Differenza tra imposte dirette e imposte indirette

Il contribuente sa bene quanto siano numerosi i tributi da versare nelle casse dell’erario, ma spesso ignora le differenze che esistono tra le varie imposizioni fiscali. Ogni cittadino è obbligato, da una parte a pagare alcune imposte in base alla propria dichiarazione dei redditi e in proporzione a ciò che possiede, e dall’altra a versare tasse per servizi indivisibili, nonché una serie di oneri in caso di operazioni come la compravendita di un immobile, la stipula di un contratto di locazione, la presentazione di un atto pubblico, ecc.

Nel sistema politico italiano, l’organo costituzionale preposto ad emanare nuove tasse e legiferare in materia fiscale è il Parlamento: può decidere di istituire nuovi tributi oppure modificare gli esistenti. I termini tassa ed imposta sono, nella maggior parte dei casi, utilizzati impropriamente assegnando loro il medesimo significato. In realtà, nel linguaggio giuridico, rappresentano due oneri fiscali concettualmente differenti:

  • una tassa è ciò che il cittadino paga per avere in cambio servizi o concessioni da parte dello Stato e dagli Enti locali;
  • l’imposta è invece un prelievo coattivo che colpisce ogni contribuente in proporzione alla propria capacità contributiva a favore di Stato, Regioni, Comuni o altri Enti Pubblici.

Il nostro ordinamento giuridico prevede tre tipologie di imposte:

  • fisse (applicate sempre nella stessa misura)
  • proporzionali (calcolate con una percentuale a seconda del valore imponibile)
  • progressive (che crescono all’aumentare della base imponibile).

In quest’articolo ci occuperemo però di un’altra fondamentale differenza, che suddivide le imposte in due categorie: dirette e indirette.

Indice:

 

Differenze tra imposte dirette e imposte indirette

La differenza tra le due tipologie di tributi è molto semplice ed intuitiva. Il termine diretta sta ad indicare come l’imposta vada a colpire le ricchezze possedute dal contribuente e generate dal suo reddito.

Le imposte indirette invece non si applicano ai guadagni prodotti dal soggetto, ma bensì gravano sul consumo, gli scambi e i trasferimenti di beni e servizi.

L’imposta indiretta offre allo Stato i vantaggi di ridurre il rischio di evasione fiscale e nello stesso tempo di assicurare un notevole gettito. Sono imposizioni tributarie molto flessibili che possono essere variate rapidamente in base alle esigenze economiche del Paese e non scoraggiano gli investimenti come invece spesso accade con le imposte dirette. Lo svantaggio principale è rappresentato dal fatto che possono essere trasferite dal contribuente di diritto a quello di fatto.

 

Quali sono le imposte dirette e indirette?

Nell’ordinamento giuridico italiano sono considerate imposte dirette:

  • IRPEF;
  • IRES;
  • IRAP.

Quelle indirette sono rappresentate da:

  • IVA;
  • accise;
  • imposta di bollo;
  • imposta di registro;
  • imposta ipotecaria;
  • imposta catastale;
  • imposta sulle successioni e donazioni.

Vediamo voce per voce quali sono le principali caratteristiche di ogni imposta.

 

IRPEF

è l’acronimo che indica l’imposta sul reddito delle persone fisiche; si tratta di un prelievo fiscale progressivo applicato sul reddito dichiarato da ogni contribuente residente, sia dentro che fuori i confini nazionali. I soggetti non residenti sono tenuti a versare l’imposta solo per i redditi generati in Italia. Altri soggetti passivi IRPEF sono le società di capitali e di persone (i cui soci devono pagare il tributo direttamente in base alle contribuzioni), ditte individuali e società semplici. Per il calcolo della base imponibile è necessario sommare tutte le entrate derivanti da:

  • redditi fondiari;
  • redditi da lavoro dipendente e autonomo;
  • redditi da capitale;
  • redditi d’impresa;
  • redditi diversi.

