Rimborso spese amministratore: requisiti e risparmio fiscale

Scritto da Omar Cecchelani in Imprese

L’amministratore di una società per lo svolgimento delle proprie mansioni gestionali sostiene, piuttosto frequentemente, una serie di spese per le quali può avere diritto ad ottenere, dall’azienda stessa, un legittimo rimborso. Gli esempi classici sono i costi per vitto e alloggio derivanti da trasferte, più o meno lunghe, lontano dalla sede di lavoro abituale, o le spese chilometriche a seguito di spostamenti, per conto della società, con l’utilizzo della propria automobile. Tali spese possono essere oggetto di rimborso anche se l’amministratore non dovesse percepire alcun compenso per l’opera prestata.

Il rimborso spese amministratore è un argomento che, oltre agli aspetti generali, presenta diversi elementi di interesse fiscale che cercheremo di analizzare nel dettaglio in quest’articolo. Nello specifico, andremo ad inquadrare il concetto di trasferta, valuteremo i diversi metodi per applicare il rimborso (analitico, forfettario e misto), nonché le regole per la deducibilità e le differenze che intercorrono tra un amministratore inquadrato come lavoratore dipendente, oppure un professionista titolare di partita IVA.

Indice:

 

Gli aspetti generali del rimborso spese dell’amministratore

Nel regolare svolgimento delle attività societarie, a seguito di contingenti esigenze aziendali, amministratore e lavoratori dipendenti possono esercitare i propri incarichi sostenendo di persona determinate spese. Molto spesso è richiesto lo spostamento dalla sede abituale di lavoro impiegando, non solo l’auto aziendale, ma anche la vettura privata.

Il primo concetto che è necessario avere ben chiaro è come il rimborso spese spettante all’amministratore rispecchi, né più e né meno, le considerazioni valide per la restituzione dei costi sostenuti da dipendenti o collaboratori subordinati: questo sebbene le figure risultino essere alquanto differenti tra loro.

La principale fonte di spesa è, senza dubbio, la trasferta. Una situazione lavorativa all’ordine del giorno, sia per dipendenti con mansioni operative che per gli amministratori, costretti ad allontanarsi per portare a termine determinati compiti. Prima di entrare nel vivo della questione rimborsi, andiamo ad inquadrare con chiarezza il significato di trasferta.

 

L’importanza del concetto di trasferta

Dal punto di vista fiscale la trasferta è considerata un viaggio lavorativo temporaneo richiesto dall’azienda ai propri dipendenti o all’amministratore, allo scopo di espletare specifici compiti in un luogo diverso dalla sede abituale, o comunque dal luogo specificato nel contratto di lavoro.

Iniziamo col mettere in evidenza il diverso trattamento stabilito dalla normativa per una trasferta effettuata al di fuori, o entro il territorio comunale in cui ha sede la società. Il primo punto che deve essere ben chiaro, è il concetto che il rimborso per le spese sostenute dall’amministratore per lo svolgimento di incarichi aziendali, è possibile solo in presenza di una trasferta in un comune diverso da quello in cui ha sede l’impresa. A tal proposito è necessario fare alcune considerazioni.

Dando per scontato che la trasferta avvenga al di fuori dal Comune della sede di lavoro, è necessario valutare cosa significhi esattamente questa affermazione: il concetto di residenza, solitamente corrisponde con la sede dell’azienda, ma è comunque doveroso individuare con assoluta chiarezza l’esatto luogo abituale di lavoro per definire, di conseguenza, la trasferta e il trattamento fiscale dei rimborsi.

Quanto appena affermato è valido, più che altro, per i lavoratori dipendenti che svolgono le loro mansioni abitualmente all’interno dell’azienda e per i quali l’individuazione della sede di lavoro risulta evidente dal contratto stipulato o dalla lettera d’assunzione. Si tratta di un principio precisato nella Circolare Ministeriale n. 207/E/2000 in cui si evince anche che per molte attività, proprio per le caratteristiche intrinseche delle opere prestate, risulta invece impossibile determinare l’effettiva sede di lavoro, né tantomeno identificarla con quella dell’azienda (pensiamo, ad esempio, a chi asfalta le strade…)

E’ esattamente quello che accade con gli amministratori il cui contratto di lavoro, ben di rado, contiene una specifica indicazione del luogo in cui espletare l’incarico. Di conseguenza, in tali frangenti, è possibile prendere in considerazione, come riferimento territoriale, non tanto la sede di lavoro, quanto il domicilio fiscale dell’amministratore stesso. Un concetto ulteriormente chiarito dall’Agenzia delle Entrate attraverso la circolare 7/E/2001 che specifica proprio come tale sistema possa essere adottato dagli amministratori di società o enti, sempreché al momento della nomina non venga diversamente specificata una sede di lavoro specifica.

