Cos’è e come funziona la ritenuta d’acconto
La ritenuta d’acconto rappresenta uno degli esempi più lampanti di come, molto spesso, il nostro ordinamento tributario adotta meccanismi piuttosto contorti anziché puntare sulla semplicità. Si tratta di uno dei metodi di riscossione con cui lo Stato, oltre che complicare la vita ai contribuenti, sfrutta per far cassa richiedendo un anticipo sulle imposte.
Come si intuisce già dal nome, è una trattenuta applicata da chi eroga un compenso (ad esempio committente o datore di lavoro) verso un soggetto (dipendente, collaboratore occasionale, professionista con partita IVA, ecc), per poi versarla direttamente nelle casse del Fisco. L’onere spetta al cosiddetto sostituto d’imposta, ovvero quel soggetto pubblico o privato che si sostituisce, in toto o in parte, al contribuente finale ed effettua la trattenuta del tributo su compensi, retribuzioni o altri redditi previsti dalla legge.
La ritenuta d’acconto non risulta affatto un sistema di così immediata comprensione, comunque è a tutti gli effetti una trattenuta ai fini IRPEF sui redditi delle persone fisiche, o ai fini IRES sui redditi delle persone giuridiche, ovvero le società. Di conseguenza, sono assoggettati a ritenuta i lavoratori autonomi, lavoratori dipendenti e coloro che percepiscono redditi da capitale.
Andiamo dunque ad analizzare i vari aspetti che caratterizzano questo strumento di riscossione tributario, così da capire quali redditi siano sottoposti a trattenuta alla fonte, a quanto ammonta l’aliquota, come calcolare la base imponibile, nonché scoprire gli eventuali soggetti esenti e ciò che accade non rispettando l’obbligo di trattenere e versare questo anticipo nella casse dell’Erario.
Indice:
- Ritenuta d’acconto: di cosa si tratta e come funziona?
- Aliquota ordinaria della ritenuta d’acconto
- Base imponibile per il calcolo della ritenuta d’acconto
- Su quali redditi e compensi viene applicata la ritenuta d’acconto?
- Ritenuta d’acconto: i redditi non soggetti
- Ritenuta d’acconto per prestazioni occasionali
- A chi conviene la collaborazione occasionale con ritenuta d’acconto?
- Ritenuta d’acconto applicata sui redditi da lavoro dipendente e da capitale
- Quando versare la ritenuta d’acconto
- Certificazione ritenuta d’acconto
- Cosa accade se non si trattiene o non si versa la ritenuta d’acconto?
Ritenuta d’acconto: di cosa si tratta e come funziona?
Spetta al DPR n. 600/1973 e in particolare all’articolo 64, comma 1 stabilire la disciplina della ritenuta d’acconto. Secondo la normativa, il contribuente, in veste di sostituto d’imposta, ha l’obbligo di trattenere un determinato importo e corrisponderlo in luogo di altri a titolo di anticipo tributario, per fatti o situazioni a questi riferibili. Quindi la ritenuta d’acconto è una trattenuta applicata dal committente in presenza di prestazioni rese da professionisti o lavoratori autonomi, oppure dal datore di lavoro nel caso di lavoratori dipendenti. La finalità della ritenuta d’acconto è anticipare una parte dell’IRPEF del prestatore d’opera, o comunque di un tributo, che viene versata dal committente/datore di lavoro in qualità di sostituto d’imposta.
La situazione, già di per sé non delle più chiare, si complica ulteriormente poiché la ritenuta d’acconto non si riferisce solo al professionista che emette una fattura, ma anche ai compensi corrisposti a collaboratori occasionali senza partita IVA, retribuzione dei lavoratori dipendenti e redditi da capitale.
Attraverso la ritenuta d’acconto, il Fisco si assicura un notevole vantaggio, ovvero la garanzia di incassare quote integrali e sicure di imposta. Un sistema perfetto per evitare qualsiasi rischio di evasione fiscale grazie all’obbligo di anticipare il versamento di parte del dovuto, con il contribuente che subisce passivamente il prelievo senza alcuna alternativa.
