Cos’è il vincolo di destinazione e come può proteggere il tuo patrimonio

Il sistema giuridico italiano, secondo l’articolo 2740 c.c, fissa una regola fondamentale secondo cui ogni soggetto risponde di eventuali debiti con tutti i propri beni presenti e futuri. La legge, però, prevede delle eccezioni grazie all’utilizzo di particolari strumenti: uno di questi è il vincolo di destinazione. In realtà è un’opportunità non molto conosciuta visto che è stata introdotta passando per altro, e quasi completamente sotto silenzio, attraverso l’articolo 2645-ter del Codice Civile ed entrato in vigore nel 2006.

La nuova normativa stabilisce che, attraverso un atto pubblico, chiunque possa decidere di destinare un bene immobile o mobile registrato in suo possesso allo scopo di perseguire interessi meritevoli di tutela. Tali interessi dovranno essere indicati chiaramente all’interno dell’atto, e il vincolo non potrà mai riguardare beni in denaro. Presenta una durata massima di 90 anni oppure dell’intera vita del beneficiario.

In pratica, si tratta di una forma di divisione del patrimonio, e può essere istituito quando un soggetto decide di isolare parte dei suoi beni per destinarli al conseguimento di un determinato fine a beneficio di una terza persona. Tra le più importanti conseguenze di questo strumento giuridico, sottolineiamo l’impossibilità da parte dei creditori di aggredire i beni soggetti al vincolo di destinazione, così come i frutti da essi generati.

L’aspetto fondamentale è di questo strumento è che i beni inseriti nel vincolo possono essere utilizzati unicamente per perseguire il fine di destinazione ed, eventualmente, possono subire l’aggressione da parte dei creditori solo per debiti contratti per raggiungere tale scopo.

Per meglio comprendere l’utilità del vincolo di destinazione, basti pensare ad una situazione abbastanza comune in cui una persona, senza moglie e figli, presta assistenza ad un parente disabile. In questi frangenti, la maggior preoccupazione del soggetto è pensare a cosa potrebbe accadere in caso di una sua prematura dipartita.

Intestare beni al disabile potrebbe essere una soluzione, tuttavia potrebbe dimostrarsi tutt’altro che efficace dovendo considerare la difficoltà o l’impossibilità da parte della persona diversamente abile a provvedere alla gestione e tutela di tale patrimonio, alla riscossione e utilizzo dei frutti, nonché all’eventuale vendita dei beni. Ecco che il vincolo di destinazione rappresenta una valida soluzione: si potranno conferire tutti i beni che si desidera e vincolarne l’uso al solo beneficio del disabile, potendo soddisfare così tutte le sue esigenze.

Il vantaggio che può avere il conferenze, se ancora in vita, è che anche in caso di fallimento, dissesto finanziario, debiti, pignoramenti e quant’altro derivanti dalla sua attività, per esempio, nessuno potrà mai aggredire i beni vincolati.

Indice:

 

I vantaggi del vincolo di destinazione

Il vincolo di destinazione lo possiamo considerare come una sorta di scudo per proteggere i beni inseriti nell’atto pubblico, infatti non potranno essere aggrediti da eventuali creditori, siano essi da parte del proprietario che del beneficiario. A questo c’è da aggiungere una mancanza di specificità nella normativa che non pone limiti alla possibilità di ricorrere a questo strumento giuridico. La stessa affermazione interessi meritevoli di tutela, su cui pone le sue fondamenta l’articolo 2645-ter, lascia ampio spazio d’interpretazione sul concetto di meritevolezza.

Da una parte c’è chi propone un’interpretazione più rigida prevedendo che il fine debba essere unicamente di utilità sociale. Quindi nel caso non venga perseguita una pubblica utilità, l’atto sarebbe da considerarsi nullo o comunque opponibile. Sull’altra sponda c’è invece chi propende per una maggior elasticità interpretativa, ritenendo il vincolo di destinazione soddisfatto qualora lo scopo risulti semplicemente lecito, ovvero rispettoso delle norme imperative, del buon costume e dell’ordine pubblico.

 

Inefficace il vincolo di destinazione puro?

