Il coefficiente di redditività nel regime forfettario

Scritto da Omar Cecchelani in Imprese

Il regime forfettario è il sistema fiscale più agevolato previsto dal nostro ordinamento tributario per lavoratori autonomi e liberi professionisti. Anche per il 2021 i titolari di partita IVA che rispettano i requisti richiesti possono applicare un’aliquota pari al 15% sul reddito imponibile, che scende al 5% per i primi 5 anni di vita di una start-up. Le persone fisiche che esercitano attività d’impresa, arte o professione con ricavi o compensi annui fino a 65 mila euro possono beneficiare, non solo di una tassazione agevolata, ma anche di alcune importanti semplificazioni fiscali e contabili.

La Legge di Bilancio 2020 ha introdotto alcune modifiche sui requisiti e limiti di accesso che sono state confermate anche dalla nuova normativa per il 2021, in cui nulla è cambiato rispetto all’anno precedente.

Per adottare il regime forfettario è necessario stabilire la base imponibile a cui applicare l’aliquota fissa. La determinazione del reddito si basa sull’utilizzo dei cosiddetti coefficienti di redditività, ovvero una percentuale da calcolare sul fatturato lordo annuo. Dunque, andiamo a scoprire come funziona esattamente il meccanismo per il computo dell’imposta da versare in sostituzione di IRPEF e IRAP.

Indice:

 

Come funziona il regime forfettario

Prima di entrare nel vivo della questione riguardante i coefficienti di redditività, riassumiamo brevemente le principali caratteristiche del regime forfettario.

Questo sistema di tassazione agevolata è stato introdotto per la prima volta con la legge 190/2014, vale a dire la Legge di Stabilità 2015; ha subito una prima riforma l’anno successivo a seguito dell’approvazione della Legge di Stabilità 2016 (legge 208/2015), mentre le ultime modifiche risalgono al 2020 con le nuove disposizioni previste dalla Legge di Bilancio e precisamente dal D.L n. 124/2019.

Ad oggi il regime forfettario è l’unica tassazione agevolata, spesso definita anche flat tax, destinata a lavoratori autonomi e liberi professionisti che, altrimenti, dovrebbero adottare la fiscalità ordinaria. Ciò significa che i precedenti regimi agevolati (nuove iniziative produttive, Regime dei Minimi ed ex minimi) sono stati abrogati. L’unica eccezione è rappresentata dai soggetti che, fino al 2015, hanno sfruttato il regime dei minimi, avendo acquisito il diritto di continuare ad applicarlo in via transitoria fino alla sua naturale scadenza.

Il funzionamento del regime forfettario è alquanto semplice e prevede l’applicazione di un’aliquota fissa al 15% sulla base imponibile, ottenendo così l’imposta da versare in sostituzione di IRPEF e IRAP per tutte le persone fisiche esercitanti attività di impresa, arte o professione. In caso di attività riconducibile ad una start-up, l’imprenditore ha la possibilità di applicare un’aliquota super agevolata al 5% per i primi 5 anni, trascorsi i quali potrà passare alla tassazione del 15% fermo restando il mantenimento dei requisiti richiesti.

Il regime forfettario con aliquota ordinaria non ha una scadenza temporale, ciò significa che può essere applicato finché il soggetto rispetta le condizioni fissate dalla normativa, oppure viene modificato o abrogato dall’entrata in vigore di una nuova legge. Al verificarsi della perdita di uno dei requisti, l’anno successivo il contribuente dovrà adottare il regime di tassazione ordinario previsto per i titolari di partita IVA.

 

I requisti del regime forfettario

Per l’anno 2021 nulla è cambiato a livello di requisti richiesti per adottare il regime forfettario. Nello specifico bisogna rispettare le seguenti condizioni:

  • ogni persona fisica titolare di attività d’impresa, arte o professione deve aver prodotto ricavi o ricevuto compensi non superiori a 65 mila euro all’anno. Nel caso in cui il titolare di partita IVA svolgesse più lavori corrispondenti ad altrettanti codici ATECO, dovrà considerare la somma di tutti i ricavi e compensi generati dalle varie attività svolte;
  • le spese per il lavoro accessorio, lavoro dipendente nonché per gli emolumenti versati a eventuali collaboratori, non possono superare il limite di 20 mila euro lordi. In tale valore rientrano anche le somme corrisposte a lavoratori assunti tramite contratto a progetto. Ricordiamo che per il calcolo del costo complessivo è necessario inserire anche gli importi erogati come utili di partecipazione agli associati che hanno offerto una prestazione solo lavorativa. Non vanno nemmeno dimenticati i compensi versati a seguito di opere svolte dallo stesso lavoratore autonomo o dai suoi familiari;
  • il soggetto può percepire redditi derivanti da lavoro dipendente o pensione purché di importo complessivo inferiore a 30 mila euro. Tale limite non ha alcuna rilevanza nel caso in cui il lavoratore dipendente venga licenziato oppure si dimetta.