A conti fatti, la ritenuta è uno degli strumenti più efficaci per sfruttare il meccanismo della sostituzione tributaria, il quale può operare nei seguenti modi:
- sostituzione d’acconto, è la fattispecie in cui il soggetto sostituto ha l’obbligo di applicare la ritenuta d’acconto sui compensi erogati al sostituito. Di conseguenza, il versamento non estingue l’imposta ma rappresenta solo un’anticipo sul totale del tributo. Spetterà al sostituito saldare l’imposta in fase di dichiarazione dei redditi;
- sostituzione d’imposta, in questo caso il sostituto ha invece l’obbligo di versare l’intera imposta dovuta dal sostituito.
Aliquota ordinaria della ritenuta d’acconto
Per il calcolo della ritenuta d’acconto si deve far riferimento ad un’aliquota ordinaria che di base è pari al 20%. Ciò vale nella maggior parte dei casi, nonché per i redditi da lavoro autonomo; tuttavia, come vedremo più dettagliatamente nello specifico paragrafo, la percentuale varia in base alle diverse situazioni. Ad esempio, la stessa categoria dei lavoratori autonomi risulta sottoposta ad una ritenuta a titolo di acconto nella misura del 30%, qualora ricevesse compensi per prestazioni svolte in Italia ma il soggetto fosse residente in un altro Paese.
Base imponibile per il calcolo della ritenuta d’acconto
L’aliquota dev’essere applicata sulla base imponibile che risulta composta da diverse voci. Per il calcolo è necessario considerare:
- compensi derivanti da prestazioni professionali;
- rimborsi calcolati col metodo a piè di lista relativi alle spese di trasporto, soggiorno in strutture alberghiere e consumazione alimenti e bevande, con tutte le spese che devono essere effettivamente sostenute;
- rimborsi per spese anticipate dal professionista e rimborsate dal committente. Ogni nota spesa deve risultare da relativa documentazione.
Non concorrono invece alla formazione della base imponibile:
- contributi corrisposti ai fini pensionistici previsti dalla normativa e a carico del soggetto che li versa;
- contributi di rivalsa INPS eventualmente versati per la Cassa previdenziale relativa all’ordine professionale di appartenenza;
- importi ricevuti come rimborso per spese anticipate in nome e per conto dei clienti. In questi frangenti è necessario che i suddetti costi non risultino inerenti alla produzione di reddito da lavoro autonomo e, nel contempo, certificati da apposita documentazione.
Su quali redditi e compensi viene applicata la ritenuta d’acconto?
Non c’è miglior modo per capire come funziona il meccanismo della ritenuta d’acconto che conoscere quali sono i redditi e compensi su cui ne è obbligatoria l’applicazione. In base alle diverse situazioni giuridico-commerciali ecco il quadro completo, con evidenziato il valore dell’aliquota per il calcolo e la percentuale di base imponibile:
- prestazioni per lavoro autonomo oppure occasionale. Si applica un’aliquota del 20% sul 100% della base imponibile;
- compensi per le mansioni svolte da amministratori di condominio con aliquota al 20% e 100% della base imponibile;
- compensi relativi a servizi resi a favore di un condominio da parte di persone fisiche o società di persone assoggettate ad IRPEF, oppure società di capitali assoggettate ad IRES. In questi casi l’aliquota per il calcolo della ritenuta d’acconto è pari al 4%, da applicare sul 100% della base imponibile;
- redditi derivanti dallo sfruttamento o utilizzo di un’opera di ingegno, brevetto industriale, formule, ecc. L’aliquota è del 20% mentre la base imponibile per il computo è pari al 75%;
- utili derivanti dalle partecipazioni a seguito di un contratto di associazione. L’aliquota a titolo di ritenuta d’acconto è del 20% e applicata sul 100% della base imponibile;
- compensi conseguiti da segretari comunali per il servizio di levata protesti, con ritenuta d’acconto al 20% e base imponibile dell’85%;
- sui redditi per cessione diritti d’autore si deve applicare una trattenuta del 20% sul 60% della base imponibile;
- sui redditi derivanti da una vendita a domicilio la trattenuta è pari al 23% riferita ad una base imponibile del 78%;
- per provvigioni corrisposte ad un agente, mediatore, rappresentate di commercio o procacciatore d’affari la ritenuta d’acconto è del 20% applicata sul 50% della base imponibile;
Nel suddetto elenco dobbiamo anche includere tutti i soggetti non residenti sul territorio dello Stato che percepiscono compensi per:
- lavoro autonomo;
- prestazioni come amministratori di condominio;
- levata protesti esercitata dai segretari comunali;
- sfruttamento e utilizzo di opere di ingegno, brevetti, formule, invenzioni industriali e simili;
- partecipazione agli utili.
