Nuovo codice della crisi d’impresa: tutte le modifiche alla legge fallimentare

Scritto da Omar Cecchelani in Imprese

Da inizio 2019 il termine fallimento è stato bandito dall’ordinamento italiano: oggi per definire la difficile situazione in cui versa un’azienda sottoposta a procedura concorsuale si parla, invece, di liquidazione giudiziale. Il merito va all’approvazione del nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

Si è passati così da una parola dall’accezione alquanto negativa che non lasciava molte speranze e rappresentava un vero e proprio marchio sociale per l’imprenditore definito “fallito”, all’utilizzo di una terminologia più leggera per identificare, comunque, un’attività d’impresa che deve affrontare le conseguenze derivanti da un grave dissesto economico-finanziario.

Il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza viene introdotto con il Decreto legislativo n.14 del gennaio 2019 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il successivo 14 febbraio. Raccoglie un insieme di novità che permettono all’Italia di stare al passo con le sollecitazioni da parte dell’UE per uniformarsi alle norme già introdotte da tempo in altri paesi europei.

Tale iniziativa ha la finalità di riformare il diritto della crisi d’impresa e le procedure concorsuali atte a verificare la difficoltà in cui si trova una azienda. Nel contempo cerca di salvaguardare la capacità imprenditoriale dovuta al rischio insolvenza, offrendo efficaci strumenti per anticipare e limitare gli effetti di una crisi aziendale.

Vediamo di capire con esattezza quali sono le novità introdotte con la riforma fallimentare del 2019, le procedure messe a disposizione per evitare una liquidazione giudiziale e i vantaggi, rispetto al passato, per l’imprenditore che deve affrontare la défaillance societaria.

Indice:

 

Entrata in vigore del nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Prima di analizzare i cambiamenti apportati, è bene capire le varie fasi che hanno scandito l’entrata in vigore del nuovo codice. La materia non è infatti delle più semplici, anzi risulta piuttosto ostica. Il fatto che alcune disposizioni abbiano provocato immediati effetti e altre non sono tutt’oggi attive, non facilita di certo le cose.

Come già detto la nuova disciplina in ambito fallimentare ha avuto l’approvazione dal Governo il 12 gennaio 2019 attraverso il DL n.14. In data 14 febbraio è stata invece pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, dando così il via alle prime disposizioni una volta passati 30 giorni. Infatti, in data 16 marzo 2019 sono entrati in vigore una serie di articoli e tra i più importanti segnaliamo:

  • n.350, modifica alla disciplina dell’amministrazione straordinaria;
  • n.356 e n.357, riguardano l’istituzione dell’Albo per i professionisti incaricati dall’autorità giudiziaria di svolgere tutte le funzioni di gestione e verifica durante le procedure concorsuali;
  • n.378, responsabilità degli amministratori;
  • n.379, nomina degli organi di controllo.

Decorsi 18 mesi dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, produrranno i loro effetti il resto delle disposizioni previste dal sopra citato Decreto legislativo. Quindi, calendario alla mano, a partire dal 15 agosto 2020 saranno operative gran parte delle novità, tra cui anche il sistema di allerta per diagnosticare in modo preventivo una crisi d’impresa di cui andremo a scoprirne il funzionamento a breve.

 

Quali sono le finalità della riforma fallimentare 2019?

Senza ombra di dubbio, il sistema normativo italiano che disciplina il fallimento di un’attività d’impresa, necessitava di essere riformato. È altresì innegabile che è risultata fondamentale la pressione esercitata dall’Unione europea, affinché il nostro Paese si uniformasse alle leggi applicate in molti altri Stati membri. Sta di fatto, che con l’introduzione del nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza il Governo si è prefissato i seguenti obiettivi:

  • ridurre i costi e la durata delle procedure concorsuali;
  • dare una nuova regola alla composizione della crisi da sovraindebitamento;
  • disciplinare il sistema dei privilegi e delle garanzie;
  • rendere possibile una diagnosi precoce del livello di difficoltà in cui versa un’azienda. In tal modo si cercherà di evitare che un eventuale ritardo nel rilevare i segnali della crisi possa compromettere il salvataggio dell’attività d’impresa stessa;
  • tutelare la capacità imprenditoriale dei soggetti che stanno per affrontare il fallimento della loro azienda.