Comunque sia, il diritto al rimborso è direttamente collegato ad una trasferta temporanea, entro o al di fuori dei confini comunali, generando le seguenti possibilità:

  • trasferte al di fuori del territorio comunale: a rimborsi e indennità viene applicata la regola generale della non imponibilità;
  • trasferte all’interno del territorio comunale: in questi casi gli eventuali rimborsi per le spese sostenute (fanno eccezione i costi per il trasporto pubblico qualora comprovati da opportuna documentazione), concorrono a formare il reddito imponibile del beneficiario.

Infine vogliamo evidenziare un ulteriore aspetto, ovvero la permanenza della natura di temporaneità della trasferta per non confonderla con il trasferimento. In tal senso, la disciplina in materia è piuttosto vaga, non prevedendo nessun limite massimo del numero di giorni per il viaggio a scopo lavorativo.

Quindi è un fattore da valutare in base alle diverse esigenze aziendali e può variare, anche di molto, a seconda dell’attività svolta. Prendiamo ad esempio il settore edile, in cui non è affatto inconsueto che lavoratori dipendenti e amministratori debbano effettuare lunghissime trasferte e rimanere nel luogo dov’è ubicato il cantiere fino alla conclusione dei lavori.

 

Differenze in base alla natura del rapporto di lavoro

Abbiamo visto come un’azienda possa concedere rimborsi spese, sia ai lavoratori dipendenti che agli amministratori, tuttavia esiste una sostanziale differenza tra le due categorie. Ci riferiamo alla natura del rapporto di lavoro che, per il collaboratore, è sempre disciplinata da un contratto di tipo subordinato o similare. L’amministratore invece può essere inquadrato esattamente con un lavoratore dipendente, oppure risultare un professionista titolare di partita IVA. Di conseguenza, si possono verificare le seguenti situazioni:

  • l’amministratore sottoscrive un contratto di lavoro come collaboratore dipendente o parasubordinato con l’azienda presso cui svolge gli incarichi. La normativa che disciplina i rimborsi spese è del tutto assimilabile alle regole previste per un lavoratore dipendente;
  • l’amministratore è titolare di partita IVA, quindi svolge mansioni professionali per conto della società e connesse all’attività d’impresa. In tali circostanze il trattamento fiscale del rimborso spese è il medesimo applicato ad un lavoratore autonomo.
  • l’amministratore è anche socio dell’impresa e, in tal caso, è buona norma concedere i rimborsi all’interno della sua busta paga da amministratore.

È dunque piuttosto chiaro come il trattamento fiscale per i rimborsi dovuti all’amministratore a seguito di costi sostenuti per vitto, soggiorno e trasporto, sia direttamente collegato al tipo di inquadramento contrattuale del beneficiario. Tuttavia, è doveroso sottolineare come, nella maggior parte dei casi, la figura dell’amministratore venga trattata alla stregua di un lavoratore dipendente. Il professionista titolare di partita Iva che ricopre la carica di amministratore, è da considerarsi sempre una sorta di eccezione.

 

Quante tipologie di rimborsi spese amministratore esistono?

Per analizzare le diverse tipologie di rimborsi spese, partiamo col considerare l’amministratore come un dipendente dell’azienda: quindi inquadrato con contratto di collaboratore parasubordinato che percepisce una regolare busta paga. Nel caso in cui lo stesso sostenga della spese avrà diritto ad un rimborso applicando il regime fiscale e le regole stabilite dal DPR n. 917/86 e articolo 51 del TUIR.

La suddetta normativa è condizionata da due variabili principali che comportano l’applicazione di differenti regole che, nello specifico, riguardano:

  • le diverse tipologie di spesa, infatti i rimborsi possono far riferimento a vitto e alloggio, oppure a costi su base chilometrica sostenuti per il solo trasporto;
  • le modalità per contabilizzare ed erogare il rimborso, ovvero calcolo con metodo analitico, forfettario oppure misto.

L’aspetto di primaria importanza è che combinando questi fattori si vengono a determinare specifiche regole per quel che concerne la deducibilità del rimborso, sia in capo alla società che allo stesso beneficiario. Come abbiamo già evidenziato, il principio può variare a seconda della categoria di spesa, tuttavia è possibile distinguere tre tipologie di rimborsi:

  • analitico (chiamato anche “a piè di lista“)
  • forfettario (a volte indicato con la definizione di “indennità per trasferta giornaliera“)
  • misto.