Sul totale dichiarato, il Fisco applica delle aliquote secondo i seguenti 5 scaglioni:

  • da 0 a 15 mila euro l’imposta è fissata al 23%;
  • da 15.001 a 28 mila euro l’imposta è fissata al 27%;
  • da 28.001 a 55 mila euro l’imposta è fissata al 38%;
  • da 55.001 a 75 mila euro l’imposta è fissata al 41%;
  • oltre i 75 mila euro l’imposta è del 43%.

 

IRES

Rappresenta l’imposta sui redditi delle società ed è applicata al reddito imponibile delle società di capitali e cooperative attraverso un’aliquota unica. Tale valore è stato modificato nel corso delle varie legislature fino ad arrivare all’attuale 24% previsto dalla Legge di stabilità del 2016. L’IRES è entrata in vigore a partire dal 2004 per sostituire l’IRPEG (imposta sul reddito delle persone giuridiche).

È stato un intervento con cui il legislatore ha voluto uniformare il regime fiscale dei capitali e delle imprese al modello dei Paesi membri dell’Unione Europea.

I soggetti passivi IRES sono:

  • società di capitali (Spa, Srl, ecc.);
  • società cooperative;
  • società di mutua assicurazione;
  • enti pubblici e privati, diversi dalle società, che esercitano attività commerciali.

Dal 2007 anche i cosiddetti trust (sia residenti che non residenti in Italia) sono soggetti passivi IRES. Proprio dall’anno 2007, queste organizzazioni hanno iniziato ed essere tassate secondo il regime di trasparenza, ovvero in base alla quota di partecipazione stabilita dall’atto costitutivo in capo ai beneficiari.

Sono esenti dal versamento dell’IRES le società di persona e le associazioni tra professionisti.

 

IRAP

È nota come imposta regionale sulle attività produttive ed è entrata in vigore nell’ormai lontano 1997. Fu istituita dal governo Prodi per semplificare l’allora sistema fiscale, sostituendo una serie di imposte tra cui ILOR e ICIAP.

È un tributo a carico delle imprese e la sua base imponibile è calcolata sul differenziale fra le voci inserite nel valore della produzione, e quelle classificabili nel costo della produzione. Tuttavia, tra i costi della produzione, non sono da inserire, ai fini del calcolo della base imponibile IRAP:

  • i salari dei dipendenti;
  • i crediti maturati;
  • gli interessi di eventuali canoni di leasing.

Il gettito generato finisce per il 90% nelle casse della regione dove risiede l’impresa e ha lo scopo di finanziare il Fondo sanitario nazionale.

I soggetti passivi IRAP sono tutte le società di capitali e di persone, Enti e liberi professionisti comprese le pubbliche Amministrazioni e i produttori agricoli. Quest’ultimi, in alcuni casi, possono essere esonerati dal versamento.

Il dovuto è calcolato applicando un’aliquota sulla base imponibile, normalmente definita valore della produzione netta. La percentuale, inizialmente era del 4,25%, successivamente ridotta al 3,90% con la Finanziaria del 2008.

Tale valore deve essere moltiplicato per un coefficiente pari a 0,9176 solo nelle regioni Lazio, Abruzzo, Campania, Molise e Sicilia che, con la Finanziaria del 2006, si sono avvalse della possibilità di alzare l’aliquota di un punto percentuale fino ad un massimo del 5,25% (aumento necessario per tamponare lo sforamento della spesa sanitaria).

 

IVA

L’imposta sul valore aggiunto si applica su ogni fase di produzione o scambio di beni e servizi all’interno del territorio nazionale. L’IVA assume rilievo di entrata fiscale nel momento in cui il consumatore finale acquista il bene o servizio. L’aliquota ordinaria applicata è del 22%, con altre due aliquote ridotte al 4% e 10% introdotte dal legislatore per i beni considerati di prima necessità e i servizi primari.

 

Accise

Con il termine accisa si intende un’imposta applicata, in maniera fissa o proporzionale, sulla produzione e vendita di prodotti di consumo. In Italia le accise con maggior incidenza per le casse dello Stato sono quelle introdotte sui prodotti energetici come petrolio e oli minerali ma anche su alcolici, tabacco e giochi (lotto, SuperEnalotto, videolottery, gratta e vinci, ecc.). A differenza dell’IVA che incide sul valore, un’accisa grava sulla quantità dei beni prodotti. Per fare dei semplici esempi: sui carburanti l’aliquota è calcolata al litro, per gli oli minerali al chilogrammo, per il metano è rapportata ad un metro cubo di gas, mentre per l’energia elettrica al chilowattora.

