Pensione minima: a quanto ammonta e quanti anni di contributi servono

Scritto da Omar Cecchelani in Famiglia

Il sistema previdenziale italiano è stato più volte oggetto di riforme da parte dei vari governi succeduti alla guida del Paese: ad oggi sono attivi i metodi di calcolo retributivo, contributivo e misto da applicare a seconda dell’arco temporale in cui il beneficiario ha versato i contributi.

Quando si parla di pensione, sono innumerevoli le domande a cui non è sempre facile dare una risposta. Molti dubbi riguardano i requisiti minimi per acquisire il diritto alla pensione e, nello specifico, il numero di anni di contribuzione. La legge dà la possibilità ad un lavoratore di terminare anticipatamente la propria attività, maturando comunque la pensione. Chiaramente l’importo erogato risulterà inferiore rispetto all’assegno con versamento completo di tutti gli anni previsti dalla quota 100 o rispettando l’anzianità contributiva pari a 41 anni e 10 mesi per le donne, nonché 42 anni e 10 mesi per gli uomini.

Il termine pensione minima è spesso usato impropriamente in quanto sarebbe più opportuno parlare di pensione anticipata: ovvero tutti i casi in cui il lavoratore ha versato sufficienti anni di contributi acquisendo il diritto a ricevere l’assegno previdenziale una volta raggiunta l’età anagrafica richiesta.

Per comprendere come il sistema previdenziale sia piuttosto contorto e poco intuitivo, basta fare un semplice esempio: in pochi sanno che per il calcolo delle annualità contributive versate bisogna far riferimento al numero di settimane. Di conseguenza, se una persona ha iniziato un’attività lavorativa a febbraio di un determinato anno interrompendo il rapporto ad ottobre dell’anno successivo, ai fini pensionistici, gli anni da computare non sono due ma poco più di uno. Quindi, se desiderate effettuare un calcolo per capire quanti anni eventualmente vi mancano alla pensione minima, vi consiglio di affidarvi al simulatore che potete trovare nell’area personale sul sito dell’INPS.

Andiamo dunque a scoprire i requisiti minimi necessari per acquisire il diritto alla pensione, tutti i casi che prevedono un numero inferiore di anni di contribuzione rispetto all’ordinario e in cosa consiste l’integrazione al trattamento minimo INPS.

Indice:

 

Differenza tra pensione minima e pensione anticipata

Il termine pensione minima non è da confondere con la definizione pensione anticipata. Il sistema previdenziale italiano prevede un assegno mensile minimo, ossia un trattamento INPS spettante a tutti coloro che hanno acquisito una pensione col metodo contributivo, ma di valore così basso da richiederne un’integrazione economica.

La pensione anticipata è invece un diritto acquisito di ogni lavoratore iscritto all’assicurazione generale obbligatoria, a gestioni per lavoratori autonomi e alla Gestione Separata INPS. Il soggetto deve rispettare il solo requisito contributivo che risulta indipendente dall’età anagrafica.

La regola di base prevede il versamento di un minimo di 20 anni di contributi (sono considerate le settimane lavorative pari a 52 in un anno), maturando così il diritto alla pensione. Tuttavia, per iniziare a ricevere l’assegno previdenziale, è necessario che il beneficiario abbia raggiunto anche l’età minima anagrafica. Quindi, pur avendo versato sufficienti contribuiti, il soggetto dovrà attendere il compimento dell’età richiesta dalla legge per ottenere la pensione di vecchiaia.

 

Pensione anticipata: quanti anni di contributi sono necessari per maturare il diritto all’assegno previdenziale?

Correva l’anno 2012 quando a reti unificate l’allora Ministra del lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero annunciava, con le lacrime agli occhi, la stretta sul sistema pensionistico e il grande inasprimento dei requisiti minimi per andare in pensione.

L’introduzione della famigerata quota 100 abolì definitivamente il sistema retributivo, sostituendolo con quello contributivo e introducendo la possibilità di andare in pensione all’età di 62 anni con 38 anni di contributi.

