Recesso del socio da una società di persona

Scritto da Omar Cecchelani in Imprese

Tra gli argomenti riguardanti le società di persone, uno molto interessante è quello del recesso di un socio e il conseguente versamento della quota di liquidazione. Scopo di quest’articolo è analizzare nel dettaglio cosa prevede la disciplina civilistica e fiscale in merito, nonché capire il corretto comportamento da tenere dal punto di vista contabile e fiscale.

La regola di base è definita dall’articolo 1372 del codice civile, che stabilisce come lo scioglimento di un contratto sociale rappresenta un’evenienza concessa solo per accordo consensuale tra le parti, oppure in tutti i casi previsti dalla legge. Una delle situazioni ammesse è proprio quella che si verifica quando il socio decide di recedere dal contratto, a patto che sussista il carattere di eccezionalità, altrimenti verrebbe a mancare la forza che vincola il contratto stesso.

A sua volta, il recesso del socio è disciplinato dall’articolo 2285 del codice civile e attribuisce il diritto, ad un singolo membro della società, di rompere in modo unilaterale il rapporto che lo lega agli altri soci. Nelle società semplici, SNC e SAS i partecipanti sono uniti da un vincolo personale, pertanto il recesso assume un carattere peculiare ed è possibile applicarlo solo in determinate circostanze.

Uno degli effetti provocati dal recesso di un socio è il suo diritto alla liquidazione, vale a dire il ricevimento di una somma di denaro quantificata in base al valore della quota posseduta dal socio uscente. Inoltre, si vengono a generare tutta una serie di obblighi civilistici e di riflesso anche contabili. L’importo che la società dovrà corrispondere al socio svincolato è costituito da due componenti: rimborso della quota di capitale e differenza da recesso.

Il rimborso della quota di capitale, come si evince chiaramente dalla definizione, rappresenta l’importo di valore proporzionale alla partecipazione posseduta dal socio. Quindi, è la parte di capitale sociale che il soggetto ha versato a cui aggiungere la distribuzione delle riserve (sia accantonamenti per utili di esercizio che quote di capitale). La differenza di recesso, invece, è una somma riconosciuta qualora il valore economico complessivo della società, alla data di scioglimento del contratto, risulti superiore rispetto al valore contabile del patrimonio societario.

Dopo questa succosa anticipazione, andiamo ad approfondire cosa prevede il codice civile in materia di recesso del socio in una società di persone e quando, effettivamente, è concesso applicare tale disciplina.

Indice:

 

Recesso del socio: cosa stabilisce il codice civile

L’articolo 2285 del codice civile si occupa di tutti gli aspetti del recesso del socio da una società di persone. Tale evenienza rientra nella casistica dello scioglimento singolo di un contratto sociale, pertanto il rapporto interrotto riguarda, esclusivamente, il vincolo in essere tra socio e società. Ciò significa che un socio con l’intenzione di recedere dal contratto che lo lega ad una società semplice, SNC o SAS ha facoltà di procedere in tutta libertà, a patto di rispettare le seguenti condizioni:

  • sussistenza di una giusta ragione per le società a tempo determinato;
  • che il recesso avvenga in maniera convenzionale secondo i casi e modi previsti dal contratto sociale;
  • con preavviso qualora la società fosse costituita a tempo indeterminato.

E’ doveroso evidenziare come la Corte di Cassazione, tramite l’Ordinanza n. 17154 / 2017, sia intervenuta al riguardo precisando un aspetto alquanto rilevante. Nello specifico, ha stabilito come il socio che intenda recedere dal contratto, mantenga la personale responsabilità nei confronti di tutte le obbligazioni esistenti alla data di scioglimento del rapporto con la società. In altre parole, l’ex socio dovrà rispondere, ad esempio, dei debiti esistenti fino al momento in cui si svicola, mentre decade ogni responsabilità per le obbligazioni future nate dopo il recesso.

Andando ad analizzare più in profondità l’articolo 2285 ci accorgiamo che la legge precisa alcuni elementi di grande importanza e in particolare:

  • che un socio ha diritto di procedere al recesso qualora la società risulti contratta a tempo indeterminato, oppure per l’intera vita del socio;
  • il recesso è consentito se lo specifico caso rientra tra quelli previsti dal contratto sociale, ovvero in presenza di una giusta causa;
  • nelle società a tempo indeterminato il socio che intende recedere deve comunicare la sua intenzione agli altri soci con un preavviso di almeno 3 mesi.

