Immobili detenuti da società: come ottiminarne la tassazione

Scritto da Omar Cecchelani in Immobili

La gestione di proprietà immobiliari detenute da società rappresenta una questione rilevante ai fini fiscali visto che, nel nostro Paese, la cessione del bene può determinare un’eventuale plusvalenza tassabile in capo alla società stessa. Sia che si tratti di società di capitale che di persone, il guadagno derivante dall’alienazione dell’immobile viene considerato un reddito di impresa e pertanto soggetto a prelievo fiscale (unica eccezione è la società semplice).

Di conseguenza, è facile intuire l’importanza di pianificare un’adeguata strategia per ridurre il più possibile il carico tributario. In tal senso, tra gli strumenti di maggior efficacia c’è la pianificazione fiscale internazionale. Ciò significa sfruttare ogni possibilità concessa dalla normativa vigente allo scopo di ottenere il massimo risparmio possibile. Per conseguire risultati soddisfacenti è indispensabile rivolgersi a professionisti con specifica esperienza nel settore. Un bravo consulente sarà in grado di analizzare la situazione ed elaborare un piano personalizzato nel pieno rispetto della legge.

Quest’ultimo punto non va affatto trascurato, visto che in Italia esiste una disciplina antielusiva alquanto severa. Spesso, il confine tra un’efficace pianificazione fiscale internazionale e comportamenti potenzialmente elusivi è molto sottile, al punto che risulta quanto mai facile varcarlo dal lato sbagliato. Un errore assolutamente da evitare poiché, oltre a perdere tutti i vantaggi conseguiti in modo indebito, si aprono lunghi contenziosi con l’Agenzia delle Entrate con tutte le spiacevoli conseguenze del caso.

A riguardo, uno degli esempi più classici è la cosiddetta presunzione di esterovestizione societaria. Molti imprenditori decidono di trasferire la residenza, o localizzare la struttura della loro società all’estero, per conseguire determinati benefici, soprattutto di natura fiscale. Se da una parte l’operazione è assolutamente legale, dall’altra serve prestare attenzione che questo avvenga rispettando i presupposti previsti dalla normativa sulla esterovestizione.

In caso di situazioni poco chiare che lasciano presupporre un trasferimento fittizio della residenza societaria al solo scopo di ridurre la tassazione, l’Amministrazione Finanziaria avvia le verifiche di rito. Se dagli accertamenti scaturisce una violazione, le conseguenze riguarderanno, non solo le imposte dirette, ma anche quelle indirette non versate. Non dimentichiamo che in questi casi l’onere della prova è invertito, ovvero spetta al contribuente esibire prove a proprio carico che dimostrino come l’attività d’impresa sia svolta effettivamente all’estero.

L’obiettivo di quest’articolo è quello capire quali strumenti la legge mette a disposizione per alleggerire il carico fiscale in presenza di immobili detenuti da una società. Andremo ad analizzare i limiti imposti dalla disciplina nazionale, lo strumento della cessione di quote societarie dell’immobile detenuto da persone fisiche o società di capitali, come sfruttare la costituzione di una holding UE e il modo migliore di utilizzare un trust estero per gestire gli immobili detenuti in Italia.

Indice:

 

Quali sono i limiti della disciplina italiana per gli immobili detenuti da una società?

Partiamo subito col dire che la normativa nazionale, in generale, lascia ben poco spazio all’ottimizzazione del carico fiscale applicato sui beni immobili detenuti da una società di persone o di capitali.

Il primo concetto da puntualizzare riguarda la distinzione dell’attività immobiliare da cui dipende la messa a reddito dei beni immobili. Ai fini della segregazione patrimoniale possiamo scegliere una società di persone soggetta a tassazione secondo il principio di trasparenza sui soci, con applicazione dell’IRPEF sul reddito imponibile. L’alternativa è costituire una società di capitali che prevede un prelievo tributario proporzionale al reddito ai fini IRES.

Altro punto che necessita di una riflessione riguarda le società immobiliari il cui scopo è quello acquisire beni immobili per poi rivenderli, affiancandosi ad altre imprese che si occupano della sola gestione delle proprietà. Nel caso in cui una società effettua la cessione di un bene immobile è alquanto probabile che si venga a generare una plusvalenza interamente soggetta a imposizione fiscale (ai sensi di quanto disposto dal TUIR e precisamente dall’articolo 86 del DPR n. 917/86).

