Pensione: differenza tra calcolo retributivo e contributivo

Scritto da Omar Cecchelani in Famiglia

La pensione è un argomento quantomai sentito nel nostro Paese visto che coinvolge milioni di lavoratori ed è spesso al centro di accesi dibattici politici. Il sistema di calcolo non è affatto semplice avendo subito, nel corso degli ultimi decenni, svariate riforme con l’obiettivo di renderlo maggiormente equilibrato e sostenibile. Vediamo di capire quali metodi di calcolo prevede l’ordinamento italiano e come conoscere l’ammontare dell’assegno previdenziale mensile.

Un anno di fondamentale importanza è stato il 1995 quando, a seguito della riforma Dini, il metodo di calcolo previdenziale si è trasformato in contributivo. Una legge che ha segnato una vera e propria rivoluzione del sistema pensionistico italiano, sostituendo, in parte, il vecchio regime retributivo.

Prima della riforma Dini la pensione si calcolava sullo stipendio medio percepito negli ultimi anni, con la cifra finale pari ad un massimo dell’80% di tale valore medio per chi vantava 40 anni di anzianità contributiva. Con il nuovo criterio l’importo dell’assegno mensile si basava, invece, sui contributi totali versati, a cui applicare un coefficiente di trasformazione per tener conto dell’età del lavoratore e della crescente aspettativa di vita. Un sistema di calcolo della pensione che prendeva come riferimento il montante contributivo individuale, costituito dalla somma degli accantonamenti versati per ogni anno lavorativo.

Lo scenario che si venne così a creare, a partire dal 31 dicembre 1995, era il seguente:

  • ai lavoratori che vantavano almeno 18 anni di contributi veniva applicato il metodo retributivo, tenendo conto della media stipendi degli ultimi anni;
  • i lavoratori con meno di 18 anni di contributi versati erano assoggettati al cosiddetto metodo di calcolo misto, ovvero retributivo per l’anzianità maturata fino al 1° gennaio 1996 e contributivo per gli anni a venire;
  • ai nuovi assunti, a partire dal 1° gennaio 1996, veniva applicato il solo criterio contributivo.

Lo scopo della riforma Dini era quello assicurare alle generazioni future di percepire la pensione anche a fronte di una natalità molto bassa e un allungamento dell’aspettativa di vita, attraverso un graduale slittamento dal sistema retributivo e quello contributivo.

L’altro momento di grande rilevanza è stato il 1° gennaio 2012 quando entra in vigore la famosa riforma Monti-Fornero contenuta nel decreto legge Salva Italia. In buona sostanza subisce un’accelerazione il processo di trasformazione innescato dalla riforma Dini: il metodo di calcolo contributivo viene applicato a tutti i lavoratori, anche coloro che beneficiavano ancora del più generoso criterio retributivo. La riforma Fornero è anche intervenuta sull’età pensionistica aumentando il limite ad un minimo di 20 anni di contribuzione per la pensione di vecchiaia, inoltre ha abolito la pensione di anzianità in base al numero di anni di lavoro sostituendola con la pensione anticipata.

Indice:

 

Quali sono i metodi di calcolo della pensione?

Dopo un breve riassunto delle riforme del sistema pensionistico che si sono succedute negli ultimi 25 anni, vediamo di capire le caratteristiche dei diversi criteri di calcolo.

Ad oggi l’ordinamento italiano prevede i seguenti metodi:

  • contributivo: è il sistema applicato a tutti i lavoratori privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 e ai nuovi assunti a partire dal 1° gennaio 1996;
  • retributivo: si applica alle annualità contributive maturate fino al 31 dicembre 2011 per ogni lavoratore che possiede almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995;
  • misto: sfrutta entrambi i precedenti criteri a beneficio dei lavoratori con meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995. Fino a quest’ultima data si impiega il metodo retributivo, mentre per le annualità contributive successive si adotta il regime contributivo.

Per chi entra nel mondo del lavoro a partire dal 1° gennaio 1996 il calcolo della pensione è piuttosto semplice, e si baserà solo sul metodo contributivo. I più fortunati che hanno già all’attivo sufficienti anni di contributi prima del 31 dicembre 1995, potranno applicare il vantaggioso regime retributivo, quantomeno fino al 31 dicembre 2011. Tutti gli altri lavoratori dovranno cimentarsi con calcoli più complessi adottando il criterio misto.