Quanto appena affermato comporta che il socio di una società, ad esempio in accomandita semplice, oppure in nome collettivo, possa prendere in qualsiasi momento la decisione di recedere dal contratto, a patto che la società stessa risulti essere “a tempo indeterminato“. Il soggetto dovrebbe essere a conoscenza di quest’ultimo aspetto, tuttavia può accertarlo consultando il contratto sociale. Se tutto corrisponde, il recedente deve ricordarsi di inviare agli altri soci un’apposita comunicazione con preavviso di almeno 3 mesi, così da poter esercitare senza contestazioni il proprio diritto al recesso. Per società a tempo determinato, invece, il socio può procedere a sciogliere il contratto se sussiste una giusta causa, oppure per una motivazione prevista dal contratto sociale.

Di fronte alla volontà di applicare il diritto di recesso, abbiamo visto come risulti quanto mai opportuno effettuare un controllo preliminare allo scopo di stabilire la modalità con cui è stata contratta la società.

 

Le tipologie di recesso del socio

A seconda se la società di persone risulti essere “a tempo indeterminato o determinato”, il diritto di recesso si suddivide nelle seguenti categorie:

  • ad natum, comma 1 art. 2285 c.c.;
  • per giusta causa, comma 2 art. 2285 c.c..

 

Recesso del socio ad natum

Si manifesta solo in presenza di un società di persone a tempo indeterminato o contratta per la durata della vita di uno dei soci. Chi intende annullare il vincolo contrattuale dovrà comunicarlo, con un preavviso di almeno tre mesi, agli altri soci. La disciplina non prevede nessuna particolare forma (è valida anche la comunicazione verbale), tuttavia l’onere del preavviso è una condizione imprescindibile per esercitare il diritto di recesso.

Un aspetto da sottolineare è l’ipotesi di proroga tacita, situazione che si manifesta nel momento in cui decorre il termine di durata della società e i soci non hanno provveduto a modificarne il contratto sociale. In tali frangenti, la società di persone passa automaticamente a tempo indeterminato e, di conseguenza, un socio potrà applicare il recesso ad natum.

 

Recesso del socio per giusta causa

Il recesso per giusta causa è riconducibile a violazioni compiute da altri soci che non hanno rispettato gli obblighi contrattuali, quindi per il venir meno del rapporto di fiducia che sta alla base di una società di persone.

In aggiunta un socio può recedere dal contratto se:

  • non ha partecipato alla decisione di trasformazione in società di capitali;
  • non ha dato il proprio consenso ad una eventuale fusione.

Inoltre, rientrano nella giusta causa anche le ipotesi previste dall’articolo 2497 c.c. riguardanti società soggette ad attività di direzione e coordinamento.

Oltre alla giusta causa, il recesso è possibile per tutti i casi previsti dal contratto sociale, comprese eventuali clausole appositamente inserite per disciplinare proprio il recesso parziale.

A differenza del recesso ad natum, in questo caso non serve alcun preavviso ma è sufficiente che il socio manifesti la propria volontà con un qualsiasi comportamento concludente.

 

Cosa significa esattamente giusta causa?

In molte situazioni, l’applicazione del diritto di recesso è subordinato all’esistenza di una giusta causa. Non è sempre facile capire se ci si trovi realmente di fronte ad una motivazione che rientra nella corretta casistica, pertanto è bene conoscerne con precisione il significato.

L’interpretazione della giurisprudenza è sempre stata alquanto restrittiva, stabilendo che per giusta causa si deve intendere la violazione di un obbligo contrattuale, di fedeltà, lealtà e correttezza che compromette il vincolo tra i soci.

Il diritto di recesso per giusta causa è sempre la reazione di un socio ad un comportamento ritenuto illegittimo da parte di un altro socio, che provoca la rottura del rapporto fiduciario. Tuttavia, è spesso difficile riuscire a dimostrare che tale atteggiamento rappresenti una palese violazione di un obbligo contrattuale. Ad esempio, un disaccordo su una qualunque pretesa, oppure un dissenso, non rientrano nella casistica della giusta causa, quindi non danno diritto a recedere dal contratto sociale.

 

Quali motivazioni si possono considerare una giusta causa?

