Lista Falciani e segreto bancario: come sono cambiate le regole
Per molti il nome Hervé Daniel Marcel Falciani può non dir nulla, ma la sua figura, a tratti controversa, ha contributo in modo considerevole a modificare le regole di un gioco che andava avanti da decenni, ovvero quello di facoltosi imprenditori, volti noti dello spettacolo internazionale e non solo, anche semplici cittadini, che hanno sfruttato il segreto bancario svizzero per nascondere il loro denaro per lo più proveniente da illeciti tributari o, ancor peggio, da attività illegali.
Ma andiamo per ordine e cerchiamo di capire che cosa sia effettivamente successo tra il 2009 e il 2015 e in che modo questo signor Falciani abbia scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora, di cui tutti erano a conoscenza, ma nessuno aveva mai osato parlare.
Tutto ebbe inizio nel 2009 quando un tecnico informatico dipendente della nota banca HSBC di Ginevra, Hervé Daniel Marcel Falciani, riusci a rubare un elenco di dati relativi al periodo novembre 2006 – marzo 2007 che conteneva i nomi di quasi 100.000 correntisti esteri di quella banca e 20mila società off-shore.
Contenuti nella lista anche i nomi di circa 7.000 italiani che avevano depositato, presso l’istituto elvetico, circa 6,5 miliardi di euro. La stessa banca svizzera, secondo il quotidiano francese “Le Monde”, avrebbe provveduto a distribuire quasi 6 miliardi di euro in Paradisi Fiscali soltanto per i clienti francesi.
Secondo voci provenienti da una collega, e presunta amante del Falciani, il funzionario della HSBC avrebbe tentato, in un primo momento, di vendere la lista alle banche concorrenti e, solo quando i suoi tentativi sono risultati vani, si sarebbe messo in contatto con gli inquirenti e i servizi segreti dei vari Stati europei per consegnare loro la stessa lista.
Al di la del gossip, dal 2009 il signor Falciani iniziò a collaborare con la polizia francese consegnando la lista nelle mani dell’allora ministro delle finanze Christine Lagarde. Quest’ultima, una volta consultata la lista, fece una serie di mini-liste riservate ad ogni Paese coinvolto ed inviò i dati ai rispettivi ministri delle finanze nel 2010.
Il terremoto di queste liste ha prodotto arresti in svariati Paesi di tutto il mondo: Spagna, Stati Uniti, Grecia, Argentina e Belgio e in alcuni di questi Stati, gli evasori sono stati, spesso, costretti a restituire quanto è stato presumibilmente sottratto al Fisco.
Anche l’Italia ha fatto la sua parte in questa vicenda e vedremo nel dettaglio come sono stati gestiti questi dati e quali effetti hanno portato ma, per sintetizzare, ci sono stati molti indagati per frode fiscale dalle diverse procure, ma questa raffica di avvisi di garanzia e persone coinvolte ha aperto una questione particolarmente spinosa delle dispute fiscali, circa la possibilità e la liceità di utilizzare questi dati come prova di evasione fiscale.
Quello che ha fatto Hervè Falciani, ovvero l’aver venduto informazioni riservate su oltre 130mila titolari di conti correnti svizzeri, è stato giudicato illegale, infatti, lo stesso funzionario, è stato indagato dal governo federale svizzero per violazione del segreto bancario e per spionaggio industriale e, nel 2015, ha subito una condanna dal tribunale di Bellinzona a 5 anni di carcere per spionaggio economico.
Dalla cosiddetta “lista Falciani” ha avuto origine l’inchiesta Swissleaks che ha permesso di scoprire evasioni fiscali per una mole di 100 miliardi di dollari, oltre 100 mila nominativi di clienti che in modo poco ortodosso avevano conti segreti nella banca svizzera e oltre 20mila società off-shore in 211 paesi.
E’ utile precisare che trasferire denaro in Svizzera non è, di per se, illegale e, infatti, molti dei correntisti presenti nella lista Falciani non hanno avuto problemi col Fisco in quanto avrebbero dichiarato completamente ed in modo trasparente i propri averi in un paese straniero.
