Finanziamento infruttifero soci: disciplina e restituzione
Un finanziamento infruttifero soci, com’è piuttosto intuibile dalla definizione, si verifica nel momento in cui i soci di una SRL, o di una qualsiasi società di persone, prestano del proprio denaro alla società che dovrà restituire l’importo incassato senza l’applicazione di alcun tipo di maggiorazione o interesse. Si tratta di uno strumento ampiamente utilizzato dalle società per ottenere la necessaria liquidità ed evitare di ricorrere all’aumento di capitale sociale. Un classico esempio sono le SRL costituite versando il minimo del capitale sociale, ossia 10.000 euro, con i soci che in un secondo momento prestano somme di denaro a titolo di finanziamento al fine di sostenere le attività d’impresa e pagare eventuali debiti.
Considerando il frequente impiego del finanziamento infruttifero soci da parte di piccole e medie imprese, il legislatore ha deciso di intervenire per regolarizzarne la fattispecie. La riforma è stata introdotta nel 2004 con l’istituzione di nuove norme che disciplinano, innanzitutto, la restituzione del finanziamento ai soci, il quale dovrà verificarsi solo quando tutti i creditori della società saranno stati soddisfatti.
In secondo luogo, in caso di fallimento gli eventuali rimborsi pagati l’anno precedente saranno oggetto di azione revocatoria e dovranno essere restituiti. Inoltre, è importante sottolineare come tali regole hanno valore unicamente per i finanziamenti che i soci hanno concesso nel momento in cui l’indebitamento della società è risultato superiore rispetto al patrimonio netto. Ricordiamo inoltre che una SRL può essere finanziata dai soci, sia attraverso la forma del prestito che quella del versamento in conto capitale.
Inoltre, è necessaria la sussistenza di determinate condizioni, vale a dire il finanziamento soci dev’essere previsto dallo statuto sociale, e il soggetto che intende prestare denaro deve ricoprire la carica di socio da un minimo di 3 mesi e possedere almeno il 2% del capitale sociale sulla base dei dati approvati nell’ultimo bilancio.
Lo scopo delle nuove norme introdotte dal legislatore è quello impedire che un socio si sottragga al naturale rischio di impresa e provveda a finanziare la società attraverso un prestito anziché partecipare all’aumento del capitale sociale.
In linea di massima, la normativa sul finanziamento infruttifero soci è stata pensata, in particolare, per le SRL. Tuttavia c’è chi ritiene che possa essere adottata anche dalle SPA, quantomeno per imprese di più modeste dimensioni e con realtà imprenditoriali e basi sociali ristrette del tutto paragonabili ad una società a responsabilità limitata.
Cercheremo in queste righe di capire come funziona il finanziamento soci, quali sono le differenze tra le due modalità consentite, la procedura di restituzione, gli aspetti fiscali e ciò che accade in caso di fallimento della società.
Indice:
- Come funziona il finanziamento soci
- I limiti imposti dalla legge per il finanziamento soci di una SRL
- Motivi che possono portare i soci a finanziare la società
- Finanziamento ai soci: com’è considerato dal punto di vista fiscale?
- Finanziamento soci: la procedura di restituzione
- I soci possono rinunciare alla restituzione del finanziamento?
- Cosa accade se la società fallisce?
- Conclusioni
Come funziona il finanziamento soci
In generale, il finanziamento soci è una soluzione sfruttata con la finalità di incrementare le risorse finanziarie della società evitando di ricorrere all’aumento di capitale. Una forma di prestito che assume la definizione di “infruttifero” qualora le somme versate nella casse della società non generino alcun interesse e, di conseguenza, la somma verrà restituita con importo di pari entità a quanto effettivamente versato.
L’apporto di liquidità del socio nelle casse della società tramite finanziamento può avvenire, sostanzialmente, con due metodi. Il primo è il finanziamento in conto capitale ossia una somma di denaro versata dal socio e acquisita in maniera definitiva dalla società, la quale non è tenuta a corrispondere alcun interesse né tantomeno rimborsare il finanziamento. Tuttavia, nonostante il socio non abbia diritto di chiederne la restituzione, spesso l’assemblea ne delibera il rimborso attraverso la distribuzione delle riserve che risultano ancora disponibili dal bilancio. In questi casi, la cifra restituita sarà, comunque, proporzionale alle quote di capitale sottoscritto. La società può utilizzare il denaro ricevuto per effettuare investimenti oppure per coprire una perdita, nonché imputare la somma per la sottoscrizione di un successivo aumento di capitale. In tali frangenti si parla, per l’appunto, di versamento in conto futuro aumento di capitale.