Cerchiamo di capire quali possano essere i comportamenti illegittimi che potrebbero essere considerati “giusta causa” e che consentirebbero ad un socio di applicare il cosiddetto diritto di recesso. Nello specifico riguardano:

  • socio amministratore che ripetutamente non rispetta l’obbligo di rendere conto della gestione della società e dell’andamento economico dell’azienda;
  • emarginazione di un socio amministratore, al quale vengono affidati compiti di poca importanza, negata la disposizione delle scritture contabili, nonché la possibilità di assumere decisioni di rilievo per la società;
  • gravi irregolarità nella tenuta dei libri contabili da parte del socio amministratore e, al contempo, l’attività dell’azienda risulti in forte e irrimediabile passivo;
  • esclusione, senza motivo, di un socio dalla gestione degli affari della società;
  • socio con assegni bancari, vaglia, o cambiali protestate al momento del recesso.

 

Motivazioni oggettive inerenti il socio recedente

La normativa ha deciso di ampliare i casi che portano all’applicazione del diritto di recesso. In particolare, la disciplina ha stabilito che, tra le giuste cause, possono rientrare anche i fatti rilevanti di natura oggettiva riguardanti il socio recedente.

Di conseguenza, tra le cause di recesso possiamo inserire:

  • dissidi insanabili tra i soci, vale a dire di tale gravità da riflettersi negativamente sulla gestione dell’attività d’impresa e ostacolare il conseguimento dell’oggetto sociale;
  • modifiche essenziali del contratto sociale tramite voto di maggioranza, a patto che questo sia ammesso dall’atto costitutivo. In questi frangenti un socio che non approva la decisione può decidere di uscire dalla società;
  • condotta immorale dei soci;
  • nel caso in cui non venga escluso un socio nonostante si siano manifestati i presupposti;
  • notevole perdita di conferimenti.

 

Altre motivazioni riconducibili a giusta causa

Ci sono una serie di fattispecie a integrazione della giusta causa di recesso che riguardano i fatti straordinari, i quali fanno venir meno la figura personale del socio. Si tratta di ostacoli che impediscono al soggetto di svolgere le sue mansioni e rispettare il contratto sociale.

Ecco una serie di esempi che possono essere considerati come giusta causa:

  • dichiarazione di interdizione o inabilità: il socio risulta essere incapace totalmente, o solo in maniera parziale, di partecipare alla vita sociale, essendo costretto ad essere rappresentato, oppure assistito;
  • socio d’opera non più nelle condizioni di prestare la propria attività d’impresa;
  • socio incapace di svolgere le attività sociali a causa di una malattia, oppure dell’età avanzata: tale motivazione è giustificata dall’importanza delle attività svolte dal socio all’interno della società, in mancanza delle quali può venir meno il conseguimento dell’oggetto sociale. La medesima situazione si verifica in presenza di società con durata breve di massimo 20 anni e, al contempo, soci molto anziani.

Al fine di prevenire eventuali controversie sulla validità di una giusta causa, è possibile aggiungere nel contratto sociale specifiche integrazioni e spiegazioni su quali fatti possano rappresentare la causa stessa. Per quanto riguarda l’accertamento sull’idoneità della giusta causa e l’ammissibilità del recesso, è compito del giudice incaricato esprimere una propria valutazione.

 

Recesso del socio: la liquidazione della quota

Spetta all’articolo 2289 c.c. disciplinare la fase di liquidazione a seguito del recesso di un socio, individuando le regole per ogni caso ammesso. Nello specifico è previsto che:

  • in presenza dello scioglimento unilaterale del vincolo contrattuale, il socio recedente e gli eredi abbiano diritto al solo ricevimento di una somma di denaro a titolo di liquidazione che rappresenti il valore della quota versata;
  • la liquidazione viene effettuata considerando lo stato patrimoniale della società nel preciso momento in cui si manifesta il recesso;
  • il socio uscente, o eventualmente i suoi eredi, hanno il diritto a partecipare ad utili e perdite derivanti da operazioni in corso;
  • il versamento di quanto spetta al socio deve avvenire entro sei mesi dalla data di scioglimento del contratto, salvo diverse disposizioni previste dall’articolo 2270 del codice civile.

