Meccanismo di saldo e acconto per il pagamento delle tasse

A giugno, il vostro commercialista potrebbe essere ambasciatore di notizie non troppo piacevoli… Infatti, il 30 giugno scade il termine per il pagamento del saldo delle imposte dell’anno precedente e della prima metà degli acconti delle imposte relative all’anno in corso, mentre il 30 novembre (altro giorno per molti infausto) scade il termine per il pagamento della seconda metà degli acconti.

Tutti i titolari di Partita IVA, ma anche i dipendenti che hanno avuto situazioni lavorative particolari, come vedremo nel dettaglio più avanti nell’articolo, si ritroveranno a dover sborsare le somme dovute con diverse modalità, a seconda della propria posizione lavorativa.

Di seguito cercheremo di capire quali siano importi e modalità di pagamento delle imposte sul reddito (IRPEF, addizionali, INPS e imposta sostitutiva per i forfettari) prestando particolare attenzione al meccanismo di saldo e acconto relativi rispettivamente, all’anno precedente rispetto a quello di presentazione della dichiarazione, e all’anno in corso. Una precisazione d’obbligo perché troppo spesso si rischia di cadere dalle nuvole quando il commercialista ci presenta, col suo sorrisetto beffardo, gli F24 con importi da capogiro…

Indice:

 

Chi deve pagare il saldo e l’acconto delle imposte?

Sono obbligati al pagamento di saldo e acconto delle imposte, secondo le modalità descritte nel seguito dell’articolo, i seguenti soggetti:

  • tutti i titolari di Partita Iva a debito di imposta, siano essi appartenenti al regime forfetario, che al regime ordinario;
  • i soggetti a debito di imposta che hanno prodotto redditi da lavoro dipendente, ma al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi non hanno un sostituto d’imposta;
  • i soggetti che hanno prodotto redditi da lavoro dipendente, nonché i pensionati, a debito di imposta, i quali hanno un sostituto d’imposta (datore di lavoro o l’Inps), che si vedranno decurtare le somme a debito sulla busta paga di luglio per quanto riguarda il saldo, e la prima metà dell’acconto per i lavoratori dipendenti (agosto per i pensionati), e su quella di novembre relativamente alla seconda metà dell’acconto per entrambi.

E’ possibile richiedere la dilazione di pagamento del saldo/acconto scadente al 30 giugno:

  • fino ad un massimo di 6 rate di uguale importo con riguardo ai dipendenti;
  • fino ad un un massimo di 4 rate con riguardo ai pensionati;

Sugli importi rateizzati sarà applicata una maggiorazione relativa agli interessi pari allo 0,40% annuo da calcolare sull’importo in scadenza. Se la rata dovesse scadere il sabato o la domenica, si potrà pagare il primo giorno lavorativo successivo, quindi la scadenza slitterà al lunedì.

Per tutte le aziende e i privati che non hanno un sostituto d’imposta, il pagamento delle imposte, una volta quantificate, potrà avvenire mediante versamento con F24 presso il proprio istituto bancario, tramite home banking, Poste Italiane, o attraverso l’utilizzo dei canali telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate (Entratel o Fisconline), oppure tramite gli intermediari (professionisti, associazioni di categoria, Caf).

I soggetti che hanno il sostituto d’imposta (datore di lavoro o Ente pubblico che eroga la pensione) si vedranno decurtata, direttamente in busta paga, la mensilità retributiva di luglio (agosto per i pensionati), ed entro il 30 novembre pagheranno invece, con la stessa modalità, la seconda tranche di acconto.

 

Come funziona il meccanismo di calcolo degli acconti da versare

Ogni contribuente che nel corso della propria vita si sia trovato di fronte al problema del pagamento delle imposte, almeno una volta si sarà posto il problema del versamento degli acconti. Quando il commercialista ci presenta gli F24, ci si ritrova a pagare sempre qualcosa in più rispetto a quanto previsto facendo il semplice calcolo dell’imposta in base al reddito dell’anno precedente poiché ci si dimentica dell’acconto.

Nella dichiarazione dei redditi dell’anno in corso (ad esempio, quella presentata nel 2022) si indicheranno tutti i redditi percepiti nell’anno precedente (nell’esempio, i redditi del 2021), perciò si potrà quantificare l’importo delle tasse dovute a saldo dell’anno precedente al netto di eventuali acconti già versati in precedenza.

Per le Partite Iva che presentano la dichiarazione dei redditi per la prima volta, posto che, com’è ovvio, non avranno versato alcun acconto nell’anno precedente, si dovrà pagare l’intero importo dell’imposta a saldo e calcolare l’acconto per l’anno in corso (2022) e, ovviamente, l’esborso sarà piuttosto elevato, quasi come pagare due anni di imposta in uno.