Questi soggetti non residenti devono applicare una ritenuta d’acconto del 30% sul 100% della base imponibile (75% solo per coloro che sfruttano opere di ingegno e simili).
Ritenuta d’acconto: i redditi non soggetti
La ritenuta d’acconto non è sempre dovuta e, in particolare, sono esclusi i seguenti redditi:
- compensi corrisposti per prestazioni occasionali rese a favore di enti pubblici o privati non commerciali. L’importo non deve comunque superare i 25,82 euro;
- redditi dei contribuenti sottoposti a regime forfettario; non subiscono la ritenuta alla fonte ma sono obbligati a rilasciare apposita dichiarazione in fattura. Tali soggetti non hanno nemmeno l’onere di effettuare la ritenuta d’acconto in qualità di sostituti d’imposta. In questo caso sono però tenuti a indicare nella dichiarazione dei redditi il codice fiscale dei destinatari del compenso, nonché l’importo elargito ma non assoggettato a ritenuta.
Il motivo per cui un contribuente in regime forfettario risulta esente dal subire o applicare la ritenuta d’acconto è alquanto semplice. Prendiamo il caso di un professionista che, grazie al regime forfettario, beneficia di una tassazione agevolata con aliquota fissa al 15 % (5% per le start-up) a titolo di imposta sostituiva sui redditi dichiarati. Appare chiaro che se dovesse subire una ritenuta del 20% sui compensi percepiti a titolo di acconto, e ritrovarsi poi a pagare un’imposta sostitutiva a fine anno del 15%, o addirittura del 5% (quindi inferiore a quanto pagato come acconto con la ritenuta) si ritroverebbe perennemente in una posizione di credito.
Ritenuta d’acconto per prestazioni occasionali
Il mercato del lavoro è sempre più dinamico, con i committenti che cercano di sfruttare la flessibilità offerta dalle collaborazioni occasionali piuttosto che assumere dipendenti con contratto a tempo determinato. In tal senso, la ritenuta d’acconto può essere considerata ormai un sinonimo di collaborazione occasionale, tanto che nel gergo comune si sente spesso parlare di collaborazione a ritenuta d’acconto. Il datore di lavoro può scegliere se affidarsi a professionisti titolari di partita IVA, oppure avvalersi di prestatori d’opera occasionali, fermo restando il rispetto dei limiti consentiti dalla legge (compensi di 5.000 euro/anno per lo stesso committente), prima di correre il rischio di incorrere in una presunzione di lavoro subordinato.
Nel caso in cui il datore di lavoro instauri un rapporto lavorativo con un collaboratore, questi si comporterà come un professionista pur non possedendo una partita IVA. In tali circostanze è bene che la natura del rapporto di lavoro rimanga del tutto occasionale e non intervenga alcun elemento di continuità o subordinazione.
Dal punto di vista pratico il committente, al termine della prestazione, provvede a saldare il dovuto versando al lavoratore la cifra pattuita a seguito della presentazione di un’apposita ricevuta. A tal fine, è spesso lo stesso datore di lavoro a fornire un modello di ricevuta che il collaboratore provvederà a compilare, firmare e consegnare. Si tratta di una situazione piuttosto particolare in cui c’è una sorta di inversione dei ruoli dovuta al fatto che, molto spesso, il collaboratore occasionale non è in grado di produrre la ricevuta necessaria. Tuttavia, sotto il profilo formale, è il collaboratore a consegnare la ricevuta al committente come fosse una fattura rilasciata da un professionista con partita IVA.
