Come l’utilizzo dei buoni pasto può farci risparmiare sul Fisco?

Scritto da Omar Cecchelani in Imprese

Sono numerose le aziende che distribuiscono ai propri dipendenti e collaboratori i buoni pasto, anche conosciuti come ticket restaurant. Si tratta di un benefit particolarmente diffuso ed apprezzato, che permette al lavoratore di rientrare dalle spese sostenute per il pranzo laddove non sia presente la mensa aziendale.

Di seguito, analizzeremo nel dettaglio ogni aspetto relativo a questo sistema soffermandoci, soprattutto, sulla nuova normativa in vigore e sui vantaggi, non solo per il lavoratore, ma anche per l’impresa che potrà evitare i costi per la realizzazione di un servizio interno di ristorazione e dedurre le spese sostenute per l’acquisto dei ticket restaurant ai fini delle imposte dirette IRPEF, IRES e IRAP.

Indice:

 

Cosa sono e come funzionano i buoni pasto

vantaggi fiscali buoni pastoIl buono pasto altro non è che un, cosiddetto, fringe benefit, ossia un elemento retributivo che viene assegnato a determinate categorie di lavoratori o collaboratori in aggiunta alla retribuzione in denaro. Sono emessi, sia a favore di dipendenti del settore pubblico che privato sotto forma di tagliandi cartacei oppure attraverso una card elettronica, in modo che il beneficiario possa utilizzarli in tutti gli esercizi commerciali convenzionati che distribuiscono cibi e bevande (bar, ristoranti, supermercati, etc.).

Il buono pasto nasce in Inghilterra nella seconda metà del XX secolo, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il merito lo si deve all’imprenditore John R. Hack che ebbe la brillante intuizione di fondare una società, la Luncheon Vouchers Ltd, in grado di emettere buoni pasto accettati da ristoranti situati entro i confini nazionali; questi esercizi commerciali, in seguito, restituivano i tagliandi alla società che li aveva emessi, e ricevevano in cambio una somma in denaro dell’equivalente valore dei buoni restituiti.

In breve tempo, molte aziende, soprattutto di piccole e medie dimensioni, cominciarono a sfruttare questo sistema che permetteva loro di avere un controllo diretto sulla gestione delle spese relative alla pausa pranzo dei dipendenti. In Italia, il buono pasto si è sviluppato negli anni 70 e, attualmente, viene utilizzato da moltissime imprese, tanto che si stima in quasi 3 milioni il numero di lavoratori che ne fanno un utilizzo quotidiano.

Il ticket restaurant da diritto, al solo beneficiario, di usufruire di un servizio sostitutivo della mensa aziendale, qualora la struttura per la ristorazione non sia presente all’interno o nelle immediate vicinanze dell’azienda.

In questo modo il lavoratore può consumare un pasto o acquistare generi alimentari in un esercizio commerciale convenzionato per un importo pari al valore facciale del buono. I buoni pasto sono prodotti, controllati, gestiti e distribuiti da specifiche società e l’impresa che desidera fornirli ai propri dipendenti e collaboratori dovrà acquistarli da tali società cosiddette emettitrici.

Oltre ad offrire un importante benefit al lavoratore, l’azienda avrà il vantaggio che le spese sostenute non verranno considerate come un costo per lavoro dipendente e, di conseguenza, saranno totalmente esenti da oneri previdenziali e contributivi.

 

Buoni pasto cartacei ed elettronici

I buoni pasto nascono in forma cartacea, costituiti dal classico carnet di ticket dato al dipendente e con un numero di buoni direttamente legato ai giorni lavorativi del mese precedente. L’attuale normativa stabilisce che sul ticket debbano essere presenti le seguenti informazioni:

  • ragione sociale dell’azienda oppure codice fiscale del datore di lavoro;
  • ragione sociale e codice fiscale della società emettitrice;
  • valore facciale espresso in euro;
  • data di scadenza del buono;
  • apposito spazio sufficiente per inserire la data di utilizzo, la firma del beneficiario e il timbro dell’esercizio commerciale convenzionato dove il buono è stato consumato;
  • una chiara dicitura in cui è indicato come il buono non sia cedibile ad altri soggetti al di fuori del titolare, non sia cumulabile oltre il limite di 8 buoni stabilito dalla legge, non possa essere commercializzato né, tantomeno, convertito in denaro contante.

Negli ultimi anni è stato introdotto un altro formato di ticket, ovvero il buono pasto elettronico. I buoni cartacei vengono quindi sostituiti da una tessera magnetica del tutto simile ad un bancomat o una carta di credito intestata al beneficiario e sui cui sono accreditati i benefit. Il lavoratore utilizzerà la sua card per effettuare il pagamento presso i negozi ed esercizi convenzionati con la società che ha emesso i buoni pasto.