Insomma, se non si inganna in qualche modo il Fisco del rispettivo paese di provenienza non c’è nulla di male a detenere capitali in Svizzera, per questo è stato doveroso verificare uno ad uno i singoli casi e le spiegazioni fornite dai diretti interessati prima di muovere accuse.
Molti nostri connazionali presenti nella lista Falciani, ad esempio, hanno dichiarato e dimostrato di aver “scudato” tali, ingenti, capitali detenuti da HSBC e quindi, senza necessità di dover dimostrare la provenienza di quel denaro hanno brillantemente bypassato la verifica.
Quello che però ha portato all’attenzione dei media, il faccendiere Falciani, è stato un meccanismo di evasione fiscale che aveva le proprie radici proprio nella “benevolenza” della banca svizzera (in questo caso HSBC, ma non è escluso che altre banche non facessero lo stesso) che, per raccogliere capitali e correntisti, chiudeva un’occhio, e a volte anche due, circa la provenienza dei capitali che venivano ad essa destinati.
Un sistema di evasione internazionale che partiva proprio dalla filiale svizzera di HSBC che dal 2005 contattava i propri clienti più abbienti facendo proposte più o meno allettanti con la finalità di occultare denaro attraverso società offshore in paradisi fiscali.
La banca avrebbe aiutato, in qualche modo, i suoi clienti più facoltosi ad eludere i controlli del Fisco dei rispettivi Paesi consentendo loro di nascondere milioni e milioni di euro e dollari.
E, per chiudere il cerchio, l’inchiesta Swissleak avrebbe portato alla luce anche favori ed aiuti proposti dallo stesso istituto bancario a criminali internazionali, uomini d’affari non proprio trasparenti, e tutta una serie di soggetti ad alto rischio anche ammessi successivamente dalla stessa banca che ha parlato di comportamenti non leciti della filiale in questione, prendendo però le distanze dal comportamento della filiale che paresse aver agito in totale autonomia e indipendenza.
La banca stessa ha anche aggiunto che in quel periodo effettivamente i controlli sulla provenienza del denaro sono stati meno rigidi ma che dal 2007 si è provveduto ad inasprire le verifiche sulla provenienza e liceità del denaro dei nuovi potenziali clienti, sia da un punto di vista fiscale che legale.
Abbiamo citato il comportamento dello Stato italiano circa i nominativi contenuti nella cosiddetta “Lista Falciani“, ovvero i 7mila “fortunati” che avevano depositato circa 6 miliardi e mezzo di euro.
Molti leciti, per carità, ma altrettanti illeciti e, per lo più, sottratti alle maglie del Fisco italiano. Ma il Fisco Italiano, ha potuto utilizzare la Lista Falciani per la rilevazione di irregolarità fiscali?
Partiamo dal presupposto che, come le altre amministrazioni finanziarie, anche quella italiana si è subito mossa, inviando avvisi di accertamento contro buona parte dei nominativi contenuti nella lista.
Molti contribuenti si sono trincerati dietro la provenienza non lecita della lista stessa, infatti, tale lista ha origine da un comportamento giudicato illegale dell’ex dipendente della filiale svizzera di HSBC che ha trafugato e copiato migliaia di conti correnti segreti intitolati a clienti della banca.
Tale lista, come detto, è stata poi consegnata alle autorità francesi che hanno, a loro volta, spedito ai governi dei diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, i nominativi di loro competenza.
Detto questo, è legittimo che un accertamento parta da un documento trafugato illegalmente?
Soprattutto, è possibile fare una presunzione di evasione fiscale, desumendo il reddito dagli importi contenuti su un conto corrente rinvenuto all’estero?