Un’alternativa spesso adottata, al posto della cessione del bene immobile, è l’assegnazione ai soci. In tali frangenti si possono conseguire vantaggi sia fiscali che finanziari. La legge prevede l’assegnazione ai soci solo di beni immobili non utilizzati per svolgere l’attività d’impresa (immobili patrimoniali, immobili merce e immobili strumentali) o destinati ad uso abitativo. Con l’assegnazione, il corrispettivo derivante da una normale vendita del bene viene sostituito dal cosiddetto valore normale dell’immobile registrato, che rappresenta un costo per il socio assegnatario. Ciò significa che il valore normale verrà confrontato col prezzo di vendita nel caso di una futura alienazione del bene per calcolare l’eventuale plusvalenza.

Con l’assegnazione, la società è soggetta ad una tassazione che prevede un’imposta sostitutiva dell’8% (sale al 10,5% nel caso in cui la società non sia stata operativa per almeno due anni durante i tre periodi d’imposta precedenti l’assegnazione) sulle plusvalenze calcolate prendendo come riferimento il valore catastale dell’immobile. Sotto il profilo finanziario, l’assegnazione non genera alcun trasferimento di denaro ma, in taluni casi, potrebbe comportare una tassazione in capo al socio assegnatario.

 

Alternative alla cessione del bene immobile adottabili da una società immobiliare

Una società, che ha come oggetto la compravendita di immobili, dispone di una serie di alternative rispetto alla classica alienazione del bene con conseguente plusvalenza soggetta a tassazione ordinaria. Nello specifico può sfruttare:

  • cessione delle quote societarie a soci persone fisiche, anziché alienare il bene immobile;
  • cessione delle quote societarie a soci di società di capitali, anziché alienare il bene immobile grazie a cui sarà possibile adottare le disposizioni previste dal particolare regime di Partecipation Exemption (PEX);
  • costituzione di una holding comunitaria in un Paese UE, così da controllare la società immobiliare residente in Italia e oggetto della compravendita.

Andiamo ad analizzare nel dettaglio le tre situazioni appena elencate per capire quali sono i reali vantaggi.

 

Cessione delle quote societarie a soci persone fisiche

Una soluzione tra le più diffuse è rappresentata dalla costituzione di una società di persone quando sopraggiunge la necessità di effettuare la compravendita di un bene immobile, specie se di natura strumentale. Tale pratica consente, ad uno o più soci persone fisiche, di attuare la cessione di quote della società immobiliare piuttosto che vendere l’immobile. Così facendo si genera una plusvalenza da cessione di partecipazione, anziché dare origine ad un guadagno da normale alienazione di un cespite. In questi casi, indipendentemente dal fatto che la partecipazione risulti qualificata o meno, la plusvalenza viene considerata capital gain e pertanto si applicherà una tassazione con imposta sostitutiva pari al 26%.

Per dovere di cronaca è opportuno sottolineare come, nel corso degli ultimi anni, chi ha adottato il suddetto metodo ha potuto sfruttare varie opportunità per rivalutare il costo della partecipazione riconosciuto ai fini fiscali, applicando imposte sostitutive variabili in base al tipo di partecipazione (qualificata o no). Inoltre, rivalutando le quote si può diminuire la plusvalenza generata dalla cessione delle quote stesse.

Come accennato a inizio paragrafo, cedere quote societarie al posto di vendere l’immobile è un’iniziativa adottata, quasi esclusivamente, con beni strumentali e molto più raramente con immobili ad uso abitativo.

 

Cessione quote societarie di un bene immobile detenuto da società di capitali

Tale metodo è del tutto simile al precedente è si manifesta qualora vengano cedute quote societarie relative ad una proprietà immobiliare detenuta da una società di capitali, anziché di persone. Il tutto gravita attorno all’opportunità di poter sfruttare, da parte della società che detiene le quote, la disciplina PEX secondo le disposizioni dell’articolo 87 del TUIR. Ricordiamo che la Partecipation Exemption è stata introdotta dal Governo Berlusconi attraverso la riforma Tremonti nel biennio 2001-2002. Il suo scopo è offrire esenzioni fiscali per ridurre la doppia tassazione del reddito societario che, normalmente, colpisce sia la società che il partecipante alla realizzazione di una plusvalenza. Il regime PEX ha subito alcune modifiche significative a partire dal 2019 a seguito dell’entrata in vigore della direttiva europea 2016/1164. Ciò ha comportato variazioni nelle disposizioni riguardanti i requisiti di residenza e localizzazione della società partecipante al PEX.

Applicare la Partecipation Exemption per una società immobiliare non è affatto semplice e presenta alcune problematiche da tenere in considerazione. Il punto di maggior rilevanza riguarda il requisito di commercialità che deve rispettare l’immobiliare figlia detenuta dalla società di capitali. In mancanza della suddetta condizione, risulta impossibile applicare l’esenzione fiscale del 95% sulle plusvalenze generate. In tal senso l’articolo 87, comma 1, lettera d del TUIR è molto chiaro e altrettanto severo. La legge afferma che in assenza di prova contraria, si manifesta la presunzione della non sussistenza del requisito di commercialità relativo a società il cui valore patrimoniale è costituito, in prevalenza, da beni immobili che risultano di natura diversa rispetto a quelli impiegati nell’attività di impresa.