 

Il metodo analitico

Il rimborso spese per l’amministratore, applicando il metodo analitico, presuppone che le spese sostenute e anticipate dal beneficiario per l’espletamento dei propri incarichi societari siano certificate in maniera, per l’appunto, analitica. Questo significa che per aver diritto al risarcimento dei costi sostenuti, l’amministratore deve conservare ed esibire i documenti giustificativi. Quindi, ogni spesa dovrà essere accompagnata dal relativo documento commerciale, fattura, ricevuta o scontrino fiscale. In mancanza della certificazione analitica non sarà possibile aggiungere il costo al computo totale del rimborso.

Dal canto suo, la società deve trattare correttamente, dal punto di vista fiscale, i rimborsi; a tale scopo dovrà redigere una specifica nota spese, così da elargire le somme anticipate dall’amministratore durante le mansioni svolte per conto dell’azienda.

Ai fini della deducibilità dei rimborsi con metodo analitico, risulta fondamentale distinguere le diverse voci di spesa. Nello specifico, l’impresa ha la possibilità di portare integralmente in deduzione i costi derivanti da vitto e alloggio, opportunamente documentati dell’amministratore, fermo restando il rispetto dei limiti imposti dalla normativa vigente. Discorso diverso per le spese di trasporto la cui deducibilità varia in base a diversi fattori, tra cui il mezzo impiegato.

Ma andiamo con ordine e vediamo cosa prevede la disciplina per la deducibilità dei costi per vitto e alloggio.

 

Deducibilità spese per vitto e alloggio: le regole da rispettare

Spetta al Testo Unico delle Imposte sui Redditi (articolo 95, comma 3) definire la disciplina che regola la deducibilità dei costi per alberghi e somministrazione di alimenti e bevande. In base al luogo dove avviene la trasferta è stato stabilito che:

  • la deducibilità dei costi per la società è consentita nelle misura del 75% dell’intero importo, qualora le spese fossero sostenute per una trasferta all’interno del territorio comunale;
  • se la trasferta avviene al di fuori del territorio comunale, ma comunque in Italia, la quota giornaliera deducibile non può superare il limite di 180,76 euro;
  • se il viaggio lavorativo avviene all’estero è possibile dedurre fino ad un massimo di 258,23 euro al giorno.

 

Regole per la deducibilità della spese di trasporto

Come anticipato, le spese di trasporto seguono regole diverse rispetto ai costi per vitto e alloggio. In tali circostanze è opportuno fare delle distinzioni a seconda del mezzo di trasporto utilizzato dall’amministratore. Se quest’ultimo affronta il viaggio lavorativo impiegando la propria auto, il totale del rimborso dovrà essere calcolato in base ai chilometri percorsi applicando le tariffe previste dalle tabelle ACI. L’azienda ha facoltà di dedurre l’intero ammontare, sempre nel rispetto dei limiti stabiliti dalle suddette tabelle.

Se viceversa l’amministratore viaggia in treno o aereo, il risarcimento dei costi per l’acquisto del biglietto copre l’intera spesa e risulta totalmente deducibile, purché adeguatamente documentato. Ricordiamo ancora una volta che la cifra ottenuta a titolo di rimborso per la trasferta non concorre alla formazione del reddito del beneficiario, solo se lo spostamento avviene al di fuori del territorio comunale.

 

Rimborso spese amministratori: il metodo forfettario

Il rimborso spese, utilizzando il metodo forfettario, è completamente diverso da quello analitico e può risultare decisamente più vantaggioso. La società provvede a versare all’amministratore un importo giornaliero fisso a titolo di indennità di trasferta. La somma è fissata in modo forfettario, quindi del tutto indipendente dall’effettiva lunghezza del viaggio lavorativo o degli incarichi svolti, né tantomeno da quanto effettivamente speso dall’amministratore.

Il principale beneficio per il percipiente è l’esenzione dalla compilazione della nota spese per i costi alberghieri sostenuti e la somministrazione di alimenti e bevande, evitando così il rendiconto di ogni singolo articolo acquistato e la conseguente conservazione dei relativi documenti giustificativi. Una generale semplificazione che coinvolge anche l’azienda, che potrà così gestire i rimborsi spese e le scritture contabili molto più facilmente. Inoltre, la società gode dell’integrale deducibilità dei rimborsi forfettari senza alcun limite massimo di spesa giornaliera purchè ognuno resti sotto la soglia indicata dall’Agenzia delle Entrate che è di:

  • 46,48 euro al giorno per trasferte in Italia;
  • 77,46 euro al giorno per trasferte all’estero.

