Deducibilità assegno periodico disposto al coniuge

Scritto da Omar Cecchelani in Famiglia

Di fronte alla decisione di porre fine ad una relazione coniugale, il primo passo è provvedere alla separazione consensuale o legale. Si vengono così a generare una serie di effetti, e tra questi c’è il possibile diritto avanzato da un coniuge di pretendere il mantenimento, oppure gli alimenti.

Il codice civile disciplina tali aspetti al fine di tutelare la parte ritenuta dall’autorità giudiziaria più debole, ovvero priva di un reddito proprio che possa garantirle il personale sostentamento. L’articolo 143 c.c. obbliga alla cosiddetta reciproca assistenza morale e materiale, mentre l’articolo 156 c.c. al mantenimento del coniuge separato e incapace di provvedere in maniera autonoma a conservare lo stesso tenore di vita tenuto durante il matrimonio. Si tratta di concetti che presentano diversi presupposti, tuttavia sono entrambi accomunati dalla funzione di assistenza al soggetto economicamente non autosufficiente.

Come si intuisce dalla definizione, la reciproca assistenza riguarda entrambi i coniugi e rappresenta un dovere di natura generale che sta alla base del matrimonio. Quindi, anche in presenza di separazione, ciascun coniuge deve contribuire a soddisfare i bisogni della famiglia. L’obbligo di mantenimento è invece un’evenienza che si manifesta a seguito di un doppio accertamento da parte del tribunale. Il giudice verifica, innanzitutto, che la convivenza sia effettivamente intollerabile e, in secondo luogo, l’impossibilità per uno dei coniugi di mantenere il medesimo tenore di vita per sé e i figli in affidamento.

Se il tribunale accerta le condizioni per il diritto al mantenimento emana una sentenza con cui obbliga al versamento periodico o una tantum di un determinato importo, sempre che il destinatario del provvedimento si trovi nelle condizioni economiche atte a sostenere le richieste. In tali frangenti, la somma costituisce un onere deducibile per il soggetto erogatore, mentre rappresenta una fonte di reddito per il coniuge beneficiario. È interessante cercare di capire con esattezza cosa sia possibile effettivamente dedurre relativamente agli importi versati all’ex coniuge, compreso quelli destinati anche al sostentamento della prole.

In quest’articolo andremo, prima ad analizzare nel dettaglio la disciplina di mantenimento e alimenti, come viene quantificato l’assegno, cosa accade quando dalla separazione si passa al divorzio e, in un secondo tempo, ci soffermeremo sull’aspetto della deducibilità delle somme corrisposte al coniuge.

Indice:

 

Come quantificare l’assegno di mantenimento

Quando si affronta l’argomento del mantenimento a seguito di una separazione, un concetto di estrema importanza è la quantificazione dell’assegno periodico. Abbiamo già accennato come tale situazione si manifesti a seguito di specifica sentenza del tribunale dopo aver accertato la reale necessità di assistenza economica di uno dei due coniugi. In altre parole, il giudice valuterà che, ad esempio, la moglie potrebbe non essere in grado con i propri redditi di mantenere, per se stessa ed eventualmente per i figli, il medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio.

Tuttavia, la giurisprudenza è intervenuta proprio sul concetto di tenore di vita stabilendo che non lo si deve necessariamente paragonare a quello goduto nel corso della convivenza,  bensì con una condizione analoga che tenga conto degli effetti economici negativi provocati dalla separazione. Questo significa che l’importo dell’assegno deve considerare, da una parte le diverse risorse necessarie per la gestione della vita familiare e dall’altra le concrete capacità e potenzialità di guadagno del coniuge richiedente.

Spetta al giudice stabilire l’importo dell’assegno periodico, dopo aver valutato con estrema attenzione alcuni aspetti rilevanti: innanzitutto dovrà verificare l’effettiva possibilità e capacità del coniuge beneficiario di svolgere un lavoro tenendo presenti fattori quali l’età, il grado d’istruzione, precedenti esperienze lavorative e professionali, le condizioni del mercato del lavoro, il luogo di residenza nonché lo stato di salute.

Altro aspetto che assume grande rilevanza al fine di quantificare l’assegno di mantenimento è la presenza di una convivenza more uxorio, comunemente definita famiglia di fatto. Vale a dire che il coniuge beneficiario ha avviato una nuova relazione, dando vita a un’unione stabile e alla comunione spirituale e materiale con un’altra persone, benché non vincolata dal legame giuridico del matrimonio. Tale convivenza potrebbe generare una condizione economica in netto contrasto con la funzione di assistenza dell’assegno di mantenimento. Di conseguenza, il giudice può disporre la sospensione del versamento periodico, fermo restando che il coniuge fruitore riesca a dimostrare come la nuova situazione non produca alcun beneficio economico.