 

Metodo di calcolo retributivo: come funziona?

Questo criterio viene utilizzato per il calcolo della pensione dei soli lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 e applicato per le successive annualità contributive maturate fino al 31 dicembre 2011.

Tale metodo esegue una media stipendi degli ultimi anni del lavoratore dipendente, oppure dei redditi dichiarati per i lavoratori autonomi, basandosi su tre fattori:

  • anzianità contributiva: il lavoratore può far valere un massimo di 40 anni di contributi accreditati sul proprio conto assicurativo, indipendentemente che siano di natura obbligatoria, volontaria, figurativa oppure risultano riscattati o ricongiunti;
  • retribuzione / reddito pensionabile: è l’importo che scaturisce dalla media degli ultimi anni lavorativi con opportuna rivalutazione sulla base di specifici indici ISTAT stabiliti ogni anno;
  • aliquota di rendimento: è pari al 2% della retribuzione annua per lavoratori dipendenti e del reddito dichiarato per gli autonomi, rispettando il limite di importo pari a 46.630 euro. Rimanendo entro tale soglia l’assegno previdenziale mensile sarà il 70% della retribuzione / reddito avendo all’attivo 35 anni di anzianità contributiva, mentre è pari all’80% se gli anni sono 40. Al superamento del suddetto limite, l’aliquota si riduce progressivamente, arrivando allo 0,9% per retribuzioni annue superiori a 88.587 euro.

Andando più nello specifico la pensione calcolata con il metodo retributivo è composta dalle seguenti quote:

  • quota A: viene determinata basandosi su due principali elementi ovvero da una una parte l’anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1992 e dall’altra la media retributiva degli ultimi 5 anni di lavoro. Più precisamente, si prendono in considerazione le ultime 260 settimane di contribuzione che precedono la data di pensionamento per i lavoratori dipendenti e 520 settimane (10 anni) per i lavoratori autonomi;
  • quota B: tale valore si basa invece sull’anzianità contributiva maturata a partire dal 1° gennaio 1993 fino alla data di decorrenza della pensione. Anche in questo caso si tiene conto della media della retribuzione degli ultimi 10 anni (520 settimane) per i lavoratori dipendenti e degli ultimi 15 anni (780 settimane) per i lavoratori autonomi.

Volendo trasformare quanto appena detto in una formula matematica possiamo dire che la pensione lorda mensile si calcola nel seguente modo:

P= qA + qB

A sua volta la quota A (qA) si ottiene applicando questa formula:

qA= rms x n1 x ar

I vari fattori rappresentano:

  • ar: aliquota di rendimento che abbiamo detto pari al 2% annuo della retribuzione / rendimento, rimanendo entro il limite di importo stabilito dalla normativa vigente;
  • rms: retribuzione settimanale media calcolata sommando la retribuzione complessiva degli ultimi 5 anni per il dipendente o 10 anni per il lavoratore autonomo, a cui aggiungere la rivalutazione ISTAT;
  • n1: numero di settimane trascorse tra il 1° gennaio 1993 e la data di decorrenza della pensione.

Allo stesso modo si potrà ottenere la quota B, facendo attenzione a immettere l’esatto numero di settimane di contribuzione per il corretto calcolo della retribuzione media settimanale.

 

Calcolo pensione con il metodo contributivo

Il sistema contributivo si applica per tutti i lavoratori assunti a partire dal 1°gennaio 1996 e che non hanno, in precedenza, versato nessun contributo ai fini previdenziali. E’ anche possibile esercitare volontariamente il passaggio alla pensione con regime contributivo da quello misto, a patto che il richiedente rispetti i seguenti requisiti:

  • possa vantare un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31 dicembre 1995;
  • al momento di esercitare l’opzione abbia versato 15 anni di contributi, 5 dei quali successivi al 1° gennaio 1996 (ovvero utilizzando già il metodo contributivo).

Per spiegarlo con parole più semplici, possiamo paragonare il sistema contributivo ad una sorta di libretto di risparmio. Il lavoratore dipendente, in concorso con l’azienda, versa annualmente la cosiddetta aliquota di computo pari al 33% del suo stipendio in modo da formare il montante contributivo individuale. Per la precisione, della suddetta quota versata, il 23,81% risulta a carico dell’azienda, mentre il restante 9,19% spetta al lavoratore. Quest’ultimo vede salire la sua parte al 10,19% nel caso rientri in una fascia di retribuzione lorda annuale superiore a 47.379 euro.