Un aspetto da non sottovalutare è quello che il metodo forfettario richiede una particolare attenzione nell’evidenziare i dettagli per le trasferte avvenute al di fuori del territorio comunale. Ciò è dovuto al solito discorso fiscale relativo ai rimborsi che finiscono con il concorrere alla formazione del reddito del beneficiario, qualora costui svolgesse degli incarichi societari senza allontanarsi dal Comune di residenza. Rimangono sempre esclusi i rimborsi per le spese di trasporto documentate che non sono sottoposti a tassazione.

 

Rimborso forfettario e limiti di esenzione della tassazione per l’amministratore

La sostanziale differenza tra il rimborso spese analitico e l’indennità di trasferta giornaliera forfettaria, è come le due tipologie di restituzione degli importi spesi agiscano fiscalmente sull’amministratore. Sebbene le spese per vitto e alloggio non contribuiscano a formare la base imponibile ai fini IRPEF solo per trasferte fuori dai confini comunali, se rimborsate risultano non tassabili per il beneficiario se vengono rispettati i seguenti limiti:

  • 46,48 euro al giorno per trasferte in Italia;
  • 77,46 euro al giorno per trasferte all’estero.

Nel caso in cui l’amministratore dovesse sostenere spese per vitto e alloggio superiori alle suddette soglie, l’eccedenza rimborsata verrebbe trattata esattamente come un normale guadagno da inserire in dichiarazione dei redditi, andando così ad alzare la base imponibile e la relativa tassazione.

 

Le caratteristiche del metodo misto per il rimborso spese amministratore

Facile intuire come il rimborso spese con metodo misto rappresenti una combinazione tra quello analitico e forfettario. Ciononostante è opportuno chiarire che i limiti di deducibilità previsti per il rimborso analitico non sono applicabili per intero, così come specificato dall’Agenzia delle Entrate.

Il sistema è piuttosto semplice e prevede una parte di spesa rimborsata attraverso un calcolo analitico e la restante indennità di trasferta corrisposta in base ad un importo forfettario. Nello specifico possiamo trovarci di fronte alle seguenti situazioni:

  • la società può decidere di rimborsare con certificazione analitica solo le spese di vitto, oppure solo quelle di alloggio (il costo escluso diventa automaticamente assoggettato all’indennità di trasferta forfettaria). In questo caso, il beneficiario ha diritto ad una deduzione pari a 2/3 di quella prevista per il metodo forfettario ovvero:
    • 30,99 euro per trasferte in Italia;
    • 51,65 euro per trasferte internazionali.
  • la società corrisponde un rimborso analitico delle spese di vitto e alloggio, prevedendo un’ulteriore indennità di trasferta forfettaria esente da imposizione fino al limite massimo giornaliero di 15,49 euro per viaggi di lavoro in Italia e 25,82 euro per trasferte all’estero.

 

Amministratori titolari di partita IVA: le modalità di rimborso spese

Fino a questo punto abbiamo parlato di rimborsi spese inquadrando l’amministratore come un lavoratore dipendente, tuttavia nulla vieta che l’incaricato possa risultare titolare di partita IVA. In questo caso, i rimborsi spese saranno fiscalmente disciplinati secondo le regole per le indennità dei professionisti.

Si tratta di situazioni molto meno frequenti rispetto all’amministratore con contratto di lavoro dipendente, in cui i rimborsi dipendono dai seguenti fattori:

  • modalità di spesa: l’amministratore può decidere di intestare i costi sostenuti a sé stesso oppure all’impresa;
  • metodo utilizzato per il calcolo del rimborso: scegliendo tra analitico e forfettario;
  • regole di contabilità e fatturazione delle spese sostenute: a seconda se il documento ai fini fiscali sia prodotto dall’amministratore verso la società, oppure da un terzo verso l’amministratore stesso, oppure nei confronti della società.

In buona sostanza si possono verificare tre diverse situazioni:

  • se i costi per la trasferta vengono prepagati dalla società, l’amministratore non dovrà emettere alcuna fattura in quanto le stesse risulteranno emesse, intestate e pagate direttamente dall’azienda;
  • se le spese vengono sostenute dall’amministratore e a lui fatturate, si tratta di spese anticipate per conto dell’impresa che alla stessa verranno  fatturate ma non costituiranno per l’amministratore un reddito da lavoro autonomo;
  • se invece i costi vengono sostenuti e anticipati dall’amministratore, gli stessi, se rimborsati, contribuiranno alla formazione del suo reddito.