Un ulteriore elemento che assume un certo peso nel computo dell’importo per il mantenimento è l’assegnazione della casa coniugale. In questo caso, il giudice prende come riferimento il valore economico dell’immobile, calcolando la tariffa del contratto di locazione in base alla legge sull’equo canone. Pertanto, l’immobile assegnato non viene considerato come una fonte di reddito per il coniuge beneficiario, bensì una posta attiva che gli consente di evitare tutte le spese che avrebbe dovuto invece sostenere per trovare un nuovo alloggio.

Dobbiamo comunque precisare che l’assegnazione della casa coniugale avviene, quasi esclusivamente, in presenza di figli minorenni, oppure di maggior età ancora conviventi con i genitori e non economicamente autosufficienti. Il giudice assegna l’abitazione al genitore che prende in affidamento i figli, attribuendo massima priorità proprio alla tutela degli interessi della prole e alla conservazione dell’habitat domestico in cui è cresciuta. Ciò avviene in maniera del tutto indipendente dalla titolarità di diritti reali o personali sull’immobile.

Se manca invece tale presupposto, la casa in comproprietà ai coniugi non può rappresentare la sostituzione di una componente dell’assegno di mantenimento. In questi casi, l’assegnazione della dimora coniugale sarà molto più complessa, si dovrà procedere alla divisione giudiziale dei beni se trattasi di proprietà comune, oppure trovare delle altre soluzioni quando la proprietà risulta essere esclusiva di uno dei due coniugi già da prima del matrimonio. Ricordiamo che il giudice della separazione può disporre, nel caso in cui i figli siano ormai maggiorenni e autosufficienti, la revoca dell’assegnazione della casa coniugale.

Infine è bene non dimenticare che l’importo dell’assegno di mantenimento viene rivalutato con adeguamento automatico in base ai coefficienti ISTAT. Inoltre, finché rimane inalterato lo status di coniuge, ciascuna delle due parti ha diritto ad una quota della pensione di reversibilità de coniuge e al contempo, resta titolare dei diritti successori a seguito della morte del consorte se avvenuta nel corso della fase transitoria che dalla separazione porta al divorzio.

 

Differenza tra mantenimento e alimenti

È importante aver ben presente la differenza che passa tra mantenimento e alimenti:

  • il mantenimento è uno strumento che ha il solo scopo di compensare le entrate economiche del coniuge beneficiario per consentirgli di mantenere un determinato tenore di vita;
  • gli alimenti sono un mezzo di assistenza con la finalità di permettere al coniuge richiedente di soddisfare bisogni primari, ovvero rappresenta una fonte di reddito indispensabile per la sua sopravvivenza.

 

Passaggio da separazione a divorzio

La separazione porta una serie di effetti immediati e modifica i doveri dei coniugi, tuttavia non fa ancora cessare in maniera definitiva i vincoli giuridici del matrimonio. Per tale manifestazione è necessario procedere allo step successivo, ovvero il divorzio. Passati 6 mesi dalla separazione consensuale, oppure un anno dalla separazione legale, marito e moglie possono esprimere dinnanzi al giudice la volontà di divorziare. In questo caso, l’assegno di mantenimento non cessa di esistere ma si trasforma in assegno divorzile.

I coniugi divorziati riacquistano lo stato libero e hanno così diritto di sposarsi nuovamente, mentre i doveri nei confronti dei figli rimangono inalterati. Un altro effetto riguarda l’importo elargito all’ex coniuge. A tal proposito la Suprema Corte ha stabilito come l’assegno non possa più essere riferito al mantenimento del tenore di vita, in quanto risulterebbe in netto contrasto con la natura stessa del divorzio che fa cessare il rapporto matrimoniale. Il giudice deve effettuare un’approfondita indagine al fine di stabilire la legittimità dell’assegno divorzile e accertare se i mezzi economici dell’ex coniuge beneficiario risultino inadeguati, nonché l’esistenza di ragioni oggettive che impediscano al soggetto di provvedere alla sua sussistenza. Inoltre, il tribunale effettua una comparazione tra le condizioni economiche / patrimoniali delle parti allo scopo di stabilire la sussistenza e l’importo dell’assegno periodico.

Per quantificare la somma erogabile a seguito di divorzio, il giudice tiene conto del contributo dato dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio comune e alla gestione del nucleo familiare. Inoltre, considera gli eventuali sacrifici personali e professionali sostenuti dal soggetto, nonché la sua età e la durata del matrimonio. In pratica, si cerca di dare un valore al ruolo svolto dal coniuge economicamente più debole e alle privazioni delle proprie aspettative a favore della cura della famiglia. Quindi, l’assegno divorzile non viene rapportato al mantenimento del pregresso tenore di vita e all’autosufficienza economica dell’ex coniuge, bensì al contributo da egli fornito durante il periodo matrimoniale.