Pertanto, questa alternativa non risulta di facile applicazione e riguarda, soprattutto, società commerciali che detengono beni immobili.

 

Costituzione di una holding UE per effettuare la compravendita di beni immobili

Tra le soluzioni più interessanti per un’efficace pianificazioni fiscale, c’è la costituzione di una holding in un Paese della Comunità Europea. Lo scopo e far detenere alla holding la società immobiliare ubicata in Italia e sfruttare la convenzione internazionale contro la doppia imposizione.
È doveroso precisare che il TUIR (articolo 23, comma 1) impone la tassazione in Italia delle plusvalenze a favore di soggetti non residenti ma generate da cessioni a titolo oneroso di partecipazioni in una società residente (vengono escluse da tale principio solo società non qualificate e negoziate in un mercato regolamentato).

L’accordo contro le doppie imposizioni che lo Stato italiano ha sottoscritto, offre un’interessante scappatoia alle imposizioni del TUIR. Nello specifico, è l’articolo 13 del Modello OCSE a stabilire che la potestà impositiva spetta unicamente al Paese di residenza della società alienante, vale a dire la holding UE. Ciò significa che sarà sufficiente costituire una holding scegliendo un Paese che ha aderito alla convenzione con l’Italia e, di conseguenza, riconosce il regime PEX anche per società non operative. In questo modo è possibile aggirare le limitazioni imposte dall’articolo 87 del TUIR, analizzate nel precedente paragrafo.

Sebbene sussista la possibilità di sfruttare le agevolazioni fiscali della PEX tramite holding estera, dobbiamo fare la distinzione tra due diverse situazioni:

  • soci con residenza in Italia e possesso di partecipazioni in una holding comunitaria che mantiene quote della società immobiliare italiana;
  • soci con residenza in Italia che detengono partecipazioni in una holding comunitaria con possesso diretto della proprietà immobiliare italiana;

Solo la seconda delle suddette casistiche porta ad un’effettiva ottimizzazione fiscale.

 

Holding comunitaria con quote della società immobiliare italiana

I soci italiani sono possessori di quote di una holding costituita all’estero in un Paese membro UE. A sua volta la holding detiene partecipazioni della società immobiliare ubicata in Italia. La valutazione dev’essere fatta prendendo come riferimento la disciplina antielusiva (articolo 37-bis del DPR n. 600/73) e la normativa in materia di esterovestizione societaria (articolo 35, comma 13 del D.L n. 223). Tutta la questione ruota, in buona sostanza, attorno alla presunzione di residenza in Italia della società in oggetto.

Ciò significa che l’Agenzia delle Entrate, in presenza di determinate condizioni, presume che una società estera in possesso di partecipazioni in società di capitali, cooperative, società di mutua assicurazione, nonché enti pubblici o privati (comunque società che non esercitano attività commerciali), sia da considerarsi con sede amministrativa in Italia. Spetta al contribuente dimostrare il contrario esibendo adeguate prove a suo carico, altrimenti la società viene ritenuta fiscalmente residente nel nostro Paese.

Non basta creare una holding all’estero che detiene quote nella società immobiliare se poi risulta amministrata, anche indirettamente, da manager per lo più residenti sul territorio italiano. In questi casi l’Agenzia delle Entrate applica il principio di presunzione di residenza e tutte le plusvalenze generate dalla holding esterna vengono tassate in Italia, vanificando ogni tentativo di pianificazione fiscale.

 

Holding comunitaria con possesso diretto del bene immobili

La holding non detiene quote di partecipazione della società immobiliare italiana, bensì possiede direttamente l’immobile. La mancanza di una società che funge da intermediario comporta alcuni vantaggi fiscali, ad esempio, qualora la proprietà immobiliare venisse affittata o venduta. Infatti, la locazione, secondo la legge, non configura la presenza di una stabile organizzazione, pertanto i redditi generati sono soggetti a tassazione in base alla categoria reddituale di appartenenza. L’affitto di un immobile ad uso abitativo o di natura strumentale genera un reddito fondiario, quindi soggetto ad un prelievo fiscale come se fosse percepito da una persona fisica.

In questi casi la holding potrebbe beneficiare dei seguenti vantaggi:

  • la plusvalenza a seguito di vendita di un immobile in possesso da più di 5 anni non è assoggettata a tassazione;
  • il 95% dell’ammontare del canone di affitto non è tassato.