 

Spese chilometriche dell’amministratore: come avviene il rimborso

Spesso l’amministratore, per svolgere gli incarichi sociali, effettua spostamenti utilizzando un veicolo aziendale. Molte volte però, la società preferisce concedere l’autorizzazione all’impiego dell’auto personale e rimborsare le spese di trasporto. L’azienda restituisce al beneficiario una somma a titolo di risarcimento per gli spostamenti da lui effettuati, e tali costi possono essere integralmente dedotti, fermo restando la presenza di relative ricevute o titoli di viaggio che li certifichino.

Il rimborso elargito all’amministratore viene mediante le distanze chilometriche sostenute durante la trasferta. Si tratta di un metodo che trova applicazione solo se l’amministratore effettua gli spostamenti impiegando il mezzo proprio, oppure noleggiando un’auto a sue spese. Qualora preferisse viaggiare in treno o in aereo, i costi per il biglietto rientrerebbero tra le spese rimborsate con il sistema analitico.

Una questione da non sottovalutare sono i possibili accertamenti fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrate, particolarmente attenta alla questione delle spese chilometriche. Infatti, gli amministratori che utilizzano con alta frequenza l’auto di proprietà per gli spostamenti durante lo svolgimento delle mansioni, possono ricevere rimborsi davvero cospicui. Situazioni che spesso insospettiscono l’Amministrazione finanziaria la quale, molte volte, contesta le cifre elargite e portate in deduzione dalla società.

Le spese chilometriche non sono lasciate alla libera determinazione della società ma computate tramite apposite tabelle messe a disposizione dall’ACI. L’Automobile Club d’Italia si preoccupa di stilare e aggiornare periodicamente un prospetto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, per stabilire l’importo del rimborso in base a:

  • chilometri percorsi;
  • tipo di veicolo e alimentazione (diesel, benzina, GPL o elettrico);
  • prezzi medi del carburante.

 

Rimborso spese chilometriche: la disciplina fiscale

Il presupposto fondamentale per ottenere il rimborso delle spese chilometriche, è la presenza dell’autorizzazione della società che attraverso apposita delibera assembleare, concede all’amministratore la possibilità di utilizzare la propria auto, o noleggiarne una a sue spese, per espletare gli incarichi assegnati.

In particolare è l’articolo 95, comma 3 del TUIR a stabilire che:

  • i rimborsi concessi per le spese chilometriche possono essere dedotti dalla società in base alla potenza del veicolo. Nello specifico, l’intero importo è deducibile se l’automezzo ha una potenza limitata, ovvero 17 cavalli per motori alimentati a benzina e 20 cavalli per motori alimentati a diesel. Se la potenza dovesse risultare superiore, il costo deducibile va sempre riferito a quello che si sarebbe sostenuto utilizzando un’auto con i suddetti limiti di potenza;
  • l’amministratore può ricevere il rimborso sia per l’uso dell’auto di sua proprietà che per un veicolo eventualmente noleggiato;
  • le spese rimborsabili sono direttamente collegate al numero di chilometri percorsi;
  • il diritto al risarcimento presuppone l’autorizzazione della società all’uso dell’auto di proprietà o noleggio di apposito mezzo.

Nel corso degli anni, più volte è intervenuta l’Agenzia delle Entrate per chiarire il trattamento fiscale delle spese chilometriche. Con la Circolare n. 326/E/1997 e la risoluzione n. 92/E/2015 ha ribadito come l’ammontare dell’indennità debba essere determinata in base al tipo di vettura, distanza percorsa e costo al chilometro, secondo i riferimenti stabiliti dalle tabelle ACI.

Inoltre, anche la giurisprudenza ha espresso la propria opinione in merito, tramite specifiche sentenze della Corte di Cassazione dalle quali si evince chiaramente che per la deducibilità delle spese non sia sufficiente l’autorizzazione della società tramite una lettera d’incarico, ma l’inerenza dev’essere opportunamente accertata attraverso un esame contabile e, soprattutto, grazie alla verifica dell’effettiva partecipazione dell’amministratore agli incontri commerciali, nonché il reale avvio di rapporti economici tra le società coinvolte.

Il tutto per dimostrare che il beneficiario abbia realmente sostenuto le trasferte e i viaggi di lavoro. A tal proposito, sempre la Corte di Cassazione, ha stabilito come l’onere probatorio per i rimborsi è da considerarsi assolto in presenza di documenti che indichino: mese, chilometri percorsi, veicolo utilizzato e importo corrisposto secondo le tariffe ACI.