Il diritto all’assegno di divorzio acquisito dall’ex coniuge termina nel momento in cui il beneficiario convola a nuove nozze, oppure colui che eroga il contributo passa a miglior vita o dichiara il fallimento.

 

Deducibilità assegno disposto al coniuge

Innanzitutto, al fine di dedurre gli importi elargiti al coniuge, è bene sapere che la separazione dev’essere legale, ovvero giuridicamente rilevante. In caso di separazione di fatto, senza alcun provvedimento giudiziario, gli accordi presi tra le parti non hanno alcun valore giuridico, quindi la deduzione degli assegni periodici versati all’altro coniuge non è concessa in quanto deve risultare da un provvedimento preso dal tribunale.

La regola generale permette di dedurre gli assegni periodici corrisposti al coniuge a seguito di separazione legale (anche consensuale), scioglimento, annullamento, oppure termine degli effetti civili del matrimonio. La deducibilità è consentita anche se il coniuge risulta essere residente all’estero, fermo restando la presenza di eventuali diverse normative stabilite dagli accordi bilaterali sottoscritti tra i Paesi al fine di evitare la doppia imposizione fiscale.

La legge consente di dedurre la sola parte destinata alla sussistenza del coniuge, mentre vieta la deducibilità degli importi elargiti per il mantenimento dei figli. Ci sono casi in cui il giudice non effettua alcuna distinzione tra la quota da assegnare al coniuge beneficiario e quelle per i figli: in tali frangenti l’importo viene considerato per metà destinato al mantenimento della prole.

Inoltre, risultano deducibili:

  • le somme arretrate che costituiscono la quota mancante relativa ad assegni periodici già corrisposti;
  • gli importi versati a titolo di adeguamento ISTAT, a patto che risulti da specifica disposizione del giudice;
  • gli importi corrisposti come contributo casa: si tratta del pagamento del canone di locazione e di eventuali spese condominiali relative all’alloggio del coniuge beneficiario. Le somme possono essere stabilite da un provvedimento del tribunale, oppure determinate tramite un accertamento motivato per relationem. La deducibilità è consentita solo in misura della metà delle spese sostenute qualora l’immobile risulti a disposizione, oltre che della moglie, anche dei figli;
  • le somme destinate al pagamento delle rate del mutuo intestato all’ex coniuge: in questo caso il versamento sostituisce l’assegno di mantenimento, fermo restando che dalla sentenza di separazione non risulti una rinuncia del contributo mensile da parte del coniuge beneficiario;
  • gli importi versati per l’estinzione mediante accollo del mutuo intestato all’ex coniuge: la deducibilità è possibile se la somma pagata risulta di pari importo dell’assegno di mantenimento stabilito dall’autorità giudiziaria;
  • gli alimenti versati a favore dell’ex coniuge attraverso trattenute sulle rate della pensione.

Non sono invece deducibili:

  • le somme elargite in un’unica soluzione in favore dell’ex coniuge separato o divorziato;
  • le somme erogate una tantum secondo le disposizioni dell’autorità giudiziaria. L’indeducibilità ha valore anche se gli importi vengono corrisposti in forma rateizzata, infatti il pagamento dilazionato rappresenta solo una differente modalità di saldo della cifra pattuita tra le parti. Quindi, la somma una tantum mantiene la caratteristica di porre termine al rapporto tra i coniugi ma non è assolutamente da confondere con gli assegni periodici che, invece, risultano rivedibili nel tempo;
  • i premi assicurazione sulla vita versati in favore dell’ex coniuge e in sostituzione dell’assegno di mantenimento. Non è mai possibile dedurre l’importo, nemmeno se viene stabilito da una sentenza del tribunale;

Infine riteniamo doveroso evidenziare come l’assegno di mantenimento o divorzile rappresenti per il coniuge erogatore un onere deducibile, mentre per il coniuge beneficiario contribuisce alla formazione del reddito e, di conseguenza, dovrà essere dichiarato nel quadro C del modello 730, oppure nel quadro RC del modello redditi Persone Fisiche.

 

Deducibilità assegno di mantenimento per i figli

Gli assegni di mantenimento per i figli non sono deducibili dal reddito imponibile. Pertanto, è opportuno che nel provvedimento del giudice che dispone la corresponsione di un assegno di mantenimento a favore dell’ex coniuge e dei figli siano chiaramente indicati i due importi distinti.
Nel caso in cui il provvedimento giudiziario non distingua quale somma sia destinata ai figli e quale al coniuge, sarà possibile portare in deduzione il 50% dell’importo complessivo stabilito (l’art. 3 D.P.R. n. 42 del 1988).

   

Pagare Meno Tasse

Se hai trovato interessante questo articolo, per approfondire, ti consiglio il mio libro "PAGARE MENO TASSE" che ti svelerà i segreti che i commercialisti ti tengono volutamente nascosti...

 

                       
Lascia un commento