up beneficiando del regime forfettario con aliquota al 5%, non si tratta però di un reale passaggio di regime.

Infatti, al termine dei primi 5 anni di attività può comunque continuare a sfruttare la tassazione agevolata, dovendo solo alzare la percentuale dell’imposizione al 15% (fermo restando la sussistenza delle restanti condizioni). Ai contribuenti che applicano il regime dei minimi e perdono i requisti, non rimane che passare al regime forfettario o alla contabilità semplificata; chiaramente saranno costretti ad affrontare tutta una serie di cambiamenti per attenersi ai nuovi adempimenti riguardanti: l’imposta sul valore aggiunto, rettifica della detrazione IVA, ritenute e imposte sui redditi.

Per sfruttare al meglio tutte le opportunità messe a disposizione dal nostro ordinamento tributario è quanto mai opportuno sempre affidarsi alle competenze di un buon commercialista. Il professionista saprà assolvere tutti gli oneri burocratici e utilizzerà ogni escamotage concesso dalla normativa al fine di ottenere il massimo risparmio fiscale. In tal senso ecco un paio di suggerimenti:

  • anticipo dell’incasso componenti positivi di reddito e anticipo dell’acquisto di un veicolo a deducibilità limitata durante il passaggio da regime dei minimi a semplificato;
  • anticipo nel sostenere costi e spese, compresi quelli relativi a beni strumentali, durante il passaggio da regime dei minimi a quello forfettario, in quanto quest’ultimo non permette la deducibilità dei componenti negativi.
   

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