Devo pagare le tasse se non fatturo?
L’apertura di una partita IVA per avviare un’attività di lavoro autonomo dev’essere ponderata con attenzione, valutando pro e contro soprattutto dal punto di vista fiscale. Sono molti i lavoratori dipendenti che decidono di lasciare il posto fisso per iniziare una nuova esperienza professionale come artigiani o commercianti.
Disporre di adeguate informazioni prima di aprire la partita IVA è fondamentale per prendere decisioni corrette e adatte alla propria situazione. Tra gli aspetti di maggior rilevanza c’è la scelta del regime fiscale. Ad esempio, uno dei principali vantaggi per lavoratori autonomi, liberi professionisti e imprese individuali è la possibilità di adottare il regime forfettario in alternativa a quello ordinario.
Il sistema forfettario comporta la tassazione più agevolata prevista dal nostro ordinamento. In questo caso, i tributi sul reddito (IRPEF, IRAP e addizionali regionali) vengono sostituiti da un’unica imposta fissa con aliquota al 15%, che potrebbe addirittura essere soltanto al 5% nei primi 5 anni di vita della nuova attività. Naturalmente il contribuente deve rispettare alcuni requisiti per poter beneficiare di un così basso prelievo fiscale. In tal senso, il più rilevante riguarda il limite di fatturato annuo che non può superare i 65.000 euro.
Una domanda però ricorrente che si pongono molti nuovi titolari di partita IVA è: “quante tasse e imposte dovrei pagare qualora il fatturato della mia impresa risultasse pari a zero?“.
Siccome l’imposta si applica sul reddito imponibile, in mancanza di entrate da dichiarare non è dovuta alcuna imposta. Tuttavia, anche senza fatturare, in taluni frangenti potrebbe essere richiesto il versamento dei contributi previdenziali. Ciò dipende dal tipo di attività svolta, ovvero presso quale cassa previdenziale risulta iscritto il titolare di partita IVA.
L’importanza della partita IVA
La partita IVA è un codice numerico composto da 11 cifre richiesto per avviare un’attività d’impresa, svolgere una professione o esercitare un’arte. Una delle poche eccezioni riguarda i lavoratori autonomi senza partita IVA che effettuano prestazioni occasionali, vale a dire caratterizzate da una natura discontinua o saltuaria e senza subordinazione. In tutti gli altri casi, la partita IVA permette all’Agenzia delle Entrate l’identificazione ai fini fiscali del titolare, il quale sarà in grado di:
- iscriversi alla Camera di Commercio;
- esercitare l’attività senza limiti temporali o di reddito;
- assumere dipendenti non dovendo rispettare soglie per costi da lavoro accessorio;
- acquistare macchinari e attrezzature in base all’espansione del business;
- emettere fatture ai clienti per beni venduti o servizi prestati;
- pagare le tasse (IRPEF e IRAP);
- versare al Fisco l’imposta sul valore aggiunto;
- versare i contributi previdenziali e l’assicurazione INAIL.
Quale regime fiscale scegliere?
Prima di aprire la partita IVA è consigliabile valutare il regime fiscale più adatto all’attività che si andrà a svolgere. La scelta risulta limitata tra tassazione ordinaria, oppure regime forfettario. Quest’ultimo costituisce il sistema, senza alcun dubbio, più vantaggioso nel caso di avvio di una nuova attività, oppure per un professionista o imprenditore individuale che rispetta i requisisti di permanenza. A riguardo ricordiamo che per accedere al regime forfettario, o per il mantenimento dello stesso, il contribuente deve:
- generare ricavi o compensi per un importo annuo non superiore a 65.000 euro;
- limitare le spese per il lavoro accessorio (assunzione dipendenti o collaboratori) fino a un massimo di 20.000 euro.
Per chi svolge una nuova attività i requisiti fanno riferimento all’anno in corso, mentre per coloro che già esercitano l’attività la verifica viene effettuata sui dati dell’anno precedente.
Rispettando le suddette condizioni, il titolare di partita IVA può applicare un’imposta sostitutiva con aliquota al 5 o 15%. La tassazione più bassa è valida solo per i primi 5 anni di attività e, anche in questo caso, vige il rispetto di ulteriori requisiti.
In regime forfettario, il calcolo del reddito imponibile per attività d’impresa o lavoro autonomo avviene attraverso il criterio di cassa. Il computo è piuttosto semplice, infatti si dovrà considerare il totale degli incassi percepiti nel periodo d’imposta e applicare il relativo coefficiente di redditività. Quest’ultimo è un valore espresso sotto forma di percentuale che varia in base al settore di appartenenza dell’attività esercitata. Il coefficiente di redditività serve a calcolare in maniera forfettaria, le spese sostenute durante l’anno e ottenere così la base imponibile a cui applicare l’aliquota sostitutiva in fase di dichiarazione dei redditi.
Agevolazione contributiva con il regime forfettario
Un ulteriore vantaggio del regime forfettario è la possibilità di ottenere una riduzione del 35% dei contributi previdenziali da versare annualmente. Tale beneficio, tuttavia, spetta solo a soggetti iscritti alla gestione IVS Artigiani e Commercianti dell’INPS. Tutte le altre categorie di professionisti e lavoratori autonomi non ne hanno diritto.
Al fine di ottenere l’agevolazione, gli interessati dovranno presentare un’apposita domanda all’INPS per via telematica entro il 28 febbraio di ogni anno. Il suddetto limite temporale è valido per chi già possiede la partita IVA, mentre aprendo un’attività durante l’anno è necessario richiedere la riduzione entro 30 giorni dall’iscrizione alla gestione Artigiani e Commercianti.