Per i lavoratori autonomi ciò che cambia è il valore dell’aliquota da versare: per il 2020 è stata fissata al 24% per gli artigiani e al 24,09% per i commercianti. La legge ha previsto una riduzione della percentuale per i coadiuvanti e coadiutori fino ai 21 anni di età.

L’ammontare di tutti gli importi annuali versati forma il montante contributivo, rivalutato nel corso degli anni attraverso un tasso di rendimento o capitalizzazione che tiene conto di dinamiche legate all’andamento medio quinquennale del PIL e dell’inflazione. In aggiunta, viene anche applicato un coefficiente di trasformazione in base all’età del lavoratore. Tale coefficiente è fissato al 4,2% per il biennio 2019-2020 per chi richiede la pensione a 57 anni (ad esempio a seguito di invalidità), salendo al 5,245% per chi decide di andare in pensione compiuti 65 anni e arrivando al 5,604% per tutti coloro che raggiungono i 67 anni.

Il sistema è stato adottato come incentivo ad allungare il periodo lavorativo, premiando chi va in pensione più tardi. Ricordiamo che i coefficienti di trasformazione sono revisionati automaticamente ogni 2 anni a partire dal 2019. Precedentemente, la revisione avveniva trascorsi 10 anni come previsto dalla riforma Dini, poi ad intervalli di 3 anni a seguito delle modifiche apportate dalla riforma Monti-Fornero.

Passando all’atto pratico, come si calcola la pensione con il metodo contributivo?

Giunti al momento del pensionamento, per sapere l’importo dell’assegno mensile dovremo basarci sul montante contributivo totale. Il valore si ottiene applicando l’aliquota di computo, utilizzando i valori che abbiamo sopra elencato, alla retribuzione lorda di ogni anno di lavoro valido ai fini pensionistici e facendo la somma di tutti i singoli accantonamenti. Non bisogna dimenticare che il montante va rivalutato annualmente secondo i tassi di capitalizzazione stabiliti dall’ISTAT. Supponiamo di essere riusciti ad ottenere il montante contributivo complessivo, a questo punto non rimane che applicare il coefficiente di trasformazione corrispondente all’età del lavoratore.

 

Il massimale del sistema contributivo

Un’ulteriore differenza tra sistema contributivo e retributivo è la presenza di un massimale, vale a dire una soglia oltre la quale il lavoratore dipendente o autonomo non deve versare contributi. Un aspetto introdotto con l’articolo 2, comma 18 della legge 335/1995, rivolto ai lavoratori privi di anzianità contributiva e coloro che si sono iscritti ad una forma pensionistica obbligatoria a partire dal 1° gennaio 1996, nonché per chi esercita l’opzione per il passaggio al regime contributivo.

Naturalmente, l’importo eccedente tale limite non avrà alcun valore ai fini pensionistici. All’inizio, il tetto contributivo-pensionabile era stato fissato a 132 milioni delle vecchie lire, con rivalutazione annuale basata sull’indice ISTAT dei prezzi al consumo: per il 2020 il limite è pari a 103.055 euro. Ciò implica, di conseguenza, che per un lavoratore dipendente la quota di accantonamento non potrà superare il valore annuo di 33.974 euro, per un artigiano 25.920 euro e per un commerciante 25.383 euro, ovvero rispettivamente il 33%, 24% e 24,09% del massimale.

È stato istituito anche un apposito tetto di reddito annuo, al cui superamento non è dovuta la contribuzione per invalidità, vecchiaia e superstiti; è destinato ad artigiani e commercianti iscritti a gestioni speciali e con annualità contributive versate prima del 31 dicembre 1995. Il massimale viene stabilito prendendo come riferimento la retribuzione annua pensionabile, a cui applicare una maggiorazione di due terzi. Per il 2020 il limite di reddito è fissato a 78.965 euro.