Il secondo metodo di finanziamento è un vero e proprio prestito e il socio si comporta alla stessa stregua di un normale creditore. Pertanto, l’importo elargito non rappresenterà capitale di rischio, bensì un credito del socio a favore della società. Quest’ultima dovrà provvedere a restituire gli importi entro la scadenza fissata corrispondendo o meno interessi a seconda degli accordi sottoscritti.
La legge comunque, non impone la presenza di un contratto mediante scrittura privata, tuttavia è il metodo consigliato perché rappresenta il miglior modo per tutelare i soci. Infatti, nel contratto verranno stabiliti i termini da rispettare per la restituzione del prestito e tutti gli accordi per la finalizzazione dello stesso. Inoltre, la scrittura privata può dimostrare con chiarezza che il credito non abbia generato interessi. Questo punto è fondamentale in quanto il sistema tributario prevede la presunzione di fruttuosità del finanziamento e quindi impone il pagamento delle imposte sugli interessi eventualmente percepiti o maturati.
I limiti imposti dalla legge per il finanziamento soci di una SRL
La normativa ha stabilito alcune limitazioni allo scopo di evitare che molte società approfittino di tale opportunità per effettuare una raccolta di risorse non autorizzata, o comunque poco chiara. Per una società a responsabilità limitata devono sussistere specifiche condizioni affinché risulti possibile ricevere un finanziamento infruttifero, da parte di uno o più soci, che riguardano in particolare:
- la possibilità di finanziamento soci dev’essere prevista da apposita clausola nello statuto sociale;
- i soggetti che desiderano effettuare il prestito alla società devono possedere la carica di soci da almeno 3 mesi;
- i soci creditori devono risultare iscritti al Registro delle imprese;
- i soci creditori devono detenere almeno il 2% del capitale sociale secondo quanto indicato nell’ultimo bilancio.
La presenza di una specifica clausola nello statuto societario risponde alle esigenze di contrastare fenomeni di riciclaggio e usura che, molto spesso, risultano essere collegati al finanziamento soci. Inoltre, comporta un ulteriore effetto: non obbliga la società a convocare l’assemblea per deliberare in favore di un finanziamento. Comunque, in ogni caso, l’eventuale delibera assembleare si limita a manifestare l’invito formale ai soci ad apportare liquidità nelle casse della società. È opportuno non dimenticare che in presenza della suddetta delibera vige l’obbligo di versare l’imposta di registro nella misura del 3%.
Motivi che possono portare i soci a finanziare la società
A prescindere dal tipo di metodo utilizzato per effettuare un finanziamento, i soci possono decidere di versare denaro alla società in uno dei seguenti momenti:
- situazione finanziaria societaria in forte squilibrio, ovvero si sono accumulati troppi debiti rispetto al patrimonio netto. I soci attraverso il finanziamento riescono a fornire alla SRL l’adeguata liquidità per rispondere alle esigenze di cassa e consentire alla società di proseguire l’attività;
- la società attraversa un periodo di disagio economico non grave, ma che comunque impone un intervento. In questi frangenti il finanziamento potrebbe arrivare non solo dai soci, ma anche da nuovi investitori.
Finanziamento ai soci: com’è considerato dal punto di vista fiscale?
In base a quanto stabilito dall’articolo 46 del DPR n. 917/86 i finanziamenti soci vengono considerati, a tutti gli effetti, debiti che la società vanta nei confronti dei soci stessi, sempreché non risulti dal bilancio, o rendiconto, che tali versamenti sono stati effettuati ad altro titolo.
Se la somma è corrisposta a titolo di capitale, nel bilancio dovrà figurare sotto la voce “Patrimonio Netto della società”, mentre se il finanziamento è in conto capitale o vincolato a un futuro aumento di capitale, la voce del passivo sarà “Debiti verso soci per finanziamenti infruttiferi”.
Da un punto di vista fiscale, i soci devono pagare le tasse solo se il finanziamento genera interessi. A tal proposito, se il versamento risulta a titolo di capitale non produce alcun interesse attivo per il socio. Il motivo è che il capitale di rischio della società rappresenta il reddito imponibile per il Fisco e dividendo per i soci.