Ora vediamo nello specifico quali sono le novità introdotte e gli strumenti messi a disposizione per raggiungere i suddetti risultati.

 

Riforma fallimentare 2019: cosa cambia?

A partire da gennaio 2019 il termine fallimento è andato in pensione per essere sostituito da una più elegante e sofisticata definizione: liquidazione giudiziale. Questa è la prima novità introdotta dal Decreto legislativo, anche se si tratta più di una questione di forma che altro. Tuttavia, è un aspetto alquanto importante perché fa già intuire quale sia la strada intrapresa dalla nuova disciplina, ovvero evitare etichette sociali negative che, in precedenza, si trasformavano in un marchio indelebile sulla pelle dell’imprenditore additato (praticamente a vita) col termine discriminatorio di fallito.

Le altre più significative novità riguardano:

  • un sistema di allerta per far emergere, con il dovuto anticipo, ogni situazione di presunta crisi d’impresa. Uno strumento pensato per adottare interventi che possano consentire all’imprenditore di scongiurare la liquidazione giudiziale dell’impresa e invece favorire un suo risanamento, nonché il risarcimento dei creditori e la tutela dei posti di lavoro;
  • viene data priorità a tutte le proposte che hanno l’obiettivo di superare la crisi e assicurare la continuità aziendale;
  • tra gli strumenti per la gestione della crisi e dell’insolvenza, vengono privilegiate quelle procedure e iniziative alternative all’esecuzione giudiziale;
  • riduzione delle tempistiche e costi delle procedure concorsuali;
  • unificare e semplificare le regole che disciplinano i vari riti speciali previsti in materia concorsuale;
  • armonizzazione delle procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza adottate dal datore di lavoro, in modo da tutelare l’occupazione e il reddito dei lavoratori dipendenti;
  • istituzione di un Albo presso il Ministero della Giustizia per i soggetti incaricati dal tribunale a svolgere le funzioni di gestione e controllo durante le procedure concorsuali. Tali soggetti dovranno soddisfare specifici requisiti di professionalità, esperienza e indipendenza per aver diritto all’iscrizione;
  • miglioramento dello strumento della composizione giudiziale per favorire la comunicazione e la mediazione tra creditore e debitore;
  • maggiori poteri al curatore: il soggetto che si occupa della gestione della liquidazione giudiziale avrà accesso alla banca dati della pubblica amministrazione, potendo così promuovere azioni giudiziali a favore dei soci e dei creditori sociali;
  • nuovo concordato preventivo basato sia sulla continuità che sulla liquidazione aziendale;
  • procedura aggiornata per la crisi e l’insolvenza riguardante gruppi di imprese;
  • incentivo per favorire la ristrutturazione del debito: il limite del 60% dei crediti viene ridotto o abolito per consentire al debitore di ottenere l’accordo di ristrutturazione.

 

Novità riguardanti la procedura di composizione giudiziale

In caso di messa in liquidazione dell’azienda è possibile affidarsi alla composizione giudiziale assistita. Il debitore, o il tribunale solo su segnalazione dei creditori pubblici, possono attivare un’allerta preventiva con avviso obbligatorio all’Agenzia delle Entrate e all’INPS. A seconda del soggetto richiedente la liquidazione si possono adottare le seguenti procedure:

  • composizione giudiziale volontaria: qualora fosse il debitore a richiedere la procedura di liquidazione, è prevista l’istituzione di uno speciale organismo con lo scopo di fornire assistenza presso la Camera di commercio competente e disponendo di 6 mesi di tempo per trovare una soluzione concordata con i creditori;
  • composizione giudiziale del tribunale: la procedura di liquidazione è richiesta direttamente dal giudice che provvederà a convocare in via confidenziale e riservata il debitore, al quale verrà assegnato un professionista che si occuperà di risolvere la crisi raggiungendo, sempre entro 6 mesi, un accordo con i creditori.