 

Irrevocabilità dell’opzione per passaggio al sistema contributivo

I lavoratori che rispettano i requisti sull’anzianità contributiva hanno facoltà di presentare richiesta volontaria di passaggio dal sistema misto al solo contributivo. In questi casi è bene sapere che una volta esercitata l’opzione non si possono più avere ripensamenti. Tuttavia è opportuno fare due precisazioni:

  • se al momento del pensionamento il soggetto decide di esercitare l’opzione, l’INPS è tenuta ad inviare un prospetto in cui indicare il doppio calcolo della pensione con metodo misto e contributivo. Qualora il lavoratore decidesse di accettare il criterio contributivo la sua scelta è considerata irrevocabile;
  • se l’opzione è invece esercitata quando è ancora in corso la vita lavorativa e la richiesta non risulta finalizzata all’accesso pensionistico, l’irrevocabilità parte quando il soggetto riceve una retribuzione superiore al massimale e in cui l’imponibile previdenziale è abbattuto dal massimale stesso. Se ciò non si verifica la richiesta del lavoratore non produce nessun effetto fino al momento della domanda per la pensione, facendo così scattare la procedura descritta nel punto precedente.

 

La quota C del regime contributivo

Con l’introduzione della riforma Monti-Fornero, per il calcolo delle pensioni a decorrere dal 1° gennaio 2012 c’è da tenere presente anche la quota C. Il dato di riferimento è l’anzianità acquisita oltre il 31 dicembre 2011, ovvero quando con la nuova legge è scattato il regime contributivo per tutti i lavoratori, compresi quelli con 18 anni di contributi versati al 31 dicembre 1995 e beneficiari del sistema retributivo per molti anni.

 

Applicazione del sistema misto

Il metodo di calcolo misto, comunemente definito anche sistema di calcolo pro-rata, nasce a seguito della riforma Dini e si applica ai lavoratori con meno di 18 anni di anzianità contributiva al 1° gennaio 1996. Con la riforma Fornero, a partire dal 1° gennaio 2012, è stato esteso a tutti i lavoratori con anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni fino al 31 dicembre 1995.

Per farla breve, un lavoratore che ha versato meno di 18 anni di contributi ai fini previdenziali al 31 dicembre 1995 calcolerà la pensione, per questo periodo, con il metodo retributivo. Per i successivi anni di contribuzione e fino alla data di decorrenza della pensione, dovrà invece applicare il sistema contributivo.

Chi invece può vantare più di 18 anni di contributi, sempre al 31 dicembre 1995, beneficerà del regime retributivo fino al 31 dicembre 2011. Oltre tale data, per i restanti anni di anzianità da maturare, sarà invece assoggettato al meno vantaggioso sistema contributivo.

In pratica, con il metodo misto si devono tenere in considerazione la somma delle tre quote: quote A per l’anzianità maturata al 31 dicembre 1992, quota B per l’ulteriore anzianità contributiva dal 1° gennaio 1993 al 31 dicembre 2011 e quota C per i restanti anni di anzianità a partire dal 1° gennaio 2012 fino al momento di andare in pensione.

 

Sistema contributivo: metodo di calcolo più svantaggioso per i lavoratori, ma inevitabile

Conti alla mano il sistema retributivo è, senza alcun dubbio, più conveniente di quello contributivo. Il primo, infatti, si basa sulla retribuzione media degli ultimi anni di lavoro, mentre il secondo esclusivamente sui contributi versati dal soggetto nel corso della sua intera vita lavorativa.

Bisogna comunque dire che il regime contributivo è stata una conseguenza inevitabile per poter garantire la sostenibilità del sistema pensionistico italiano nel lungo periodo. Una riforma che, una volta tanto, ha messo al primo posto gli interessi delle generazioni future, cercando di assicurare agli enti previdenziali le risorse economiche sufficienti per pagare tutte le pensioni.

Un meccanismo che tenta di far fronte a fattori quali l’invecchiamento della popolazione, il progressivo allungamento della vita media e, di conseguenza, del numero di prestazioni pensionistiche che l’INPS deve erogare, nonché la bassa natalità e l’alta percentuale di disoccupazione giovanile.

Tutto questo porta, da una parte al continuo aumento dell’esercito dei pensionati, e dall’altra a pochi nuovi assunti che subentrano nel mondo del lavoro e provvedono a versare vitali contributi previdenziali nelle casse dello Stato.

   

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1 Comment
Flavio Babini

Settembre 13, 2021 @ 15:54

Reply

Non mi è chiaro se ad una pensione unicamente retributiva andavano applicati gli abbattimenti della retribuzione pensionabile (qualora questa ecceda determinati limiti di importo “tetto pensionabile”) o tale applicabilità andava fatta alle sole pensioni contributive e/o miste. E comunque tale riduzioni sono dovute a quale legge?

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