Anche in questo caso il decreto MISE ha stabilito le caratteristiche che deve avere un ticket elettronico per poter essere considerato valido e precisamente:

  • ogni informazione obbligatoria prevista dalla legge diventa elettronica in sede di memorizzazione della carta;
  • nel momento in cui il buono è consumato, vengono associate le informazioni relative alla data di scadenza e tutti i dati dell’esercizio commerciale convenzionato dov’è avvenuta la spesa;
  • non vi è più l’obbligo di firma da parte del beneficiario, in quanto vi è già l’associazione con il codice identificativo del titolare;
  • la dicitura riguardante la non cedibilità del buono è riportata elettronicamente.

 

La normativa che regola la tassazione dei buoni pasto

Un aspetto molto importante e da analizzare con attenzione è la normativa che regola la tassazione dei buoni pasto. Ciò permette di comprendere i sostanziali vantaggi fiscali che derivano dall’utilizzo di questo particolare benefit. Le ultime modifiche (che analizzeremo in modo dettagliato nel successivo paragrafo), sono state introdotte con il decreto MISE n.122/2017 entrato in vigore il 9 settembre 2017.

Come abbiamo già brevemente accennato, la legge definisce il buono pasto come un documento che legittima il possessore ad usufruire di un servizio sostitutivo alla mensa aziendale. Tale indennità potrà essere sfruttata in qualsiasi esercizio commerciale che risulti convenzionato con l’azienda emettitrice del ticket e per un importo pari al suo valore facciale. È fondamentale sottolineare come i buoni pasti siano nominali, ovvero non possono essere ceduti a terze persone ed è assolutamente vietata la loro commercializzazione. Solo il titolare a cui è assegnato il buono può usufruire del servizio offerto dallo stesso.

Il valore massimo del singolo ticket restaurant è stato stabilito dall’articolo 51, comma 2, lettera C del TUIR (testo unico delle imposte sui redditi), facendo una distinzione tra formato cartaceo ed elettronico. Nel primo caso il valore facciale di ogni buono pasto può raggiungere i 5,29 euro, che coincide anche con la massima esenzione contributiva giornaliera.

Chi invece riceve il benefit in formato elettronico può godere di una cifra pari a 7 euro per ciascun ticket, che rappresenta anche l’esenzione fiscale ottenibile. È opportuno evidenziare che la legge offre la possibilità di utilizzare più buoni pasto al giorno (al massimo fino ad 8) ma, qualora siano superate le soglie giornaliere di 5,29 e 7 euro, la quota eccedente sarà sottoposta ad una tassazione e contribuzione previdenziale ordinaria.

La normativa determina anche quali siano i vantaggi fiscali per le aziende che offrono buoni pasto ai propri collaboratori, stabilendo che tutta la spesa sostenuta non vada a generare reddito da lavoro dipendente per il percipiente ed è, pertanto, totalmente esente dal versamento di oneri previdenziali e contributivi. L’unico requisito richiesto è l’obbligo di dedurre i costi solo per il periodo in cui il dipendente ha usufruito del servizio. Anche l’IVA risulta interamente detraibile applicando un’aliquota al 4%.

 

Buoni pasto: cosa cambia col decreto MISE

Come abbiamo specificato nel precedente paragrafo, dal 9 settembre 2017 sono state introdotte delle nuove regole relative all’utilizzo dei buoni pasto. Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto MISE n.122/2017 si è stabilito che:

  • il buono pasto, anche in formato elettronico, è un documento che attesta il diritto assegnato al lavoratore di poter usufruire di un servizio sostitutivo di mensa per un importo pari la valore facciale del ticket. Tale documento è la prova che l’esercizio commerciale convenzionato abbia elargito la prestazione richiesta nei confronti della società emettitrice. La normativa mette anche in evidenza come per servizi sostitutivi di mensa, si debba intendere sia la somministrazione di alimenti e bevande che la vendita di prodotti alimentari pronti per il consumo;
  • Sono compresi tra gli esercizi convenzionati, dove poter utilizzare i ticket restaurant, le seguenti attività:
    • negozi che somministrano alimenti e bevande (ristoranti, bar, pizzerie, tavole calde, reparti gastronomia dei supermercati, etc..);
    • esercizi che effettuano vendita al dettaglio di generi alimentari (rientrano in questa categoria sia attività con sede fissa che su area pubblica);
    • mense aziendali e interaziendali;
    • vendita al dettaglio di alimenti e bevande direttamente presso i locali di produzione oppure quelli attigui nel caso di produzione industriale;
    • vendita al dettaglio o somministrazione sul posto di beni alimentari provenienti dai fondi degli imprenditori agricoli, coltivatori diretti oppure aziende che svolgono attività agricola;
    • agriturismo e ittiturismo;
  • I buoni pasto possono essere distribuiti solo a lavoratori dipendenti full time, part time e collaboratori, anche nel caso non sia prevista alcuna pausa pranzo. Inoltre è stato abolito l’obbligo di dover utilizzare i ticket restaurant nell’arco della giornata lavorativa;
  • Si possono consumare più buoni basto contemporaneamente nel corso della stessa giornata. Infatti, la nuova normativa ha stabilito la possibilità di cumulabilità dei buoni, per un massimo di 8 per il pagamento di un singolo pranzo o cena;
  • Viene ribadito il fatto che un buono pasto può essere utilizzato solo dal titolare, con il divieto di commercializzazione.  Non è ammesso nemmeno il resto in denaro.

 

Quanto può risparmiare un’impresa grazie ai buoni pasto?

Il buono pasto offre indubbi vantaggi al lavoratore ma permette notevoli benefici anche all’azienda che li distribuisce ai propri dipendenti.

Il primo risparmio riguarda i costi da sostenere per la gestione della pausa pranzo del proprio personale. Se la maggior parte delle imprese di grandi dimensioni è dotata di mensa interna, le realtà più piccole ne sono sprovviste e si trovano costrette ad offrire tale servizio in maniera alternativa.

Il buono pasto è senza ombra di dubbio un’opportunità che consente di ammortizzare gli elevati costi da sostenere per la realizzazione e la gestione del servizio di ristorazione interno. Oltretutto, si offre un benefit molto apprezzato dai lavoratori, che possono gestire con una certa elasticità la pausa pranzo, ottenendo maggior soddisfazione e potendo scegliere dove e come spendere i titoli ricevuti.

Qualora non sia presente in azienda un servizio di ristorazione, oltre ai buoni pasto, è possibile è inserire in busta paga la voce “indennità sostitutiva di mensa“. Rappresenta un contributo, a discrezione del titolare (solitamente è compreso tra 5 e 10 euro al giorno), che viene riconosciuto al lavoratore per le spese del pranzo. Tale cifra è però, a tutti gli effetti, da considerarsi un reddito da lavoro dipendente e quindi verrà pesantemente tassata, sia a livello fiscale che contributivo, il che comporterebbe un costo maggiore per l’impresa è un benefit inferiore per i lavoratori. Utilizzando i buoni pasto sarà possibile godere di un notevole risparmio essendo, gli stessi, totalmente esenti da contribuzione fiscale e previdenziale.

Per capire meglio i reali benefici basta fare un semplice esempio. Immaginiamo un’azienda che elargisce ad un dipendente del settore terziario un contributo giornaliero per il pranzo di 5,29 euro per 220 giorni lavorativi.

Nel caso in cui il titolare decidesse di inserire tale somma in busta paga come indennità sostitutiva di mensa, l’importo totale netto risulterebbe pari a 1.163,80 euro (5,29 x 220), a cui però dover aggiungere l’IRPEF per lavoro dipendente e i contributi INPS a carico in parte sul lavoratore e in parte sull’azienda.

In questa situazione il datore di lavoro si vedrà costretto ad elargire un importo finale di ben 2.156,65 euro comprensivo del costo netto dell’indennità mensa unito a quello previdenziale. Per il lavoratore, l’importo ricevuto sarebbe da considerarsi come un reddito a tutti gli effetti e come su tutti i redditi sarebbe gravato da oneri fiscali e previdenziali per la parte a suo carico.

Optando invece per i buoni pasto in formato cartaceo e con valore facciale unitario di 5,29 euro, l’importo per il loro acquisto risulterà sempre di 1.163,80 euro, senza però dover versare alcun ulteriore contributo. In conclusione l’azienda otterrebbe un risparmio pari a: 2156,25 – 1163,80 = 992,45 euro.

Il dipendente che riceverà il buono potrà spenderlo per il suo intero importo nominale e tali somme non saranno considerate un reddito se si rispettano i limiti previsti dalla normativa.

Questo semplice esempio rende evidente il risparmio fiscale che si può ottenere attraverso i buoni pasto, con l’unico svantaggio per le imprese di doverli gestire separatamente dalla busta paga. Tuttavia, è un piccolo prezzo da pagare e che può essere ulteriormente limitato utilizzando ticket restaurant in formato elettronico.

   

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