Fino a quando il soggetto manterrà i suddetti requisiti sarà legittimato ad adottare il regime forfettario, in caso contrario, l’anno successivo dovrà passare alla tassazione ordinaria.

Faccio un semplice esempio per chiarire il meccanismo: supponiamo che nel 2020 un titolare di partita IVA abbia conseguito ricavi pari a 60 mila euro (diamo per scontato il rispetto degli altri requisiti). Egli potrà continuare a beneficiare anche per il 2021 dell’aliquota sostitutiva al 15%.

Se a fine 2021 il fatturato raggiungesse invece i 70 mila euro, per l’intero importo del fatturato, la tassazione continuerà a godere dell’agevolazione, ma dal 1° gennaio 2022 ci si vedrebbe costretti ad applicare il regime ordinario. Se al termine del 2022 i ricavi dovessero ritornare sotto la soglia dei 65 mila euro, il contribuente applicherà la tassazione ordinaria IRPEF per l’anno in corso ma potrà decidere di aderire nuovamente al regime forfettario per l’anno 2023.

 

A cosa servono i coefficienti di redditività?

I coefficienti di redditività sono alla base del metodo di calcolo del regime forfettario. Si tratta di una percentuale che il lavoratore autonomo applica ai ricavi lordi complessivi dell’anno al fine di ottenere il reddito imponibile. In pratica, i coefficienti permettono di determinare in maniera del tutto ipotetica i costi aziendali sostenuti dal titolare di partita IVA, considerando il tipo di attività svolta e quindi il codice ATECO di appartenenza.

Il motivo per cui risulta necessario applicare tale coefficiente è la diretta conseguenza di una peculiarità del regime forfettario. Infatti, questo sistema di tassazione agevolata non consente di scaricare direttamente i costi di esercizio dell’attività dal fatturato annuo prodotto. Di conseguenza, per determinare la base imponibile il lavoratore autonomo si avvale di un coefficiente di redditività stabilito dalla normativa vigente e diversificato a seconda della professione esercitata.

Volendo riassumere i passaggi per il computo dell’imposta da versare con regime forfettario, li possiamo così schematizzare:

  • calcolo del fatturato annuo lordo attraverso il criterio di cassa, ovvero prendendo come riferimento tutte le fatture incassate e sommando i singoli importi;
  • scelta del coefficiente di redditività in base all’attività esercitata e relativo codice ATECO;
  • calcolo della base imponibile applicando al fatturato lordo il coefficiente di redditività. In questa fase è bene non scordarsi di sottrarre, dopo il calcolo, anche i contributi previdenziali (unico costo deducibile dal reddito nel regime forfettario);
  • calcolo dell’imposta da versare applicando l’aliquota del 15% o 5% al reddito imponibile.

Come già più volte sottolineato, il coefficiente di redditività non è identico per tutti i titolari di partita IVA ma varia in base alla tipologia di attività svolta. Si va da una percentuale del 40% per attività appartenenti al settore del commercio all’ingrosso, al dettaglio e ambulante, arrivando all’86% per attività immobiliari e di costruzione. Comunque, è molto semplice ottenere il corretto coefficiente di redditività in quanto risulta collegato al Codice ATECO della propria attività: basta verificare su apposite tabelle la corrispondenza per stabilire la percentuale da applicare al fatturato lordo annuo.Tabella Codici Ateco

A prima vista questo regime fiscale parrebbe essere particolarmente vantaggioso e, in linea di massimo lo è davvero, tuttavia molto dipende dalle diverse situazioni. Infatti è necessario non dimenticare che il regime forfettario impedisce di dedurre i costi realmente sostenuti stimandone un importo. Nel caso di margini operativi molto bassi, potrebbe non essere sempre conveniente rispetto al regime ordinario.