A questo interrogativo ha risposto la Cassazione che nel 2015 ha stabilito che i dati bancari, seppur acquisiti in modo anomalo, sono stati inviati all’Italia da un Paese membro, la Francia, rispettando la direttiva CEE e sono utilizzabili ai fini della pretesa fiscale del nostro Stato
Tra l’altro, la Cassazione ha precisato, attraverso più di una sentenza, che l’acquisizione, per così dire anomala, di tali dati da parte di un dipendente infedele, sia irrilevante circa l’utilizzabilità degli stessi dati per il recupero delle tasse eventualmente evase.
Sentenze che hanno in qualche modo ribaltato le decisioni di alcune commissioni tributarie provinciali e regionali che avevano inizialmente dato ragione ai contribuenti che si erano appellati a questo aspetto.
Questo significa, in parole povere, che i contribuenti, il cui nominativo sia comparso nella lista Falciani, potranno essere raggiunti da un avviso di accertamento per periodi di imposta, non antecedenti al 2009 anno di entrata in vigore della cosiddetta “presunzione indotta” (art. 12, D.L. n. 78/2009).
Ciononostante, è il caso di dirlo, in Italia, le indagini condotte dalle procure di Torino e Milano sulla base della lista Falciani non hanno portato a molte condanne.
Il terremoto causato dalla Lista Falciani ha avuto però conseguenze maggiori, al di la dell’aver scoperto quell’evasore o quell’altra società off-shore, infatti ha evidenziato una falla nel sistema bancario svizzero, quello della cosiddetta “banca amica“, quella del “non vedo, non sento, non voglio sapere purchè tu mi porti i tuoi capitali” e, soprattutto, la banca del “non so chi sei, per me sei solo un numero“.
In questo modo le banche svizzere aiutavano tutti, perchè erano tutti soltanto dei numeri, ovviamente milionari, ma semplicemente dei numeri.
L’aver evidenziato, attraverso la Lista Falciani e la successiva inchiesta Swissleaks, e aver fatto sapere al mondo intero che dietro a questi “numeri” c’erano attività illecite come il commercio illegale di diamanti, l’evasione fiscale, altre operazioni illegali, criminali, e il deposito del riciclaggio di denaro sporco, ha messo la Svizzera stessa e altri Stati a noi vicini come Lichtenstein, ma anche Austria, Lussemburgo e Montecarlo, in posizioni piuttosto scomode.
Soprattutto, l’Europa è stata costretta a prendere le distanze da queste posizioni considerando questi Stati come dei veri e propri Paradisi Fiscali e come tali inseriti nelle cosiddette Black List. Situazione non di certo conveniente per Paesi come quelli sopracitati che infatti, in poco tempo, hanno preso provvedimenti e siglato accordi storici con le autorità europee per mettere fine al mito svizzero del “segreto bancario“.
La Svizzera, dal 2015, ha detto addio al segreto bancario e dal 2017 è partito lo scambio automatico di informazioni con l’Italia, infatti, mentre in passato, per avere qualsiasi tipo di informazione circa i correntisti italiani in Svizzera era necessaria un’ipotesi di reato con rogatoria internazionale fatta dalla Magistratura italiana (procedura che poteva durare mesi e non sempre portava a dei risultati), oggi senza alcuna rogatoria e nessun intervento della Magistratura, l’Agenzia delle Entrate potrà chiedere direttamente agli svizzeri informazioni su tutti i nostri contribuenti.
A partire dal 2017 lo scambio dei dati sarà addirittura automatico, senza bisogno di richieste. A ruota hanno aderito a questi accordi anche Lichtenstein, Austria, Città del Vaticano, Principato di Monaco e Singapore.
Questo passaggio storico ha segnato la fine del “Paradiso Fiscale sicuro” e, soprattutto, “dietro l’angolo“, mettendo gli evasori nella condizione di doversi spingere verso giurisdizioni più lontane come il Libano e Samoa, quindi geograficamente distanti dall’Europa e, soprattutto, non più sicure come lo erano Svizzera, Lichtenstein, Austria, Principato di Monaco, ecc.
Non tanto per la paura di essere in qualche modo scoperti ma per l’instabilità politica che può far cambiare repentinamente qualsiasi scenario mettendo a rischio tutti i soldi depositati.
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