Da quanto appena detto si desume che:

  • il socio ha diritto solamente ad una somma in denaro che rappresenti il valore della sua quota. Di conseguenza, non potrà richiedere la restituzione dei beni conferiti, anche se questi sono stati concessi in godimento alla società. Ad esempio, macchinari e attrezzature conferite dal socio recedente resteranno di proprietà dell’azienda;
  • il calcolo della liquidazione si basa, da una parte sulla quota di capitale detenuta dal socio uscente e dall’altra sulla situazione patrimoniale societaria nel momento in cui avviene lo scioglimento del vincolo. In questi casi, gli amministratori procedono alla redazione del cosiddetto bilancio straordinario, determinando e versando la somma in denaro spettante al socio in uscita.

 

In cosa consiste il bilancio straordinario

Il bilancio straordinario è la procedura prevista dalla normativa per liquidare il socio recedente. E’ compito degli amministratori redarre tale documento allo scopo di determinare il valore della società e, di conseguenza, la somma di denaro che rappresenta la quota spettante all’ex socio. Quest’ultimo, durante la procedura di liquidazione, deve avere la possibilità di controllare l’operato degli amministratori.

A tal proposito, sarebbe opportuno avvalersi di un commercialista così da poter verificare la correttezza della determinazione della quota di liquidazione. Molto spesso, infatti, capita che gli amministratori propongano al socio recedente una somma di denaro forfettaria. E’ necessario sapere che la legge prevede una procedura ben precisa con valutazione della quota in base al valore economico della società. Pertanto, è opportuno non accettare nessuna somma a titolo di liquidazione computata con altri metodi e, al contempo, prestare molta attenzione a firmare accordi proposti dalla società senza prima consultare il proprio commercialista di fiducia.

 

L’iscrizione del recesso di un socio presso il Registro delle Imprese

Quando un socio decide di uscire dalla società, uno degli effetti sarà la modifica del contratto sociale, con conseguenti obblighi pubblicitari. Ciò significa che gli amministratori hanno il dovere di comunicare l’avvenuto recesso al Registro delle Imprese.

Abbiamo visto come il socio recedente è responsabile di tutte le obbligazioni sociali fino alla sua uscita. A riguardo, è molto importante evidenziare come lo scioglimento del vincolo societario abbia validità solo quando viene registrato presso la Camera di Commercio e iscritto nel Registro delle Imprese. Quindi, fino a quel preciso momento, l’ex socio rimane responsabile per le obbligazioni sociali. Oltretutto, il contratto, normalmente, viene modificato in un secondo tempo rispetto al recesso e anche la comunicazione richiede tempistiche piuttosto lunghe. Perciò, eventuali debiti conseguiti dalla società dopo lo scioglimento del contratto possono vedere l’ex socio ancora responsabile. In questi casi l’unica possibilità è dimostrare che i terzi fossero già a conoscenza dell’avvenuto recesso.

 

Come avviene la comunicazione del recesso al Registro delle Imprese?

Spetta all’amministratore della società iscrivere al Registro delle Imprese il recesso, tuttavia i tempi sono spesso volutamente allungati e ciò mette il socio uscente in una situazione non certo piacevole, in quanto dovrà mantenere la responsabilità verso le obbligazioni sociali anche se, di fatto, si trovi già fuori dalla compagine. Per tutelare il socio svincolato, la legge gli consente di effettuare personalmente la comunicazione al Registro delle Imprese al posto della società.

Un’azione sempre consigliabile poiché, molte volte, gli amministratori lasciano passare lunghi periodi prima di convocare il socio per redarre la modifica dell’atto costitutivo. In attesa che venga aggiornato e registrato il contratto è opportuno che il socio recedente iscriva personalmente il recesso, così da far decadere la sua responsabilità verso altri eventuali nuovi debiti.

 

Pagamento della quota di liquidazione

La procedura di liquidazione termina nel momento in cui il socio recedente riceve la somma in denaro che gli spetta. A partire dalla data dello scioglimento del vincolo contrattuale, la società dispone di 6 mesi per effettuare il pagamento.

Se trascorso tale periodo la società non avrà provveduto al versamento, essendo la quota di liquidazione un credito in valuta, l’ex socio potrà applicare i principi sul risarcimento del danno a seguito della morosità del debitore.

 

Aspetti contabili del recesso del socio

Come abbiamo visto, a seguito del recesso di un socio, gli amministratori devono redigere un bilancio straordinario per valutare il corrente valore della società e poter così calcolare la quota di liquidazione.