Un ulteriore nodo fondamentale della Legge Fornero è stata la modifica dei requisti minimi per uscire dal mondo del lavoro: dal 1° gennaio 2012 sono necessari 42 anni e 1 mese di contributi per gli uomini, mentre al gentil sesso bastano, si fa per dire, 41 anni e 1 mese di contribuzione. Tali condizioni sono state soggette a progressivi incrementi per rispettare l’andamento dell’aspettativa di vita, arrivando nel 2016 a 42 anni e 10 mesi per gli uomini. Tuttavia, grazie alle disposizioni contenute nell’articolo 15 del DL 4/2019, gli adeguamenti sono stati sospesi a partire dal 1° gennaio 2019 fino al 31 dicembre 2026.

Per quanto riguarda la pensione di vecchiaia, la Legge Fornero ha inasprito i requisiti portando l’età anagrafica a:

  • 66 anni per gli uomini (sia lavoratori autonomi che dipendenti);
  • 62 anni per le donne impiegate nel settore privato;
  • 63 anni e 6 mesi per donne impiegate nel settore pubblico.

A partire dal 2012 sono stati applicati gli scatti per l’adeguamento all’aspettativa di vita, ma la riforma ha previsto anche un progressivo aumento per parificare l’età pensionabile tra uomini e donne. Questo è infatti avvenuto a partire dal 1° gennaio 2018 quando l’età anagrafica è salita a 66 anni e 7 mesi per tutti i lavoratori (uomini e donne) e applicando sia il sistema misto che contributivo. Naturalmente, l’INPS ha programmato un incremento progressivo in base alle aspettative di vita sempre maggiori: per il biennio 2021-2022 l’età minima per la pensione di vecchiaia è di 67 anni. Le previsioni arrivano fino al 2049-2050 dove si potrà ricevere l’assegno previdenziale avendo raggiunti i 69 anni e 7 mesi di età (fermo restando il versamento di 20 anni di contributi).

Una volta chiaro, giusto per usare un eufemismo, il quadro generale possiamo affermare che ad oggi si può richiedere una pensione anticipata solo in presenza di determinate condizioni:

  • sono stati versati un minino di almeno 20 anni di contributi effettivi (obbligatori, volontari e da riscatto), quindi escludendo la contribuzione figurativa a qualsiasi titolo;
  • sono stati versati 42 anni e 10 mesi di contributi (lavoratori uomini) e 41 anni e 10 mesi di contributi (lavoratrici donne), indipendentemente dall’età anagrafica del beneficiario.
  • casi particolari con pensione di vecchiaia avendo versato solo 5 anni o 15 anni (legge Amato).

Avendo versato solo 20 anni di contributi sussistono ulteriori requisiti:

  • l’ammontare della prima rata previdenziale non dev’essere inferiore a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale (solo per chi ha versato contributi dopo il 1° gennaio 1996);
  • il beneficiario ha compiuto 64 anni e risulta assoggettato al solo regime contributivo (requisito anagrafico valido per il biennio 2019-2020 e confermato anche per il 2021-2022, comunque soggetto a futuri adeguamenti alle aspettative di vita secondo le disposizioni del DL 4/2019).
  • il beneficiario ha compiuto 67 anni, ovvero l’età anagrafica necessaria per acquisire il diritto alla pensione di vecchiaia.

È bene evidenziare come il requisito dei 64 anni faccia riferimento a lavoratori che abbiano versato i primi contributi INPS a partire dal 1° gennaio 1996, quindi con il nuovo sistema di calcolo contributivo. L’età anagrafica inizialmente era stata fissata a 63 anni a partire dal 2012, con le tabelle INPS che hanno previsto adeguamenti fino a 64 anni per il 2021-2022 e 66 anni e 7 mesi per il biennio 2049-2050.

Per ricevere la pensione anticipata è necessario aver interrotto il rapporto di lavoro dipendente, mentre è possibile continuare un’attività come lavoratore autonomo.

 

Ape volontario: in pensione e 63 anni con 20 anni di contributi

A partire dai 63 anni di età e con 20 anni di contributi versati, il lavoratore può richiedere l’anticipo finanziario garantito della pensione tramite prestito bancario (da restituire in 20 anni o con estinzione anticipata parziale o totale). In pratica, il soggetto riceve un assegno mensile fino alla maturazione del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia.