E’ fatto inequivocabile ed indiscutibile è che la legge preveda la possibilità di destinare beni immobili o mobili registrati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela. E’ altresì stabilito che, in questi casi, i suddetti beni potranno subire l’aggressione dei creditori solo per debiti contratti per conseguire la destinazione stabilita all’interno dell’atto.

Oggetto di discussione è invece l’ammissibilità o meno del vincolo di destinazione puro, che si verifica qualora un disponente istituisca un negozio autonomo su un proprio bene. A tal proposito, nel 2015, si è pronunciato a sfavore il Tribunale di Reggio Emilia, sentenziando come l’articolo 2465-ter preveda che il negozio destinatario risulti ammissibile solo se collegato ad altra fattispecie negoziale dotata di autonoma causa. La decisione avrebbe la finalità di non scardinare le disposizioni stabilite dall’articolo 2470 c.c., dov’è chiaramente indicato come un debitore sia tenuto a rispondere delle obbligazioni contratte con tutti i suoi beni presenti e futuri. La sentenza emessa dal giudice si è resa necessaria per evitare che il vincolo di destinazione possa trasformarsi facilmente in uno strumento illecito utilizzato per recare danno alle ragioni dei creditori. Tuttavia le argomentazioni di tale decisione ci lasciano più di qualche dubbio e non convincono pienamente dal punto di vista giuridico.

Infatti il magistrato emiliano non prevede la possibilità che un soggetto provveda ad autodestinarsi un bene facente parte del proprio patrimonio segregandolo dal resto dei suoi averi. Per essere valido il vincolo di destinazione dovrebbe agganciarsi ad un altro schema negoziale dotato di autonoma causa. In realtà l’articolo 2465-ter non dice nulla a riguardo e stabilisce solamente come il vincolo debba essere costituito in presenza di un interesse meritevole di tutela; quindi basta tale condizione per renderlo opponibile a terzi.

Del nostro stesso parere sembra essere anche la Suprema Corte che, in tale senso, ha raggiunto contrapposte considerazioni (sent. n.3735 del 2015) rispetto alla suddetta sentenza del Tribunale di Reggio Emilia. Tutta questa confusione è dovuta al fatto che l’articolo 2465-ter è tutt’altro che specifico, anzi si dimostra alquanto generico dando adito a diverse interpretazioni.

 

Vincolo di destinazione e fondo patrimoniale

Dopo aver visto cos’è e come funziona un vincolo di destinazione, i più attenti avranno sicuramente notato grosse analogie con un altro strumento di tutela dei beni personali: il fondo patrimoniale. Si tratta di una soluzione adottata come alternativa alla comunione o separazione legale dei beni prima del matrimonio (il fondo patrimoniale può essere costituito solo dopo il matrimonio). In questo caso, sempre attraverso un atto pubblico, si possono destinare beni immobili, mobili registrati e titoli di credito esclusivamente per soddisfare i bisogni della famiglia, quindi ad uno specifico scopo esattamente come per il vincolo di destinazione. Con il fondo patrimoniale non è necessario alcun trasferimento di proprietà dei beni che può rimanere in capo a ciascun coniuge oppure conferita ad entrambi.

La differenza sostanziale del vincolo di destinazione è la possibilità di costituzione al di fuori del matrimonio oppure per una finalità che non centra nulla con gli interessi della famiglia. Purtroppo il fondo patrimoniale è un mezzo in forte declino per il fatto che, sempre più spesso, viene impiegato come strumento fraudolento per sottrarre beni alla garanzia dei creditori.

Una problematica a un abuso tanto diffuso da costringere il legislatore ad intervenire, introducendo il Decreto Legge n.83 del giugno 2015. Una norma che pone un grosso limite all’efficacia del vincolo di destinazione dei beni inseriti in un fondo patrimoniale. Infatti, prima di tale legge, infatti il creditore era costretto ad intentare una causa ordinaria per veder soddisfatte le proprie richieste, aspettando la sentenza del giudice e la fine del processo per riavere il credito spettante. Con la nuova normativa è stato invece introdotto il concetto di presunzione di frode, dando la possibilità al creditore di avviare un’esecuzione forzata anche in presenza di pendenza di giudizio.

Il vincolo di destinazione è l’istituto che rappresenta il naturale erede del fondo patrimoniale, purché non subisca anch’esso la trasformazione in strumento illecito adottato per sottrarre il patrimonio ad eventuali creditori.