L’uso del condizionale è comunque d’obbligo in quanto non bisogna dimenticare le disposizioni previste dalla Convenzione OCSE. A tal proposito l’articolo 6 e l’articolo 13 del Modello di Convenzione OCSE stabiliscono, rispettivamente, che i redditi ricavati da soggetti non residenti e derivanti da locazione o cessione di beni immobili ubicati in Italia sono sottoposti a tassazione nel nostro Paese.

Quindi, qualora volessimo applicare tale metodo di pianificazione fiscale, sarà necessario adottare i seguenti accorgimenti:

  • costituire o individuare una holding in un Paese UE che applica una bassa tassazione sulle plusvalenze generate all’estero;
  • scegliere un Paese UE che abbia firmato una convenzione contro la doppia imposizione e preveda la tassazione solo in Italia. Ciò impedisce alla legge antielusiva e alla normativa sulla esterovestizione societaria di intervenire, visto che la holding detiene direttamente beni immobili anziché quote societarie;
  • la holding non dev’essere gestita dall’Italia. I soci devono svolgere unicamente una funzione di socio di capitale, lasciando tutte le mansioni amministrative a professionisti con residenza nello Stato della holding. In caso contrario, sarà molto facile per l’Agenzia delle Entrate applicare le regole sulla esterovestizione societaria, rendendo vano tutto il lavoro di pianificazione fiscale.

 

Disposizioni antielusive e Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni

All’interno della Convenzione contro le doppie imposizioni che l’Italia ha stipulato, talvolta si fa riferimento alla disciplina antielusiva. In particolare, nel paragrafo 13 del Modello OCSE viene stabilita la tassazione relativa alle plusvalenze.

La normativa in merito afferma: un soggetto residente all’estero che consegue plusvalenze per cessione di quote il cui valore deriva per il 50% da beni immobili situati in un altro Paese, dev’essere sottoposto a tassazione nello Stato di ubicazione dei beni. Pertanto, qualora ci fosse l’intenzione di attuare un’operazione di conferimento transnazionale, è opportuno verificare la convenzione in atto tra Italia e il Paese di residenza della holding. In questo si potrebbe avere la certezza che non sussista una specifica disposizione come quella prevista nel Modello OCSE.

 

Sfruttare la costituzione di un trust estero

L’ultima soluzione che andiamo ad analizzare, ma non per questo meno interessante, riguarda la costituzione di un trust estero. Uno strumento giuridico piuttosto semplice che prevede l’attribuzione dei beni immobili dal proprietario al trust. La diretta conseguenza di tale azione è la perdita da parte del disponente della proprietà dei beni, realizzando così un’efficace segregazione patrimoniale.

Al momento della stipula dell’atto, il disponente indica il nome del beneficiario o dei beneficiari che riceveranno i beni immobili alla scadenza. Il trust viene gestito da un amministratore che prende il nome di trustee. Rappresenta un metodo di pianificazione fiscale di una certa efficacia, soprattutto se il disponente è una persona fisica. Questo perché il passaggio di proprietà dei beni tramite trust viene assimilato ad una donazione, pertanto esente da imposte dirette.

Se il trasferimento dei beni riguarda una società, la convenienza diminuisce. L’imprenditore, una volta firmato il trust, perde la disponibilità dei beni poiché la loro finalità risulta estranea all’attività di impresa. Di conseguenza, il disponente riceve componenti positivi di reddito che devono essere soggetti a tassazione e applicazione IVA ai sensi del DPR n. 917/86 e dell’articolo 2, comma, n. 5 del DPR n. 633/1972.

L’assegnazione dei beni attraverso trust non comporta, inizialmente, l’applicazione di imposizione diretta. Scatta il versamento dell’imposta di donazione pari all’8% quando i beni vengono attribuiti ai beneficiari indicati dal disponente.

Alla luce di quanto detto, il trust si dimostra uno strumento giuridico molto valido per mettere al sicuro il patrimonio, oppure organizzare il passaggio generazionale trasferendo ai beneficiari beni senza subire un prelievo fiscale in Italia. Tuttavia, anche in questo caso è bene muoversi con estrema cautela per non violare la normativa antielusiva.

 

Conclusioni

Come abbiamo avuto modo di vedere, creare una valida strategia di pianificazione per la gestione di beni immobili detenuti da una società non è affatto semplice. La normativa in materia a livello nazionale e internazionale ci offre alcune valide opportunità per ridurre il carico fiscale, tuttavia bisogna prestare molta attenzione a non violare le severe leggi antielusive e sull’esterovestizione societaria.

Di certo non è ammessa improvvisazione, in particolare quando decidiamo di sfruttare una holding estera per gestire beni immobiliari situali in Italia. Per raggiungere l’obbiettivo di una soddisfacente riduzione del carico fiscale, è indispensabile la consulenza di un professionista che sappia individuare la soluzione ottimale per la specifica situazione.

   

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