 

Condizioni per la deducibilità dei rimborsi chilometrici dell’amministratore

Ricapitolando quanto detto fin’ora, la deducibilità del rimborso per le spese legate all’impiego dell’auto privata dell’amministratore per svolgere attività sociali, è possibile in presenza dei seguenti elementi:

  • il mezzo di trasporto deve risultare di proprietà del beneficiario, oppure da lui noleggiato per la trasferta;
  • la quota deducibile fa riferimento a veicoli con potenza al massimo di 17 cavalli fiscali per motori a benzina e 20 cavalli fiscali per motori diesel;
  • la società deve aver concesso l’autorizzazione all’amministratore per utilizzare la propria auto e stabilito il conseguente rimborso spese;
  • l’importo dell’indennità dev’essere computato in base ai chilometri percorsi, tipo di veicolo e secondo le tariffe stabilite dalle tabelle ACI.

 

Il ruolo fondamentale della documentazione probatoria

Abbiamo già parlato di come l’Agenzia delle Entrate possa effettuare accertamenti fiscali al fine di verificare la veridicità dei rimborsi corrisposti e il conseguente diritto alla deducibilità degli stessi. A tal proposito, non è sufficiente versare gli importi attraverso pagamenti tracciati riportando come oggetto “Rimborso spese amministratore” o “Rimborso chilometrico amministratore“. Sarà invece indispensabile disporre di opportuna documentazione da cui le autorità competenti possano accertare:

  • tipologia del veicolo utilizzato;
  • numero di chilometri percorsi durante la trasferta;
  • tariffa chilometrica applicata;
  • autorizzazione della società all’amministratore per effettuare viaggi di lavoro con la propria auto dietro rimborso.

Anche se la normativa non lo prevede, è sempre consigliabile fornire una documentazione quanto più completa possibile. L’Amministrazione finanziaria non potrà che apprezzare la presenza di dettagli atti ad indicare, per ogni giorno di viaggio, i percorsi effettuati e le motivazioni della trasferta con riportati i nomi delle aziende o delle persone incontrate. Per lo stesso motivo, può risultare di grande aiuto conservare tutta la documentazione che certifichi l’avvenuta trasferta come le ricevute di alberghi e ristoranti, ticket per il pedaggio autostradale, scontrini per consumazioni al bar, ricevute per il rifornimento di carburante e via discorrendo. Altro consiglio è quello di redigere mensilmente una scheda per ogni amministratore con riportate tutte le note spesa, così d’avere un preciso rendiconto dei rimborsi.

Infine, è bene non dimenticare che per la deducibilità di tali importi è importante dimostrare l’effettivo versamento dei rimborsi per le spese richieste. Infatti, non è sufficiente la presenza del diritto a ricevere l’indennizzo da parte dell’amministratore, ma è necessario aver pagato il dovuto per poterlo portare in deduzione.

 

L’autorizzazione della società all’amministratore per l’utilizzo dell’auto di proprietà

Abbiamo più volte rimarcato l’importanza che l’azienda autorizzi l’amministratore ad impiegare il veicolo di sua proprietà per effettuare le trasferte. Nelle società di capitali spetterà all’assemblea dei soci deliberare a tal fine e stendere un apposito verbale che sarà poi registrato nel libro dei verbali.

Anche nelle società di persone è sempre buona norma compilare un verbale in cui i soci concedono l’autorizzazione all’amministratore ad utilizzare l’automezzo privato. Ciò evita per ogni trasferta di dover predisporre una lettera di incarico, quantomeno fino a che l’autorizzazione non venga revocata con un ulteriore verbale.

 

Amministratore società di persone: come avviene il rimborso spese?

La sostanziale differenza tra l’amministratore di una società di capitali e quello di una società di persone sta nella tipologia del rapporto di lavoro. Nel primo caso, è solitamente un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, in cui le indennità costituiscono un reddito assimilato fiscalmente trattato come quello di un lavoratore dipendente.

Per le società di persone invece il socio / amministratore, nella maggior parte dei casi, percepisce solo un compenso attraverso la partecipazione agli utili. Di conseguenza, se effettua trasferte utilizzando l’auto di proprietà, si può applicare il cosiddetto principio d’inerenza della spesa. In pratica, i costi sostenuti risultano deducibili unicamente dimostrando, attraverso apposita documentazione, l’effettiva funzionalità all’attività sociale. Per il resto si possono applicare le medesime disposizioni e gli stessi limiti di deducibilità visti in precedenza e previsti dall’articolo 95 del TUIR.