 

Differenze tra trust e vincolo di destinazione

Un altro strumento di difesa patrimoniale che può essere accostato al vincolo di destinazione è il trust; un istituto giuridico di origine anglosassone con la finalità di separare dal patrimonio determinati beni perseguendo specifici interessi. Tali beni saranno affidati e gestiti da una persona (trustee) oppure da una società (trust company), nell’interesse di un terzo soggetto (beneficiario). Ci sono importanti diversità tra i due strumenti ma anche aspetti comuni che li rendono simili.

La differenza sostanziale del trust rispetto al vincolo di destinazione è la presenza di due figure distinte: da una parte c’è il disponente, comunemente chiamato settlor, mentre dall’altra il trustee che diventa l’effettivo proprietario dei beni ricevuti in affidamento e li amministra per raggiungere lo scopo in base alle istruzioni impartite. C’è però da sottolineare come il disponente abbia la possibilità di sfruttare il cosiddetto trust autodichiarato, ovvero dichiararsi trustee dei beni convogliati all’interno dello stesso trust. In pratica il soggetto sfrutta i vantaggi di un trust ma rimanendo, sostanzialmente, il proprietario dei beni assumendo nello stesso tempo il ruolo di settlor e trustee.

Una cosa simile può accadere anche con il vincolo di destinazione, infatti l’articolo 2465-ter del Codice Civile non vieta la possibilità di istituire un atto bilaterale o plurilaterale, anziché la presenza della volontà unilaterale espressa da un singolo soggetto. Immaginiamo tre fratelli che, per proteggere parte del patrimonio familiare da possibili debiti conseguiti con le loro attività imprenditoriali, decidono di trasferire beni mobili ed immobili ai figli, obbligandoli però al rispetto di un vincolo di destinazione. Allo stesso modo un imprenditore o libero professionista potrebbe, per mezzo di un atto unilaterale, vincolare parte dei beni del suo patrimonio destinandoli alla tutela degli interessi dei figli minorenni, fino al raggiungimento della loro maggiore età. In questo modo il soggetto avrebbe la garanzia di salvaguardare il mantenimento dei figli, mettendoli al riparo dal rischio derivante dalla propria attività d’impresa e da eventuali creditori che non potranno accanirsi sui beni vincolati. Chiaramente, in questi ultimi casi le differenze tra trust e vincolo di destinazione tendono ad affievolirsi, ma non ad azzerarsi.

Un’ulteriore differenza tra i due istituti riguarda i beni che si possono inserire nell’atto vincolante. Il trust non fa alcuna distinzione potendo utilizzare qualsiasi tipo di bene (beni mobili, immobili anche senza registrazione, titoli di credito, partecipazioni di società, etc.), mentre nel vincolo di destinazione l’oggetto del negozio può essere solamente uno o più beni mobili registrati e immobili.

Altro aspetto distintivo tra le due fattispecie riguarda la durata del negozio. Per un trust è strettamente legata a ciò che prevede la legge regolatrice da applicare al singolo caso. Diverso il discorso per il vincolo di destinazione, con il Codice Civile che stabilisce un massimo di novant’anni oppure la durata dell’intera vita del beneficiario.

Le differenze proseguono anche analizzando la forma dell’atto costitutivo. Il vincolo di destinazione prevede la sottoscrizione di un atto pubblico, mentre per un trust la normativa è molto più elastica. In linea di massima, la forma preferita è quella scritta, tuttavia non obbligatoria, e comunque dipende dalla natura dei beni che formano l’oggetto dell’atto istitutivo.

Dopo aver analizzato gli elementi distintivi dei due strumenti di separazione patrimoniale, è evidente come si tratti di istituti che non si possono di certo accomunare e contraddistinti da rilevanti differenze.

Tuttavia, il vero nocciolo della questione è un altro e riguarda il comprendere se con l’introduzione del vincolo di destinazione nel nostro ordinamento possa essere visto come un sostituto del trust interno ovvero quello stipulato in Italia, tra cittadini italiani e con riferimento a beni situati in Italia, oppure se l’introduzione di tale istituto possa in qualche modo sostituire il trust interno.

   

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