Quanto tempo passa tra separazione e divorzio

Scritto da Omar Cecchelani in Famiglia

Ai fini dell’ottenimento del divorzio, le tempistiche cambiano a seconda di alcune condizioni, e qualche volta i tempi potrebbero allungarsi più del previsto. Anni fa per il divorzio era necessario attendere 3 anni dalla separazione mentre, con la riforma del 2015, le cose sono cambiate e i tempi si sono accorciati.

La riforma ha infatti ridotto ad un anno il tempo che passa dalla separazione dei coniugi al divorzio nei casi di separazioni giudiziali, e a 6 mesi nei casi di separazioni consensuali. Dopo la breve ma doverosa introduzione, scendiamo nei dettagli per analizzare le varie casistiche, modalità e tempi riguardo alle pratiche di separazione e divorzio.

Indice:

 

Separazione: modalità e tempi

Prima del divorzio è quindi necessaria la separazione, un’interruzione del matrimonio non definitiva. Un’interruzione provvisoria per consentire ai coniugi di fare ulteriori riflessioni ed eventualmente ripensarci. Nel corso della separazione, vincoli e adempimenti del matrimonio cessano temporaneamente, a parte l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento nei confronti del coniuge che versa nelle condizioni finanziarie peggiori.

In seguito ad accordi o disaccordi tra gli interessati la separazione si distingue in due diverse modalità:

  • giudiziale: nel momento in cui tra i coniugi non si raggiunge un accordo e si richiede l’intervento del tribunale. In genere, questa situazione si concretizza per le problematiche legate alla divisione dei beni e all’affidamento dei figli. Naturalmente con la separazione giudiziale i tempi si allungano;
  • consensuale: nel caso in cui tra i coniugi ci sia un preciso accordo e si procede attraverso un’apposita istanza al tribunale, una manifestazione di dichiarazioni separate davanti al sindaco, o negoziazione assistita da legali. Con la separazione consensuale i tempi per la separazione si accorciano, proprio grazie a un accordo alla base tra le parti coinvolte.

Con la riforma del 2015, rispetto al passato, i tempi oggi sono più brevi e accettabili. Tra la separazione e il divorzio, di fronte una separazione consensuale occorrono soltanto sei mesi, mentre serve un anno con la separazione giudiziale. Tempistiche sostanzialmente ridotte rispetto a quando ci volevano 3 anni dalla separazione al divorzio.

Tuttavia, quando nel corso della separazione i coniugi si riappacificano, viene sospeso il termine che sancisce il tempo che passa tra separazione e divorzio. La riconciliazione tra i coniugi è da constatare in base a degli atteggiamenti che manifestano la voglia degli interessati di non separarsi più. Un comportamento assimilabile alla conciliazione è, per esempio, il ritorno dei coniugi a una stabile convivenza.

 

Divorzio breve

Come ampiamente ribadito, la richiesta del divorzio può avvenire solo a seguito di separazione. Con la riduzione dei tempi prevista dalla riforma del 2015 si parla di divorzio breve. Nei casi di separazione giudiziale è necessario aspettare un anno, mentre con la separazione consensuale i tempi di attesa si riducono ulteriormente a sei mesi. Il divorzio può anche essere richiesto senza separazione, ma solamente a determinate condizioni:

  • matrimoni non consumati;
  • scioglimento o annullamento di matrimoni celebrati all’estero;
  • condanna per un reato grave nel contesto di famiglia (omicidio, violenze, incesto, etc.);
  • cambiamento di sesso.

Con la pratica di divorzio si concretizza il definitivo scioglimento di un matrimonio e la decadenza dei doveri e diritti nei confronti dei coniugi. In caso di decesso di un coniuge, per esempio, all’altro coniuge non spetterà alcuna eredità. Non sarà dovuto neanche l’assegno di mantenimento, ma solo l’assegno divorzio per il coniuge senza occupazione lavorativa. L’assegno di divorzio è quindi dovuto al coniuge privo di lavoro, in maniera tale da assicurare a quest’ultimo di vivere degnamente e con una certa autosufficienza dal punto di vista economico.

Per il divorzio, in caso di mancato accordo tra le parti, è possibile interessare l’autorità giudiziaria. Una procedura complessa e che prevede tempi lunghi. Con il divorzio consensuale, come per la separazione, sono invece possibili la manifestazione di dichiarazioni separate davanti al sindaco, la negoziazione assistita da legali e l’istanza presso un tribunale.

 

Separazione e divorzio: risvolti fiscali

Nel caso in cui un matrimonio vada a rotoli sarà necessario confrontarsi anche con dei risvolti di natura fiscale ed economica. Quando nel corso della procedura di separazione il giudice riconosce a una delle parti il diritto di mantenere lo stesso tenore di vita dell’altra, è previsto ik versamento di un assegno di mantenimento verso il coniuge più debole.

Un assegno riconosciuto all’avente diritto esclusivamente quando questo non versa nelle condizioni economiche sufficienti per conservare un tenore di vita analogo a quello condotto durante il matrimonio. Versamento che non va confuso con gli alimenti, da versare soltanto quando il coniuge è in stato di estrema necessità.

I contribuenti che regolarmente corrispondono gli assegni ai loro coniugi hanno il diritto di portarli completamente in deduzione dal proprio reddito, a patto però di separazione effettiva, che la somma sia pari a quella stabilita dal giudice, ed effettivamente corrisposta.