Per quanto riguarda l’imposta di registro, si deve versare in misura proporzionale pari al 3% qualora il finanziamento infruttifero sia stato stipulato mediate scrittura privata attraverso uno specifico contratto. E’ previsto il pagamento di una quota fissa solo nel caso in cui, attraverso una delibera, l’assemblea decide il passaggio del finanziamento a capitale, oppure viene concessa la restituzione degli importi versati tramite distribuzione delle riverse rimaste a disposizione dopo la chiusura del bilancio.
Tuttavia, ci sono casi che escludono il versamento della suddetta imposta e precisamente:
- la richiesta di prestito è stata presentata dalla società al socio attraverso una lettera commerciale, vale a dire una corrispondenza inviata senza busta così da consentire la verifica del contenuto, oppure tramite posta elettronica certificata (PEC);
- la somma di denaro viene erogata sotto forma di finanziamento in conto capitale, quindi senza obbligo di restituzione. In questo caso, l’esenzione d’imposta è dovuta al fatto che, ai fini fiscali, tale forma è equiparabile al conferimento nella società di capitale di rischio.
Finanziamento soci: la procedura di restituzione
In base al tipo di finanziamento ci sono determinate scadenze prestabilite da rispettare per restituire la somma ricevuta.
In caso di finanziamento in conto capitale la restituzione avviene solo nel momento in cui cessa la società. Chiaramente, la condizione determinante perché risulti possibile effettuare il rimborso è la presenza di un bilancio con liquidazione in attivo.
Se invece il finanziamento soci è stato concesso sotto forma di prestito alla società, si deve far fede alle specifiche scadenze stabilite alla firma del contratto stipulato prima dell’apporto di denaro da parte dei soci alla società.
È buona norma, indipendentemente dal fatto che si utilizzi una lettera commerciale o il verbale assembleare, stabilire sempre una scadenza entro cui restituire il prestito. Comunque, il codice civile, al fine di tutelare i terzi, ha previsto una norma (articolo 2.467) per limitare un fenomeno piuttosto ricorrente ovvero la sotto-capitalizzazione. Infatti, il più delle volte, il finanziamento soci viene effettuato quando si manifesta la necessità di un aumento di capitale sociale. In questi casi la restituzione del prestito è vincolata al saldo di tutte le eventuali passività accumulate dall’azienda. In altre parole, la società può restituire il finanziamento ai soci solo dopo aver pagato gli altri creditori, i quali eviteranno di trovarsi pertanto in una posizione di svantaggio.
Quello appena descritto è il cosiddetto principio di postergazione che favorisce la soddisfazione dei creditori e subordina a questa condizione il rimborso del finanziamento ai soci. Resta comunque una situazione piuttosto spinosa che ha portato a non pochi dibattiti, sia in dottrina che in giurisprudenza, vista la difficoltà nello stabilire se i versamenti dei soci costituiscano un finanziamento (con obbligo di restituzione), oppure un apporto patrimoniale in conto di capitale di rischio (senza obbligo di restituzione).
I soci possono rinunciare alla restituzione del finanziamento?
La risposta a tale quesito è “assolutamente si“. A ciascun socio spetta il diritto di rinunciare al diritto di vedersi restituito il prestito concesso alla società, intendendo così lasciare la somma allo scopo di rafforzare il capitale sociale.
La decisione di rinuncia non spetta all’assemblea, bensì ad ogni singolo socio. Inoltre, risulta di grande rilevanza capire a quale titolo avviene la rinuncia e, in tal senso, si possono verificare le seguenti possibilità:
- versamento in conto capitale: in questo caso la somma è destinata a riserva di capitale, senza che sussista la condizione di un futuro aumento di capitale;
- versamento in conto aumento di capitale: anche in tale frangente le somme versate costituiscono una riserva di capitale, tuttavia sono subordinate ad un preciso vincolo di destinazione. Infatti, gli importi vengono accolti solo in presenza di una procedura di aumento di capitale, sempreché risulti ancora non conclusa al momento della chiusura del bilancio;
- versamento in conto futuro aumento di capitale: gli importi erogati dai soci e non restituibili sono vincolati ad un prossimo aumento di capitale sociale;
- versamento a copertura perdita: le somme a titolo di riserva di capitale sono erogate unicamente dopo che si è manifestata una perdita.
Qualificare in modo corretto i versamenti dei soci ha una notevole importanza a livello contabile, poiché determina come questi vengano inseriti tra le voci del patrimonio netto, oppure dei debiti.