Considerando l’attuale limite di 67 anni, l’anticipo massimo è pari a 3 anni e 7 mesi durante i quali la persona può continuare a lavorare. Un’evenienza che ha senso solo in caso di urgente necessità di denaro e senza soluzioni alternative: come ogni altra formula di prestito i vantaggi sono tutti per la banca che otterrà comunque il rimborso dall’INPS tramite addebito delle rate sulla pensione.

 

Pensione minima e assegno sociale

Chi non ha maturato un numero sufficiente di anni di contributi per accedere a qualsivoglia trattamento pensionistico di vecchiaia, potrà richiedere l’assegno sociale (poco più di 500 € mensili), destinato solamente a chi non ha redditi propri e del coniuge che superino la soglia limite stabilita annualmente dalla legge.

Pertanto, non tutti potranno accedere all’assegno sociale, specie se si è sposati e il coniuge percepisca già una pensione, ad esempio. In qualunque caso, per avere diritto all’assegno sociale necessario compiere i 67 anni di età.

 

Pensione con soli 15 anni di contributi

Grazie alla Legge Amato, e nello specifico il D.Lgs n. 503 del 30 dicembre 1992, è possibile maturare la pensione di vecchiaia con soli 15 anni di contributi.

In pratica si tratta di tre deroghe con cui è stata concessa la pensione a lavoratori dipendenti inscritti all’Ago o ex Enpals che hanno versato 780 settimane di contribuzione (valgono tutte le tipologie di contributi) prima del 31 dicembre 1992.

 

Pensione di vecchiaia con solo 5 anni di contributi

Forse non tutti sanno che bastano appena 5 anni di contributi per maturare il diritto alla pensione di vecchiaia, ben 15 anni in meno rispetto al limite ordinario INPS di 20 anni.

Tuttavia è necessario rispettare determinati requisiti e precisamente:

  • l’assegno viene corrisposto a cittadini con età minima di 71 anni fino al 2022 (è previsto un aumento di 3 mesi ogni biennio arrivando a 73 anni e 7 mesi nel 2049-2050);
  • possono accedervi solo i soggetti che hanno versato contributi a partire dal 1° gennaio 1996, ovvero con sistema di calcolo contributivo.

Chi ha versato contributi prima del 31 dicembre 1995 risulta assoggettato al metodo retributivo o misto, di conseguenza non dovrebbe aver diritto alla pensione di vecchiaia con soli 5 anni di contribuzione. In realtà, è possibile accedere alla cosiddetta opzione contributiva Dini se:

  • alla data del 31 dicembre 1995 sono stati versati meno di 18 anni di contributi;
  • a partire dal 1° gennaio 1996 bisogna aver versato almeno 5 anni di contributi;
  • nel complesso risultano accreditati 15 anni di contributi.

 

Trattamento minimo pensionistico

Fino ad ora, più che di pensione minima, abbiamo discusso dei requisiti minimi per accedere alla pensione, ovvero numero di anni di contribuzione ed età anagrafica per cominciare ad incassare l’assegno previdenziale.

Il trattamento pensionistico minimo è invece un argomento diverso e previsto dal nostro sistema previdenziale per sostenere pensionati che ricevono prestazioni economiche molto basse. Alcuni tendono a confondere tale sistema di integrazione con la pensione di cittadinanza che, invece, rappresenta un’altra forma di aiuto sociale rivolta a chi versa in situazioni di estrema povertà.

Chi ne ha diritto può richiedere l’integrazione dell’importo mensile della propria pensione al valore minimo previsto dalla legge e calcolato ogni anno dall’INPS. L’ammontare del trattamento minimo è computato utilizzando il meccanismo della cosiddetta perequazione, ossia cercando di adeguare l’assegno previdenziale al costo della vita. Nel 2019 veniva riconosciuta un’integrazione fino ad un massimo di 513,01 euro, mentre nel biennio 2020-2021 è stato applicato un aumento dello 0,5% (anziché il solito tasso dello 0,4%), portando la cifra a 515,58 euro. Considerando 13 mensilità, il beneficiario riceverà un ammontare complessivo pari a 6.702,54 euro.

Come detto, a volte si tende a sovrapporre la pensione minima con quella di cittadinanza nonostante siano sono due strumenti completamente diversi. Infatti, la pensione di cittadinanza la possiamo ritenere come un’ulteriore integrazione della pensione minima, per consentire al reddito del pensionato di raggiungere la soglia di povertà stabilita dall’ISTAT in 780 euro mensili.