La suddetta ricevuta per avere validità fiscale deve contenere:
- data e numero del documento;
- informazioni principali relative al collaboratore, tra cui il suo codice fiscale;
- i dati del datore di lavoro, compreso codice fiscale e partita IVA;
- descrizione della prestazione svolta;
- importo lordo del compenso pattuito;
- valore della ritenuta d’acconto;
- importo netto calcolato sottraendo la ritenuta d’acconto dall’importo lordo.
Nel momento in cui il committente riceve dal collaboratore la ricevuta, deve provvedere a:
- saldare l’importo netto, possibilmente versando la cifra attraverso metodi di pagamento tracciabili (ad esempio bonifico bancario o assegno);
- calcolare e versare la ritenuta a titolo di acconto all’Agenzia delle Entrate, assumendo la carica di sostituto d’imposta in nome del collaboratore entro e non oltre il 16 del mese successivo alla data del pagamento.
Di conseguenza, riassumendo, si viene a verificare la seguente situazione:
- il committente sostiene una spesa complessiva pari al lordo;
- il collaboratore riceve una somma pari al netto, ovvero il lordo decurtato della ritenuta d’acconto;
- nelle casse dello Stato finisce il 20% (aliquota valida per questo specifico caso) a titolo di anticipo delle imposte sul reddito del collaboratore.
Quest’ultimo, alla presentazione della dichiarazione dei redditi e in base ad eventuali deduzioni o detrazioni, potrebbe vedersi restituire, parte o l’intera somma, sotto forma di credito d’imposta. Qualora le imposte da versare fossero invece superiori al 20% già corrisposto, il soggetto dovrà versare nelle casse dell’erario la differenza in base all’aliquota progressiva IRPEF raggiunta.
Per il calcolo della ritenuta è sempre necessario partire dall’importo lordo, quindi non prendere in considerazione l’IVA (eventualmente da aggiungere in un secondo momento) e le rivalse INPS.
Ricordiamo che gli importi inferiori a 25,82 euro corrisposti da enti pubblici o privati per lavoro autonomo occasionale, non sono sottoposti a ritenuta d’acconto.
A chi conviene la collaborazione occasionale con ritenuta d’acconto?
Ci sono ancora collaboratori che credono che il committente ottenga dei vantaggi nell’instaurare un rapporto di collaborazione occasionale, anziché avvalersi di un professionista titolare di partita IVA: per il committente non cambia praticamente nulla. Semmai la vera convenienza per entrambe le parti sta nel non dover versare i contributi INPS.
Scegliere di prestare l’opera attraverso una collaborazione occasionale con ritenuta d’acconto può risultare conveniente con le seguenti condizioni:
- una sola collaborazione di breve durata con il committente;
- la natura della collaborazione resta sempre occasionale;
- non sono previste nel medio termine nuove collaborazioni con lo stesso committente o con altri richiedenti prestazioni occasionali nel medesimo settore.
Resta da valutare la possibilità di aprire una partita IVA e assumere, quantomeno formalmente, una qualifica di maggior professionalità potendo anche svolgere lavori occasionali senza dover sottostare al limite dei 5.000 euro annui relativamente ai compensi per committente.
Ritenuta d’acconto applicata sui redditi da lavoro dipendente e da capitale
Come abbiamo già detto, i redditi da lavoro autonomo non sono gli unici ad essere assoggettati a ritenuta d’acconto: la trattenuta grava anche sugli stipendi dei lavoratori dipendenti. In questo caso, il ruolo di sostituto d’imposta spetta, chiaramente, al datore di lavoro che provvederà a versare il dovuto attraverso il modello F24 rispettando i medesimi termini stabiliti per i lavoratori autonomi. Sarà necessario compilare le seguenti sezioni del modello F24 per effettuare il saldo delle imposte:
- erario: per le imposte statali;
- INPS: per i contributi ai fini pensionistici;
- altri enti previdenziali e assicurativi: per premi INAIL;
- regioni: per addizionali regionali;
- ICI e altri tributi locali: per addizionali comunali.