 

Come funziona il sistema di allerta

Una delle principali novità introdotte dal testo del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza è lo strumento dei cosiddetti allert. Viene disciplinato dall’articolo 13 e si basa sull’analisi di una serie di indicatori che potrebbero preannunciare un dissesto aziendale di natura finanziaria, patrimoniale o reddituale. Nell’intenzione del legislatore c’è quello di prevedere, con il più ampio preavviso possibile, una crisi societaria ed intervenire per evitare che l’imprenditore debba liquidare l’azienda e tutelare così creditori e posti di lavoro.

Gli allert prendono in considerazione i seguenti indicatori:

  • ritardo nel pagamento degli stipendi ai lavoratori;
  • ritardo nel saldare le fatture dei fornitori;
  • superamento degli indici di bilancio secondo l’elaborazione dati del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti (CNDC). Ricordiamo che i suddetti indici di bilancio sono fondamentali per verificare la solidità aziendale e rappresentano rapporti calcolati basandosi su fattori quali la grandezza patrimoniale, finanziaria ed economica dell’impresa.

 

I vantaggi per l’imprenditore con la nuova riforma fallimentare

Il codice della crisi e dell’insolvenza cerca di offrire all’imprenditore una serie di strumenti per evitare la liquidazione giudiziale dell’azienda. Tuttavia, ci sono situazioni in cui il dissesto finanziario è talmente grave che il fallimento è inevitabile. In caso di bancarotta semplice o fraudolenta se l’imprenditore si attiva per tempo e segnala alle autorità competenti la difficile situazione in cui versa l’azienda, potrà beneficiare anche di sconti sulla pena o non subire alcuna sanzione di natura penale.

In particolare è l’articolo 324 della riforma fallimentare a prevedere una causa di non punibilità: l’imprenditore dovrà presentare celermente l’istanza per aver accesso alla procedura di liquidazione giudiziale con lo scopo di evitare la crisi. Anche nel caso in cui il danno patrimoniale risulti di modesta entità, la nuova disciplina non prevede la punibilità. Inoltre, il debitore potrà anche beneficare di attenuanti per determinati reati, nonché la riduzione di sanzioni e interessi dovuti per debiti di natura fiscale.

 

Le procedure di sovraindebitamento

Il sovraindebitamento è inteso come “lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative, e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o dal leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza”. 

Parliamo nella fattispecie di soggetti estranei alle liquidazione giudiziale (ex fallimento), che avranno a disposizione tre procedure, particolarmente riformate e innovative, per uscire dalla situazione di crisi:

  • Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore: chiamato in precedenza “piano del consumatore” in quanto resta riservato ai soli consumatori persone fisiche in una situazione grave di sovraindebitamento. In questi casi il giudice, previa verifica di tutta la documentazione, pone una sorta di salvaguardia verso le somme destinate al sostentamento economico del debitore e della sua famiglia;
  • Concordato minore: trattasi di un accordo di composizione della crisi rivolto solamente alle imprese che riescono ad avanzare una proposta ai creditori che preveda un piano di rientro dai debiti. Pertanto, tramite l’Organismo di Composizione della Crisi, il debitore potrà proporre una proposta di concordato minore ai creditori in modo che il piano stesso possa permettere il proseguimento dell’attività imprenditoriale e/o professionale. In questi casi non è necessario il raggiungimento del 60% dei consensi per l’omologa ma questa ha luogo con la sola approvazione dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. In tali casi, il giudice omologa il concordato anche per gli estranei, qualora lo stesso dia maggiori garanzie di soddisfacimento delle pretese debitorie rispetto alla liquidazione giudiziale;
  • Liquidazione controllata: questa procedura può essere utilizzata sia dal debitore persona fisica che dalle imprese e prevede che il pagamento dei debiti possa aver luogo attraverso la liquidazione del proprio patrimonio ottenendo così la possibilità, dopo 3 anni, di vedersi cancellati tutti i debiti che non si sono coperti attraverso la vendita dei beni.

 

Gli accordi di ristrutturazione del debito

Il nuovo codice della crisi ha preso in esame uno strumento molto importante e significativo per la risoluzione delle situazioni debitorie più pesanti e complicate, ovvero gli accordi di ristrutturazione dei debiti che diventano così una parte fondamentale e conveniente della riforma.