Al mantenimento dei figli devono provvedere entrambi i genitori. Il genitore al quale i figli non sono stati affidati ha il dovere di partecipare finanziariamente al loro mantenimento, attraverso un assegno stabilito dal giudice in proporzione ai redditi percepiti e alle necessità dei figli. Siccome gli assegni per il sostentamento dei figli non possono andare in deduzione dal reddito, i provvedimenti dei giudici necessitano di una netta distinzione tra gli importi versati a favore dei figli e quelli versati per il coniuge.

 

Assegni di mantenimento e dichiarazione dei redditi

I coniugi percettori degli assegni di mantenimento devono inserirli nella dichiarazione annuale dei redditi poiché sono imponibili ai fini dell’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF). La quota degli assegni riferita ai figli non è imponibile, dunque non è da dichiarare né da parte del coniuge affidatario né da parte dei figli. Inoltre, nonostante l’assegno di mantenimento sia assimilabile al reddito da lavoro dipendente, su di esso non si può fruire dell’aumento di deduzione pari a euro 4.500 stabilito per tale tipo di reddito.

Nei casi di divorzi o separazioni è preclusa poi la possibilità della presentazione della dichiarazione dei redditi congiunta. Invece, se dovesse arrivare un credito IRPEF derivante da una vecchia dichiarazione congiunta, a ciascun coniuge può essere attribuita la quota di sua competenza. La ragione per cui è necessario comunicare al più presto e in forma scritta il divorzio o la separazione all’Amministrazione Finanziaria competente.

Di fronte poi a situazioni di cessazione di rapporti di lavoro, il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) non spetta all’altro coniuge separato. Trattamento di Fine Rapporto del quale invece hanno diritto i coniugi che percepiscono gli assegni di mantenimento, in misura del 40% del TFR maturato nel tempo in cui i coniugi erano regolarmente sposati.

 

Familiari a carico: detrazioni, deduzioni e casa familiare

Di norma, per il Fisco italiano sono ritenuti a carico i figli, anche non conviventi, con un reddito annuo lordo inferiore a euro 2.840, 51. Nei casi di separazione o divorzio, un figlio può essere dichiarato a carico dai due genitori secondo una percentuale concordata. Il solo vincolo è che il totale della percentuale di carico di un figlio tra le parti sia pari al 100%. Restando in tema, corre il dovere di ribadire che i divorzi e le separazioni non danno diritto alla possibilità di fruire per i figli della detrazione per mancanza del coniuge, stabilita nel caso di decesso dall’altro genitore, o di mancato riconoscimento dei figli.

Le deduzioni e le detrazioni per i costi affrontati per i figli (polizze assicurative, spese sanitarie, per la scuola, etc.) sono fruibili dai genitori che dichiarano i figli a carico. All’atto della dichiarazione dei redditi annuale, a seguito di un preciso accordo, quando gli ex decidono di dichiarare un figlio a carico al 50%, possono dividersi i costi deducibili/detraibili sostenuti. Fino al definitivo divorzio, pure un coniuge legalmente ed effettivamente separato può essere ritenuto quale altro familiare a carico.

Per ciò che riguarda le case familiari, generalmente vengono assegnate a uno soltanto dei coniugi, al di là della singola quota effettiva di proprietà. Di norma, in presenza di figli, la casa viene assegnata al genitore al quale gli stessi sono affidati. In caso di abitazione in locazione, il contratto di affitto è trasferito al coniuge che resta nella casa. In assenza di figli, in genere, l’abitazione rimane al coniuge titolare dell’immobile, o del contratto di affitto, mentre se la proprietà appartiene a entrambi la decisione sull’assegnazione spetta a loro, o a un giudice.

Nei casi di separazione, quando la casa principale (cointestata) è assegnata a un coniuge soltanto, tutti e due hanno diritto a dichiarare l’abitazione quale principale, fruendo della totale deduzione del reddito relativo all’immobile. Quando c’è di mezzo il divorzio, il coniuge trasferito può dichiarare l’abitazione come prima casa in proporzione alla quota di proprietà, ma soltanto se vi abitano i figli. Tuttavia, il coniuge trasferito per avvalersi del diritto alla deduzione non può risiedere in un’altra casa di proprietà, che di conseguenza diverrebbe per lui prima casa.

 

Interessi passivi sui mutui, costi per la ristrutturazione, tasse e assegni familiari

Hanno diritto alla detrazione degli interessi sui mutui formalizzati per l’acquisto della prima casa i titolari dei contratti di mutuo, che di norma sono i proprietari delle case. Fino alla definitiva sentenza di divorzio, anche i coniugi separati rientrano tra i familiari e, pertanto, anche se trasferiti possono continuare a fruire della detrazione. Con il divorzio, al coniuge trasferito spetta la detrazione per la quota di competenza se i figli dimorano abitualmente nell’immobile.

Quando sull’immobile familiare vengono effettuati interventi di ristrutturazione da parte dei coniugi separati, o divorziati, e sono state fruite le previste detrazioni, anche al coniuge trasferito spettano le quote di detrazione. Per quanto riguarda i pagamenti dell’IMU e della tassa sui rifiuti (TARI), gli stessi sono di competenza dei coniugi ai quali le case vengono assegnate. Infine, nei casi di divorzio o separazione, ai fini dell’assegno familiare, non è possibile ritenere appartenenti al proprio nucleo familiare i figli affidati all’altro coniuge.

In conclusione, le separazioni e i divorzi sono istituti che comportano risvolti dal punto di vista affettivo per gli stessi coniugi e soprattutto per i figli. Conseguenze più o meno gravi a seconda dei casi, che si portano dietro anche tante problematiche legate ai tempi, di carattere fiscali ed economiche. Tuttavia sapere come muoversi in certe situazioni è sempre meglio, quantomeno per provare a limitare i danni.

   

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