 

Come utilizzare i rimborsi spese e risparmiare sul fisco

Arrivati a questo punto, cerchiamo di capire quali vantaggi, soprattutto fiscali, possa comportare una corretta gestione dei rimborsi spese in una società di capitali, così da ottenere un buon risparmio in termini di imposte nel massimo rispetto della legalità, evitando di allertare l’Agenzia delle Entrate che potrebbe avere da ridire sul valore degli importi corrisposti e loro conseguente deducibilità.

E’ infatti utile ricordare che a seguito di accertamenti, l’autorità può, oltre che richiedere il versamento delle imposte non pagate, disporre l’applicazione di salate sanzioni amministrative e ovviamente degli interessi.

L’efficacia dei rimborsi spese come strumento di risparmio fiscale è spesso ignorata, o  non del tutto sfruttata, anche se in molte occasioni l’abuso di questo strumento ha comportato più problemi che benefici per amministratore e società. A tal proposito, l’errore che più spesso viene commesso è quello di concedere il rimborso per costi relativi a spese mai sostenute.

Tra gli aspetti che è opportuno valutare ci sono inoltre le differenze tra i rimborsi concessi ad un amministratore con o senza busta paga. Il beneficiario con contratto di collaborazione coordinata continuativa può accedere al rimborso analitico, forfettario nonché a quello chilometrico. Al contrario, essendo un titolare di partita IVA e non avendo una busta paga, non sarebbe possibile concedere il rimborso forfettario al socio amministratore senza inserire l’importo in una specifica busta paga, appunto.

Il motivo è spiegato nell’interpello n. 27/2010 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali emanato in risposta alla domanda precisa, se fosse possibile richiedere rimborsi spese anche dagli amministratori senza compenso. Nel documento viene specificato come ogni rimborso spese dev’essere indicato nel libro unico del lavoro, ovvero risultare da una voce in busta paga e quindi facilmente determinabile ai fini fiscali.

Di conseguenza, sembrerebbe che un amministratore titolare di partita IVA, senza busta paga, non possa accedere a nessun rimborso in quanto le spese dovrebbero essere tutte a lui fatturate. Ciò comporta due possibilità:

  • emettere una busta paga senza compenso ma contenente solo i rimborsi spese;
  • utilizzare i rimborsi spese unicamente in presenza di amministratori con busta paga.

Da ciò si comprende il motivo per cui, quasi sempre, l’amministratore risulta un lavoratore dipendente, e più raramente un libero professionista con partita IVA. Infatti, è piuttosto inusuale che una società di capitali decida di creare una busta paga solo per l’erogazione dei rimborsi.

Oltretutto, utilizzare con una certa frequenza il rimborso forfettario, anche con l’importo inserito in busta paga, in assenza di un compenso, rappresenta una situazione ritenuta alquanto sospetta dall’Amministrazione Finanziaria. In pratica, l’Agenzia delle Entrare intravede, nell’utilizzo dei rimborsi forfettari, il tentativo di voler distribuire utili senza pagare imposte e contributi. In definitiva, è consigliabile attribuire i rimborsi spese sempre in presenza di un compenso con relativa busta paga, altrimenti si potrebbero avere grossi problemi a dimostrare la buona fede e la veridicità di questi importi a seguito di accertamenti fiscali.

La situazione non è comunque così cristallina, anzi è piuttosto nebulosa e non risulta affatto facile divincolarsi tra circolari, interpelli e quant’altro. A dimostrazione di quanto appena detto, non dobbiamo dimenticare che l’amministratore senza busta paga può avvalersi del principio di inerenza, ovvero ottenere i rimborsi per le spese di vitto e alloggio purché inerenti con le attività dell’impresa. Tali costi, comprese le spese chilometriche, sono deducibili dalla società fermo restando i limiti stabiliti dall’articolo 95 del TUIR.

Giunti ormai al termine del nostro approfondimento, possiamo così riassumere i comportamenti da adottare per un’ottimale gestione delle indennità:

  • inserire in busta paga ogni rimborso, anche nel caso in cui non fosse previsto alcun compenso per gli incarichi di amministratore. Quest’ultimo dovrebbe, nel limite del possibile, richiedere un cedolino busta paga in presenza di rimborso analitico e per le spese chilometriche;
  • è consigliabile evitare di attribuire rimborsi forfettari in assenza di un compenso. Solo così è possibile limitare gli accertamenti fiscali e difendersi dall’eventuale accusa di utilizzare tale metodo per distribuire utili esenti da imposte e contributi;
  • in presenza di amministratori senza busta paga è opportuno restituire solo i rimborsi analitici e le spese chilometriche, infatti sfruttando il principio di inerenza non vengono considerati ricavi;
  • per evitare contestazioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria, suggeriamo alla società di predisporre una certificazione annuale dei compensi / rimborsi.