 

Imposta di bollo

Viene comunemente chiamata marca da bollo e va applicata per la presentazione di determinati documenti (atti civili, giudiziali, avvisi, manifesti, ecc.). La sua natura giuridica si può definire mista, visto che a volte si presenta sotto forma di imposta e in altri casi di tassa.

 

Imposta di Registro

È un tributo da versare per la registrazione di determinati atti. L’imposta grava in particolar modo sul trasferimento della ricchezza e ha lo scopo di remunerare lo Stato per il servizio offerto, tenendo traccia degli atti registrati in modo da assicurare la certezza giuridica. L’imposta di Registro si applica su tutti gli atti giudiziari ma anche sulla compravendita di immobili e sulla stipula di contratti di locazione. Le aliquote variano a seconda dei casi: per l’acquisto della prima casa da parte di un privato è del 3% sul valore dell’immobile, mentre per un contratto di locazione è del 2% sul canone annuo, scendendo al 1% per fabbricati strumentali e allo 0,5% per fondi rustici.

 

Imposta ipotecaria

L’imposta ipotecaria viene versata ogni qual volta è necessario effettuare una formalità riguardante una trascrizione, rinnovo o annotazione presso la conservatoria dei registri immobiliari. Ciò può avvenire a seguito della compravendita di un immobile, donazione, successione oppure per l’iscrizione di un’ipoteca.

 

Imposta catastale

L’imposta è dovuta ogni qualvolta sia necessario presentare una voltura catastale per una compravendita immobiliare, donazione o successione.

 

Imposta su successioni e donazioni

Rappresenta un tributo elargito a seguito di un trasferimento di proprietà, o altri diritti, dal titolare verso uno o più soggetti che, di conseguenza, godono del benefico di un arricchimento patrimoniale. I possibili casi sono:

  • successione per morte del titolare: il trasferimento dei beni avviene per successione legittima in base a quanto stabilito dalla legge o per via testamentaria seguendo le volontà espresse dal titolare nel proprio testamento;
  • donazione: ovvero a seguito dell’accordo tra il titolare dei beni e uno o più beneficiari.

Le aliquote applicate per il calcolo dell’imposta variano in base ai diversi casi e partono da un minimo del 4% fino ad un massimo dell’8%. Sono esonerati dal versamento del tributo i beneficiari portatori di handicap gravi.

 

IMU, TASI e TARI

Discorso a parte meritano questi tre tributi che insieme costituiscono la IUC: imposta unica comunale.

  • IMU è l’acronimo di imposta municipale unica: nasce per sostituire l’ICI e si rifà sul patrimonio immobiliare del contribuente. Il presupposto per l’applicazione di tale imposizione fiscale è il possesso di beni immobiliari, esclusa l’abitazione principale e le relative pertinenze, nonché i terreni agricoli. Rappresenta a tutti gli effetti un’imposta diretta di tipo patrimoniale;
  • La TASI è l’imposta per i servizi indivisibili, ossia tutte quelle opere realizzate a beneficio dell’interna comunità ma con l’impossibilità di poter calcolare il reale utilizzo da parte di ogni singolo cittadino. Il gettito derivante dall’imposta serve per finanziare la cura del verde pubblico, la manutenzione delle strade, l’illuminazione pubblica e le attività svolte dalla polizia locale. Per il calcolo della base imponibile si deve prendere in considerazione la rendita catastale rivalutata del 5% e moltiplicarla per un coefficiente a seconda del tipo di immobile. L’aliquota è invece stabilita da ogni comune rispettando i limiti imposti dalla legge.
  • La TARI è meglio conosciuta come tassa sui rifiuti ed è stata introdotta nel 2014 per sostituire le allora esistenti TIA, TARSU e TARES. Il presupposto per tale imposta è il possesso di immobili ad uso abitativo o aree scoperte che producano rifiuti urbani.
   

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