Nel contratto sociale potrebbero essere presenti clausole per derogare la suddetta procedura. Nulla vieta ai soci di aver previsto la liquidazione della quota basandosi sull’ultimo bilancio, oppure attraverso la concessione di beni sociali. A tal proposito, la normativa è piuttosto lacunosa, tuttavia sembrerebbe inammissibile una deroga che stabilisca il valore della quota di liquidazione pari al valore nominale della stessa.

Anche il socio d’opera, in caso di recesso, ha diritto ad una liquidazione che, naturalmente, non comprende quote di capitale. Infatti, a differenza di un socio capitalista, il socio d’opera conferisce nella società solo prestazioni di natura manuale o intellettuale.

Dal punto di vista contabile è interessante la situazione in cui la quota di liquidazione risulti di valore negativo. In tali frangenti, la società non ha alcun diritto di chiedere al socio recedente il versamento di somme di denaro a copertura delle perdite. Anche in questo caso la normativa non è particolarmente chiara e sembrerebbe ammettere, per società e soci superstiti, la possibilità di attuare iniziative al fine di conservare il patrimonio del socio in uscita.

 

Aspetti fiscali del recesso del socio

Sotto il profilo fiscale la quota di liquidazione ricevuta dal socio recedente è determinata da due componenti:

  • quota di capitale: che rappresenta il rimborso del valore nominale della partecipazione detenuta dal socio in uscita. La società provvederà a versare tale somma e annullare la relativa quota di capitale sociale, sottraendo le eventuali riserve di utili e capitali che spettano al socio recedente. Si tratta di operazioni meramente patrimoniali, per cui non hanno nessuna rilevanza sulla determinazione del reddito imponibile della società;
  • differenza da recesso: costituisce la conseguenza di plusvalenze latenti sui beni dell’attivo e dall’eventuale valorizzazione economica della società rispetto al valore storico indicato a bilancio. Secondo l’Agenzia delle Entrate rappresentano componenti positivi del reddito, quindi da tassare in capo ai soci superstiti secondo il principio di trasparenza. Anche gli utili che si stanno generando alla data di scioglimento del vincolo contrattuale, e quelli conseguiti nel resto dell’esercizio, sono soggetti a tassazione per trasparenza in capo ai soci superstiti al termine dell’esercizio stesso.

 

Trattamento fiscale della quota di liquidazione

L’articolo 20-bis del DPR n. 917/86, definisce le disposizioni da seguire per determinare la tassazione della quota di liquidazione versata al socio recedente. A tale scopo bisogna raffrontare:

  • la somma di denaro o il valore normale dei beni riconosciuti al socio dopo lo scioglimento del vincolo contrattuale;
  • il costo della partecipazione detenuta dal socio riconosciuto ai fini fiscali.

Dalla differenza positiva dei suddetti componenti scaturisce il reddito d’impresa, il quale sarà soggetto a tassazione in capo al socio recedente in base alla normativa fiscale che regola tale tipologia di reddito.

Ciò appena detto ha valore nel caso di recesso da una società di persone di natura commerciale, altrimenti, in presenza di una società semplice il reddito risulta tassabile per cassa. Inoltre, bisogna considerare che, trascorsi più di 5 anni tra la data di costituzione della società e la comunicazione di recesso, i redditi vengono sottoposti a tassazione separata. In questi casi l’ex-socio ha comunque facoltà di optare per la tassazione ordinaria.

 

Conclusioni

Di fronte alla decisione di un socio di sciogliere i vincoli contrattuali e abbandonare la società, di solito, sussistono rapporti ormai compromessi e situazioni di profondo contrasto. Oltretutto, il recesso è un’azione che può comportare rilevanti conseguenze anche per la vita della società stessa. Basti pensare a cosa accade, ad esempio, in una SNC composta da due soci qualora uno dei due decida di recedere dal contratto societario. Il socio superstite si troverà costretto a trasformare la società in nome collettivo in una ditta individuale, oppure trovare in tempi brevi (6 mesi), un nuovo socio per ripristinare la pluralità.

A tutto questo bisogna aggiungere il fatto che il socio uscente rimane personalmente responsabile di tutte le obbligazioni societarie, fino alla formalizzazione del recesso presso il Registro delle Imprese.

Pertanto si tratta di una situazione da affrontare con la dovuta cautela ed attenzione, appoggiandosi sempre ad un consulente o al proprio commercialista di fiducia.

   

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