L’integrazione può essere totale oppure parziale a seconda del livello di reddito del beneficiario. Per capire come funziona esattamente l’adeguamento alla pensione minima basta un semplice esempio: supponiamo che una persona riceva 400 euro di pensione e abbia un reddito annuo complessivo inferiore a 6.702,54 euro. In questo caso potrà richiedere e ottenere un adeguamento completo ricevendo un aumento di 115,58 euro e portando così la pensione a 515,58 euro. Superando la soglia reddituale ma rimanendo comunque al di sotto di 13.405,08 euro, potrà beneficiare di un’integrazione parziale. In questo caso sarà necessario sottrarre il reddito annuo dichiarato e dividere il risultato per 13 mensilità: con reddito di 10.000 euro l’integrazione massima risulta di 261,9 euro (13.405,08 – 10.000 / 13).

Qualora il pensionato fosse sposato, per il calcolo del reddito è necessario considerare anche quello del coniuge. In particolare, per il biennio 2020-2021 il diritto all’integrazione spetta:

  • in forma piena se il reddito complessivo non supera i 20.107,62 euro e quello del solo pensionato risulta inferiore a 6.702,54 euro;
  • in forma parziale se il reddito complessivo è compreso tra 20.107,62 e 26.810,16 euro e quello del pensionato non supera 13.405,08 euro.

Oltrepassando i suddetti limiti non si ha alcun diritto al trattamento minimo pensionistico.

Ricordiamo che per il computo del reddito sono da considerare esclusi:

  • reddito dell’abitazione principale;
  • pensione da integrare al minimo;
  • TFR e trattamenti assimilati (buonuscite, indennità premio, di anzianità, ecc.);
  • compensi arretrati da lavoro e sottoposti a tassazione separata;
  • pensione di guerra, rendita INAIL, pensione di invalidità civile, trattamenti di famiglia e tutti i redditi esenti IRPEF.

 

La pensione di cittadinanza

La pensione di cittadinanza è a tutti gli effetti una pensione di vecchiaia corrisposta a persone che versano in condizioni precarie, ovvero in uno stato di accertata povertà. Nel caso in cui il reddito risulti sotto un determinata soglia (ISEE nucleo familiare non superiore ai 15.000 euro all’anno), i soggetti con almeno 67 anni di età hanno diritto a richiedere e ricevere un assegno previdenziale.

L’ammontare per una singola persona può arrivare ad un massimo di 780 euro al mese, salendo fino a 1.536 euro in caso di nuclei familiari numerosi. Come possiamo notare l’importo risulta superiore a quello previsto per l’integrazione al trattamento minimo INPS. Certamente non è una grandissima differenza rispetto ai 515,58 euro al mese, tuttavia può risultare una cifra rilevante in presenza di famiglie con più componenti.

Inoltre, non bisogna scordare che la pensione di cittadinanza viene riconosciuta anche ai pensionati che non hanno diritto all’integrazione al minimo INPS.

 

Quanto si perde andando in pensione anticipata?

È piuttosto evidente che decidere di andare in pensione prima dei termini ordinari previsti dall’attuale sistema previdenziale, porta ad effetti economici negativi. Il taglio applicato sull’ammontare è di facile calcolo se il pensionato risulta assoggettato al sistema contributivo, mentre è più complicato applicando quello retributivo.

In quest’ultimo caso il computo si basa sulla retribuzione pensionabile media che varia in base alla gestione di appartenenza. Col sistema contributivo, invece, si considera l’ammontare dei contributi versati e ciò può provocare un taglio anche del 20-25% superiore rispetto a coloro che possono sfruttare il vecchio regime retributivo.

Finché si tratta di anticipare di 2-3 anni la scadenza ordinaria, la perdita è comunque limitata rispetto alla quota piena. Discorso diverso percependo la pensione di vecchiaia avendo versato solo il minimo contributivo di 20 anni: non rimane che andare sul sito dell’INPS e avvalersi del simulatore di calcolo gratuito per scoprirne l’importo maturato.

   

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1 Comment
Sumantee Gadadhar

Agosto 18, 2022 @ 20:22

Reply

Da 1987 lavorato in regola ( saltuario) Ho 60 anni . Quando posso andare in pensione?

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