Per tutti gli altri titolari di Partita Iva, si procederà a pagare il saldo relativo all’anno precedente più il 50% dell’acconto sull’anno in corso con il pagamento scadente il 30 giugno, mentre entro il 30 novembre si pagherà il restante 50% dovuto per l’acconto.

Il calcolo degli importi da versare in acconto si può effettuare in due modalità differenti, vediamole.

 

Calcolo dell’acconto con metodo storico

Semplicemente si pagherà un acconto pari al 100% delle imposte dovute per l’anno appena trascorso.

Vediamo di chiarire il calcolo con un semplice esempio:

  • imposte dovute per l’anno 2021: euro 2.000 (da versare entro il 30/06/2022);
  • I Acconto per l’anno 2022 da versare entro il 30/06/2022: euro 1.000 (50% di euro 2.000);
  • II Acconto per l’anno 2022 da versare entro il 30/11/2022: euro 1.000 (50% di euro 2.000);

In totale si verseranno 4.000 euro tra saldo e acconto di imposta.

 

Calcolo dell’acconto con metodo previsionale

L’acconto viene calcolato osservando la fatturazione operata nell’anno in corso fino a quel momento, che è un dato certo (nel nostro esempio il 2022), oltre ad una stima di quanto si potrà ancora fatturare nei restanti mesi dell’anno. Se l’azienda presume, o ritiene di riuscire a fatturare un importo inferiore rispetto al 2021, allora potrà pagare l’acconto sulla base di questa stima.

Quest’ultima scelta può essere però rischiosa, perché, nel caso in cui l’azienda si dovesse ritrovare ad avere un fatturato maggiore di quanto presunto, incorrerà nel pagamento di sanzioni e interessi relativamente a quella parte di imposta, dovuta come acconto, che verrebbe poi pagata in ritardo col saldo relativo al 2022 nel giugno del 2023.

 

Quando l’acconto Irpef non è dovuto

Ci sono dei casi in cui l’acconto non è dovuto, nello specifico:

  • se l’importo sul quale verrà calcolato l’acconto è inferiore a 51,65 € l’acconto non è dovuto.
  • se tale importo supera i 51,65 € l’acconto è dovuto.

Come detto in precedenza, l’acconto da versare sarà pari al 100% dell’imposta dichiarata nell’anno e dovrà essere versata in una o due rate, a seconda dell’importo:

  • versamento unico entro il 30 novembre, se l’acconto risulterà inferiore a 257,52 euro;
  • due rate, se l’acconto risulterà pari o superiore a 257,52 euro secondo le modalità sopra descritte.

Quando un lavoratore dipendente può trovarsi a debito di imposta

Partendo dal presupposto che il lavoratore subordinato incassa lo stipendio già tassato alla fonte, perché in busta paga il datore di lavoro applica le trattenute ogni mese e, considerando il fatto che a fine anno, come tutti sappiamo, il conguaglio rende la busta paga di dicembre un po’ più leggera perché vengono applicate ulteriori ritenute in base allo scaglione di reddito raggiunto nei 12 mesi, non ci si dovrebbe porre il problema di avere ulteriori debiti di imposta con l’erario, proprio perché queste vengono già versate dal datore di lavoro nel corso dell’anno e con il conguaglio di dicembre…

Ci sono però dei casi specifici in cui, anche il contribuente lavoratore subordinato, in primo luogo risulta obbligato alla compilazione della dichiarazione dei redditi, in genere il 730, e possa trovarsi nella condizione di avere un debito nei confronti del Fisco. Vediamo di seguito in quali situazioni, anche il lavoratore subordinato, può trovarsi a debito di IRPEF e quindi costretto a pagare acconto e saldo come sopra descritto.

Quando si ha un solo rapporto di lavoro, un solo committente nel corso del periodo di imposta, il calcolo è molto più semplice ed fatto direttamente dalla CU che rilascia a fine anno il datore di lavoro e sarà quasi impossibile ritrovarsi con delle sorprese negative al termine della dichiarazione dei redditi.

Il rischio di trovarsi a debito di imposta è particolarmente elevato per chi ha percepito più di una CU nel corso del periodo di imposta: vale a dire per i lavoratori che hanno cambiato committente a metà anno, per chi ha ricevuto la NASPI, o un trattamento integrativo dall’INPS, ad esempio.

In questi casi, la somma dei redditi delle singole CU possono portare al cosiddetto “cumulo” dei redditi ed è quindi necessario sommare i valori contenuti in ogni singola CU e ricalcolare l’imposta dovuta sulla totalità della cifra. Spesso e volentieri, con questo modus operandi si supera l’aliquota alla quale vengono calcolate le imposte nelle singole Certificazioni Uniche e si presenta la scomoda posizione di avere dei debiti di imposta che verranno liquidati a seconda delle modalità sopra descritte.

   

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