Il datore di lavoro deve provvedere, entro il 31 marzo dell’anno successivo al versamento delle ritenute, ad inviare il CUD con indicate le trattenute di natura fiscale, contributiva e assicurativa detratte al dipendente.
I contribuenti che percepiscono redditi da capitale dovranno versare la ritenuta d’acconto sempre attraverso il modello F24, inserendo il codice tributo nella sezione erario e rispettando le scadenze previste per i lavoratori autonomi.
Quando versare la ritenuta d’acconto
Il sostituto d’imposta deve provvedere al versamento della ritenuta d’acconto, normalmente, entro e non oltre il 16 del mese successivo al pagamento. Il datore di lavoro titolare di partita IVA si avvale del Modello F24, e dovrà compilare la relativa sezione erario in tutti i campi previsti, inserendo il codice tributo 1040 e pagarlo solamente attraverso la modalità telematica.
Certificazione ritenuta d’acconto
Oltre ad assolvere all’onere del versamento della ritenuta d’acconto, il sostituto d’imposta deve certificare l’operazione effettuata. Entro il 31 marzo dell’anno successivo al versamento della ritenuta, il soggetto dovrà consegnare un apposita certificazione da cui l’Agenzia delle Entrate potrà eventualmente verificare:
- l’importo totale dei compensi corrisposti per prestazioni occasionali, professionali o da lavoro dipendente;
- l’importo delle ritenute d’acconto applicate e anticipate al Fisco;
- l’importo delle detrazioni di imposta;
- l’importo dei contributi INPS e INAIL.
La certificazione dovrà essere allegata al Modello 770 del sostituto d’imposta. Anche in questo caso sono esenti dall’obbligo i titolari di partita IVA sottoposti a regime forfettario, in quanto non assumono mai il ruolo di sostituti d’imposta.
Cosa accade se non si trattiene o non si versa la ritenuta d’acconto?
L’omesso versamento delle ritenute d’acconto è un reato previsto dall’articolo 10 bis del Decreto legislativo n. 74/2000, a cui sono state applicate le nuove disposizioni introdotte con il D.Lgs n. 158 del 2015.
Il reato prevede una pena detentiva che può andare da un minimo di 6 mesi ad un massimo di due anni di reclusione. Tuttavia, ciò avviene solo se il soggetto, in qualità di sostituto d’imposta, non corrisponde entro i termini di legge una ritenuta di importo superiore a 150mila euro per ciascun periodo d’imposta.
In ogni caso, a prescindere dall’entità dell’omissione, si va sempre incontro a conseguenze di natura pecuniaria. Infatti gli articoli 13 e 14 del D.Lgs n. 471/1997 hanno stabilito due diverse sanzioni amministrative ovvero:
- 20% dell’ammontare non trattenuto per soggetti che non hanno effettuato in toto o in parte le ritenute a titolo di acconto;
- 30% dell’intero importo non corrisposto per soggetti che, pur avendo effettuato le trattenute a titolo di ritenuta d’acconto, non hanno però eseguito i regolari versamenti all’Agenzia delle Entrate.
La legge prevede la possibilità di avvalersi del ravvedimento operoso, potendo così beneficiare di una sostanziale riduzione della pena pecuniaria in base a quanto più o meno celermente si provvede a regolarizzare la posizione. A tal proposito, ricordiamo che qualora il ritardo nel versamento non superasse i 90 giorni dalla scadenza, la sanzione subisce una prima riduzione della metà, con successiva applicazione della diminuzione per ravvedimento operoso.
Se il ritardo risultasse pari o inferiore ai 15 giorni si potrebbe ottenere la massima riduzione della sanzione amministrativa.
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