 

Nel regime forfettario i contributi previdenziali sono deducibili?

Un aspetto molto importante da evidenziare quando si parla di codesto regime agevolato, è l’opportunità di dedurre dal reddito imponibile i contributi previdenziali che il lavoratore autonomo ha l’obbligo di versare all’INPS o alla cassa previdenziale di competenza.

Pertanto, dopo aver applicato il coefficiente di redditività al fatturato lordo complessivo, dal risultato ottenuto, sara possibile dedurre i contributi previdenziali versati nel periodo d’imposta di riferimento, così da ottenere il reddito imponibile.

 

Rilevanza dei costi d’esercizio dell’attività nel regime forfettario

Alla luce di ciò che abbiamo detto fino ad ora, appare piuttosto evidente come i costi di esercizio dell’attività non abbiano alcun impatto in un impresa che adotta il regime forfettario. Perciò, il loro valore, più o meno alto che sia, non contribuisce in alcun modo a ridurre la base imponibile, sia a livello fiscale che previdenziale.

Ciononostante è sempre consigliabile analizzare con attenzione i costi di esercizio di un’attività in regime forfettario per comprendere l’effettiva convenienza fiscale di codesto regime e, soprattutto per essere sempre aggiornati sulla reale situazione della propria attività. Faccio un semplice esempio per far capire quanto sia importante, comunque, anche in regime forfettario, il controllo relativo alla situazione economica di un’attività:

“supponiamo che un lavoratore autonomo abbia conseguito un fatturato annuo lordo di 20.000 euro svolgendo attività di intermediario del commercio con codice ATECO 46.1 e conseguente coefficiente di redditività pari al 62%. Inoltre, nel corso dell’attività il soggetto abbia dovuto sostenere 9.000 euro di costi effettivi (il suo utile effettivo sarebbe pertanto di 11.000€).

Siamo però in regime forfettario, e per ottenere la base imponibile su cui calcolare l’imposta, è necessario applicare il coefficiente di redditività del 62% al fatturato lordo di 20.000 euro, che come risultato darebbe 12.400 euro. Questo significa che, il regime forfettario, ha dedotto in automatico una cifra pari a 7.600 euro (20.000 – 12.400) che rappresentano i costi d’esercizio forfettizzati relativi alla specifica attività del lavoratore. In realtà, quest’ultimo ha effettivamente sborsato 9.000 euro e, pertanto, sulla differenza di 1.400 euro il contribuente dovrà comunque pagare le tasse.”

In linea di massima però, considerando l’aliquota agevolata al 15%, o addirittura al 5% per le start up, l’incidenza di eventuali costi di esercizio superiori a quelli stimati è piuttosto irrilevante. Tuttavia, potrebbe assumere una certa importanza per determinate attività come, ad esempio, un e-commerce e, in particolare, i negozi online che sfruttano il sistema del cosiddetto drop-shipping. Tale meccanismo prevede la spedizione della merce dal fornitore direttamente al cliente, mentre il marketer (gestore dell’e-commerce) svolge il ruolo di intermediario trattenendo soltanto la differenza tra prezzo di acquisto e quello di vendita al pubblico.

In tali frangenti, il regime agevolato presenta alcuni limiti, i quali si acuiscono nel momento in cui il marketer deve importare merce dall’estero superando la soglia minima comunitaria fissata dalla legge in 10.000 euro. In realtà, la situazione è anche più complessa visto che, a partire dal 1° luglio 2021, è entrata in vigore la Direttiva 2017/2455/UE che estende il sistema MOSS anche alla vendita online di un bene fisico.

In poche parole, il marketer avrà l’obbligo di versare l’IVA in base alla localizzazione geografica del consumatore finale, tenendo presente che l’imposta sul valore aggiunto rappresenta un costo indetraibile per il regime forfettario.

Tutto questo discorso ha lo scopo di far capire come sia sempre necessario valutare con attenzione la scelta di adottare il regime forfettario o continuare a sfruttare la tassazione ordinaria. Nonostante gli indubbi benefici fiscali e contabili, risulta opportuno accertare con il proprio commercialista, oppure con un consulente, la reale convenienza nell’applicazione della tassazione agevolata che, se dal punto di vista degli adempimenti è sempre conveniente, relativamente alla convenienza in termini di imposte da pagare, spesso può risultare particolarmente indigesta.

   

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