Se il contribuente non rispetta i termini di presentazione della domanda, perde il diritto alla riduzione contributiva per l’anno in corso; potrà comunque richiederla l’anno successivo. Mantenendo i requisiti per l’accesso al regime forfettario, la domanda può essere presentata una sola volta entro la scadenza; per gli anni a venire l’INPS applicherà in automatico la riduzione del 35%. Nel caso in cui il beneficiario intenda annullare la riduzione, deve inviare specifica domanda di revoca.
Partita IVA con reddito a zero
Avviare un’attività autonoma comporta dei rischi, quindi può capitare che il fatturato a fine anno risulti sotto le aspettative o addirittura nullo. Del resto, chi decide di mettersi in proprio è consapevole della possibilità di andare incontro a momenti difficili o di crisi che compromettono ricavi e compensi.
Se il titolare di partita IVA non ha emesso alcuna fattura è esonerato dal versamento dell’imposta sul reddito, avendo una base imponibile equivalente a zero. Tuttavia, dovrà comunque sostenere i costi per la gestione contabile e l’eventuale iscrizione all’albo professionale. In aggiunta, potrebbe anche dover versare i contributi ai fini pensionistici. Questa evenienza dipende dall’attività svolta e, di conseguenza, dalla cassa previdenziale a cui è iscritto il soggetto. Ad esempio, commercianti e artigiani sono obbligati a pagare una quota fissa annuale di circa 3.900 euro a prescindere dal fatturato.
Ricordiamo che il titolare di partita IVA senza fatturato deve, comunque, presentare la dichiarazione dei redditi e indicare, nel quadro relativo ai ricavi percepiti, il valore zero.
Contributi previdenziali con partita IVA
Il versamento dei contributi previdenziali è disciplinato in modo differente a seconda dell’attività esercitata dal titolare di partita IVA. Nello specifico le possibili situazioni sono:
- commercianti e artigiani: chi rientra in queste due categorie ha l’obbligo di iscrizione alla Gestione INPS Commercianti e Artigiani. Ciò implica l’onere di versare annualmente una quota fissa pari all’incirca a 3.900 euro, indipendentemente dal fatturato generato. Pertanto, anche in assenza di reddito, il contribuente deve corrispondere un importo minimo. Nel caso in cui il professionista avesse adottato il regime forfettario, può richiedere la riduzione del 35% di tali contributi;
- libero professionista con cassa: fa parte di questa categoria colui che esercita un’attività professionale che prevede l’iscrizione ad una propria cassa previdenziale. Ad esempio, c’è la Cassa Forense per gli avvocati, la Cassa Nazionale del Notariato per i notai, la cassa ENPAF per farmacisti, e così via. I professionisti dovranno versare i contributi composti da una parte fissa e una variabile, sottostando alle regole stabilite dalla cassa previdenziale di appartenenza;
- libero professionista senza cassa: il soggetto svolge un’attività non avendo un cassa previdenziale di riferimento, per cui dovrà iscriversi alla Gestione Separata INPS. In questo caso non è prevista alcuna quota fissa, bensì il versamento di contributi applicando un’aliquota del 26,23% sul reddito lordo. In presenza di fatturato pari a zero, il titolare di partita IVA non dovrà corrispondere alcuna contribuzione all’INPS.
Gestione INPS Commercianti e Artigiani
I commercianti sono tenuti al versamento di una quota fissa di 3.983,72 euro, suddivisa in 4 rate trimestrali. In più è necessario corrispondere una quota variabile applicando un’aliquota del 24,48% sulla parte di reddito eccedente la soglia di 16.243 euro.
Gli artigiani, invece, versano una parte fissa di 3.905,76 in 4 rate trimestrali, mentre la quota variabile viene calcolata applicando la percentuale contributiva del 24% sul reddito eccedente il limite di 16.243 euro.
Anche con fatturato pari a zero, professionisti iscritti alla Gestione INPS Commercianti e Artigiani sono tenuti a corrispondere la quota contributiva fissa.
Liberi professionisti con cassa
Medici, architetti, avvocati, notai e ogni professionista che svolge un’attività con obbligo d’iscrizione all’albo professionale, devono iscriversi presso la cassa previdenziale di riferimento e versare i relativi contributi.
Ogni cassa ha un proprio regolamento interno in cui si stabiliscono l’importo delle quote e la modalità di versamento. Tuttavia, il metodo per determinare i contributi prevede sempre una parte fissa e una integrativa determinata applicando una percentuale. Il professionista corrisponde la componente fissa fino al raggiungimento di un reddito minimale, mentre in assenza di fatturato è comunque tenuto a versare i contributi fissi.
Liberi professionisti senza cassa
Svolgendo un’attività che non prevede una cassa previdenziale di riferimento, il professionista lavoratore autonomo è tenuto all’iscrizione presso la Gestione Separata INPS. In questo caso il computo dei contributi segue una regola generale secondo cui la base imponibile contributiva costituisce anche quella imponibile ai fini fiscali.
Pertanto, è prevista una sola quota variabile calcolata sul reddito lordo dichiarato per l’anno in corso. In tal senso, si prende come riferimento una percentuale stabilita dall’INPS, che viene modificata ogni anno e comunicata tramite apposita circolare. Per il 2022, sul reddito percepito, il professionista deve applicare un’aliquota del 26,23%. Qualora il fatturato risultasse pari a zero, il soggetto non dovrà pagare l’IRPEF né tantomeno versare i contributi previdenziali.
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