Nello specifico, pur mantenendo fondamentalmente un carattere contrattuale, ovvero deve esserci l’accettazione di una proposta dalla parte creditrice, in taluni casi, tali accordi diventano un vero e proprio istituto esteso anche a chi resta estraneo all’accordo, imponendo anche ad essi le medesime condizioni non accettate.

Stiamo parlando dei cosiddetti accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa che hanno effetto sia per i creditori aderenti che per quelli estranei, alle stesse condizioni, andando verso una soluzione assolutamente alternativa al fallimento dell’impresa, così come era inteso prima della riforma.

Ad esempio, gli accordi ad efficacia estesa nei confronti delle banche metteranno queste ultime nelle condizioni di subire l’accordo impostato anche senza il loro consenso, ottenendo lo stesso trattamento delle banche aderenti, oppure gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estera verso l’Amministrazione Finanziaria, spesso causa di fallimenti in quanto, molto restia ad accettare accordi. In quest’ultimo caso, sarà quindi possibile falcidiare il debito tributario e nei confronti degli Enti Previdenziali anche nel caso in cui l’Erario stesso non accettasse l’accordo proposto, a condizione che tale accordo risulti conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.

Sarà necessario pertanto, affinché tutto possa andare a buon fine, che ci sia una relazione di stima di un professionista, allegata alla proposta di accordo, che sarà poi vagliata dal giudice, in cui si evidenzia chiaramente che la proposta sia più conveniente, per l’Erario, che una eventuale liquidazione giudiziale. Il parere del giudice è sostitutivo rispetto al mancato assenso dell’Erario per il raggiungimento del 60% necessario per l’omologazione dell’accordo.

I nuovi accordi di ristrutturazione del debito prevedono anche casi eccezionali in cui la percentuale minima di assensi per l’ottenimento dell’omologa scende al 30%: stiamo parlando degli “accordi di ristrutturazione agevolati” che hanno luogo nel caso in cui il debitore non richieda misure protettive, oppure quando non è prevista alcuna dilazione del pagamento dei creditori estranei. Anche in questo caso, se per il raggiungimento del 30% sarà necessario il consenso dell’Erario, un giudice, dopo aver vagliato la relazione di stima del professionista che attesti che l’accordo sia migliore rispetto alla liquidazione giudiziale, può sostituirsi a quest’ultimo e dare l’assenso alla proposta.

In questo modo, appare evidente come per ovviare ad un problema piuttosto sentito dagli imprenditori, ovvero quello della poca disponibilità del Fisco ad accettare accordi di questo tipo, il legislatore ha voluto spostare ad un giudice (neutrale) la verifica della convenienza dell’accordo rispetto alla liquidazione giudiziale, dando a quest’ultimo la possibilità di sostituirsi al voto dell’Erario in caso di parere negativo o mancata risposta. Tale modus operandi e volto a favorire maggiormente una risoluzione di questo genere alle situazioni debitorie gravi limitando al minimo il ricorso alla liquidazione giudiziale.

 

Cosa cambia per una SRL

Una novità da sottolineare riguarda esclusivamente le società a responsabilità limitata. La riforma fallimentare 2019 prevede l’obbligo per una SRL di nominare un organo di controllo entro 9 mesi dall’entrata in vigore del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Dobbiamo però specificare come la nuova disposizione è riferita, in particolare, alle società che rientrano in queste condizioni:

  • sono tenute a redigere il bilancio consolidato;
  • hanno il controllo di una società a sua volta obbligata alla revisione legale dei conti;
  • superano per due esercizi consecutivi almeno una delle seguenti limitazioni:
    • totale attivo dello stato patrimoniale di 2 milioni di euro;
    • totale dei ricavi per vendite e prestazioni pari a 2 milioni di euro;
    • numero medio dipendenti, minimo di 10 unità.

Qualora la società non rispettasse uno dei suddetti limiti per 2 anni consecutivi, non avrà più l’obbligo di nominare un organo di controllo o un revisore.

   

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