Il socio che intende rinunciare alla restituzione del finanziamento deve produrre un’opportuna comunicazione in cui dichiara:
- la propria volontà a rinunciare al diritto alla restituzione della somma versata;
- l’importo del finanziamento infruttifero e la data dell’erogazione;
- la destinazione della somma scegliendo tra una delle alternative sopra elencate.
Per quanto concerne la fiscalità applicata in tali frangenti, la normativa prevede un diverso trattamento in caso di sopravvenienza attiva a seguito della rinuncia del finanziamento da parte del socio. Risulta tassabile solo la quota eccedente rispetto al costo fiscalmente riconosciuto del credito detenuto dal socio. Tale condizione dev’essere attestata con apposito atto notorio. In altre parole, in presenza di un socio che rinuncia ad una somma, per esempio, di 200.000 euro si prospettano le seguenti possibilità:
- il socio produce un atto di notorietà con cui dichiara che il credito ha un valore pari all’originale ovvero 200.000 euro, quindi in seno alla società non accade nulla;
- il socio non produce alcun atto di notorietà, di conseguenza la società potrebbe essere costretta a effettuare nella dichiarazione dei redditi una variazione in aumento pari a 200.000 euro.
Cosa accade se la società fallisce?
Innanzitutto è bene precisare che la Corte di Cassazione ha suddiviso i finanziamenti soci in due categorie:
- versamenti in conto capitale;
- versamenti a titolo di mutuo;
Un finanziamento in conto capitale non comporta un immediato incremento del capitale sociale e, dal punto di vista giuridico, non si può attribuire all’importo versato la condizione propria del capitale sociale in quanto servirebbe una delibera dell’assemblea per approvarlo. La causa che porta al finanziamento in conto capitale risulta però diversa dal mutuo ed è invece assimilabile a quella del capitale di rischio. Di conseguenza, il socio non ha alcun diritto di esigere il credito. La restituzione può essere richiesta solo in caso di scioglimento della società, fermo restando il rispetto dei limiti di liquidazione del residuo attivo risultante dal bilancio consuntivo.
Un finanziamento a titolo di mutuo non può essere assimilato ad un capitale di rischio della società, ma è un debito che la stessa società ha nei confronti dei soci. Questi ultimi hanno sottoscritto un contratto riservandosi il diritto di ricevere il rimborso entro la scadenza fissata. Quindi, la società dovrà restituire le somme rispettando i termini concordati e iscrivere gli importi tra i debiti.
Nella malaugurata ipotesi che la società dovesse fallire, per prima cosa dovranno essere soddisfatti i creditori. La società non può rimborsare i soci e, qualora lo avesse già fatto, fino ad un anno prima del fallimento gli importi dovranno essere restituiti.
In caso contrario, le somme restituite ai soci verranno considerate come una sottrazione di patrimonio al fallimento della società, il che comporterebbe, in base a quanto sancito dalle specifiche sentenze della Corte di Cassazione, una vera e propria:
– bancarotta fraudolenta per distrazione se la restituzione riguarda versamenti in conto capitale;
– bancarotta preferenziale se la restituzione riguarda versamenti a titolo di mutuo.
Conclusioni
Abbiamo visto come il finanziamento di una società da parte dei soci rappresenta uno strumento molto utilizzato, specialmente, da realtà imprenditoriali piuttosto piccole. Spesso è però una soluzione abusata, tanto da alimentare il fenomeno della sottocapitalizzazione delle società: i soci evitano di effettuare un necessario aumento di capitale, conferendo liquidità attraverso il finanziamento infruttifero.
Quindi sono state stabilite nuove regole e applicate, quasi esclusivamente, alle società a responsabilità limitata. Altro aspetto di grande rilevanza è stabilire quando un finanziamento soci si può considerare come un versamento in conto capitale, oppure un semplice prestito concesso alla società.
Non è sempre così semplice comprendere la reale finalità che il socio intende soddisfare con le proprie azioni. Distinguere tra le due ipotesi risulta fondamentale poiché comporta differenti conseguenze dal punto di vista contabile, fiscale e giuridico in caso di fallimento della società.
Se hai trovato interessante questo articolo, per approfondire, ti consiglio il mio libro "PAGARE MENO TASSE" che ti svelerà i segreti che i commercialisti ti tengono volutamente nascosti...