Infine, ricordiamo che le spese conseguenti a trasferte all’interno del territorio comunale contribuiscono a formare il reddito imponibile e quindi verranno tassate in capo al beneficiario.

Per ultima cosa vorrei soffermarmi su un aspetto fondamentale, ovvero su quanto lo sfruttamento dei rimborsi spese possa aiutare le imprese a ridurre il loro carico fiscale e sottolineare quanto questa sia spesso ignorato. Mi spiego meglio: quante volte, in qualità di amministratore ci si sposta dalla sede dell’azienda utilizzando un veicolo per:

  • andare a vedere lavori da clienti e/o fornitori;
  • andare a fare preventivi;
  • andare dal commercialista;
  • risolvere il problema di un cliente/fornitore;
  • consegnare un disegno, un progetto o un preventivo;
  • fare colloqui con lavoratori, clienti;
  • partecipare a convegni, corsi di formazione, riunioni, fiere e mostre;
  • fare la spesa per la cancelleria;

Mi fermo, ma l’elenco potrebbe essere ancora lunghissimo…. e quante volte questi spostamenti vengono trascurati ed eventualmente, per “trasferta” viene intesa soltanto quella canonica quando ci si reca in qualche altra azienda per lavorare fuori sede? Direi che nella maggior parte dei casi funziona cosi, e questo comporta un mancato risparmio fiscale che quantificato potrebbe essere molto simile alla situazione che sto per descrivere:

  • immaginiamo che il socio amministratore acquisti un’auto e la intesti a se stesso. Come persona fisica, ovviamente, non potrà dedurre alcun costo relativo alla vettura, né tantomeno quelli sostenuti ogni qualvolta la utilizzi per questioni aziendali. Se il socio amministratore però, percepisse ogni mese una busta paga con un compenso amministratore (situazione ideale per non insospettire l’Amministrazione Finanziaria), potrebbe, come descritto nell’articolo, presentare la lista delle trasferte da lui effettuate con le relative motivazioni e il numero dei km percorsi. Questo significa che nella sua busta paga, oltre a percepire il compenso, egli potrà vedersi aggiunto l’importo dei rimborsi chilometrici, ovvero una somma completamente esente da imposizione. Supponiamo che il nostro amministratore percorra mediamente 2.500 km al mese (una cifra che può essere ragionevolmente giustificata) e che la tabella ACI per la propria auto consenta un rimborso di 0,32 €/km, egli potrà incassare 800 € (0,32 x 2.500) esenti da imposte ogni mese. Se rapportiamo questa cifra ad un anno intero, possiamo ottenere una cifra di 9.600 € che potranno essere versati esentasse al socio amministratore.
  • lo stesso amministratore, potrebbe ricevere un ulteriore rimborso forfettario di 46,48 € giornalieri, per qualsiasi motivo, per recarsi dal commercialista ubicato fuori dal comune di residenza dell’impresa, ad esempio, anche se non sostiene effettivamente alcuna spese per vitto, alloggio, o altro. L’indennità forfettaria, così come dice il nome, è indipendente da quanto effettivamente speso per la trasferta e, il concetto stesso di trasferta è riscontrabile in qualunque spostamento fatto dall’amministratore in un comune diverso da quello dell’impresa. In soldoni, significa che se, ad esempio, fosse possibile giustificare 10 trasferte mensili dell’amministratore (l’appuntamento dal commercialista, l’acquisto della cancelleria, una visita da un cliente/fornitore, ecc.), si potrebbe ottenere un rimborso forfettario di 464,80 € (10 x 46,48), anche questo esente da imposte. Se rapportiamo la cifra mensile ad un anno intero, ecco che le cose diventano più interessanti, arrivando ad una cifra di 4.648 € che l’amministratore potrà incassare senza imposizione.

Ho fatto questi due esempi per far capire, in cifre, cosa possa significare una corretta gestione dei rimborsi, e quanto questa possa consentire un ottimo risparmio in termini di imposte. Considerando, oltretutto, che una tipologia di rimborso, non esclude l’altra, sarà possibile arrivare ad erogare a titolo di rimborso, nel nostro esempio, fino a 14.248 € senza versare alcuna imposta. Direi che non è poco…

   

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