Come viene tassata la vendita delle opere d’arte

Il mercato dell’arte è da sempre un settore alquanto attivo nel nostro Paese: oltre all’inestimabile patrimonio delle opere esposte nei musei, ci sono innumerevoli collezioni private. Se fino a qualche anno fa, chi si avvicinava a questo mondo era mosso quasi esclusivamente da una grande passione, negli ultimi tempi sono sempre più le persone che decidono di acquistare oggetti di valore artistico come forma di investimento.

Del resto, la recente instabilità economica ha reso il mercato immobiliare e finanziario soluzioni di investimento poco allettanti per via del clima di grande incertezza e dei bassi rendimenti. Per cui, molti risparmiatori, hanno deciso di cambiare strategia, diversificando il portafoglio inserendovi anche gli investimenti effettuati in opere d’arte. Un mezzo di tutela e rivalutazione patrimoniale interessante ed efficace, infatti gli oggetti d’arte tendono ad incrementare il loro valore nel tempo e comunque, ben difficilmente, il prezzo di vendita sarà mai inferiore rispetto a quello di acquisto. Di conseguenza, si tratta di investimenti piuttosto sicuri, con minimo rischio e apprezzati, per lo più, dai risparmiatori con maggiori risorse economiche a disposizione.

In quest’articolo, la nostra attenzione è rivolta alla tassazione applicata sulle plusvalenze generate dalla vendita di opere d’arte: la normativa fiscale in merito è decisamente lacunosa e, di fatto, consente una totale esenzione ai soli collezionisti.

Indice:

 

Disciplina fiscale italiana applicata al mercato dell’arte

La bellezza delle città d’arte, le numerose collezioni pubbliche e private sono la testimonianza dell’enorme patrimonio artistico presente in Italia. Un settore fiorente capace di attrarre l’interesse di collezionisti, commercianti d’arte e investitori italiani e stranieri. Nonostante il crescente numero di compravendite di oggetti d’arte, la normativa fiscale non risulta adeguatamente strutturata per mantenere il passo con la crescita esponenziale di questo settore.

La premessa da cui dobbiamo partire è l’assenza di una disciplina tributaria specifica per il mercato dell’arte. Quindi, sarà necessario far riferimento al decreto del presidente della Repubblica n. 917/86, ovvero il testo unico delle imposte sui redditi. Di fronte alla compravendita di opere d’arte e oggetti da collezione, risulta fondamentale individuare l’esatta posizione del venditore. Questo perché c’è un’enorme differenza sotto il profilo fiscale tra privato collezionista, mercante d’arte, oppure speculatore occasionale. Il nocciolo della questione è quello di capire a quale categoria di reddito possono essere assoggettati i proventi derivanti dalla vendita di un’opera d’arte, in base a quanto stabilito dall’articolo 6 del TUIR.

 

I soggetti che partecipano alla compravendita di opere d’arte

Arrivati a questo punto è piuttosto evidente come la tassazione relativa alla cessione di un’opera d’arte ruoti attorno alla figura del venditore. Per individuare la corretta applicazione della normativa fiscale applicabile è fondamentale analizzare con attenzione ogni situazione e inquadrare con chiarezza la posizione del soggetto che effettua la vendita.

In particolare sono tre le figure che possiamo individuare e precisamente:

  • collezionista privato: di solito è una persona facoltosa che acquista opere d’arte non per generare profitto, bensì per una profonda passione e interesse culturale. Quindi, lo scopo principale è raccogliere oggetti di valore artistico per il solo piacere di possederli e godere della loro bellezza. Ciononostante anche un collezionista può, per svariati motivi, privarsi di un’opera decidendo di venderla;
  • speculatore occasionale: in questo caso, ciò che spinge all’acquisto di un’opera d’arte centra ben poco con gli interessi culturali ed estetici. Il soggetto è invece animato dal desiderio di rivendere l’oggetto ad un valore superiore per ottenere un profitto dalla compra-vendita. Tuttavia, non si tratta di professionisti del mondo dell’arte ma di persone che eseguono transazioni saltuariamente quando fiutano un buon affare;
  • mercante d’arte: lo scopo che muove tale figura è unicamente il profitto. Infatti, si tratta di un professionista che ha scelto di esercitare un’attività di commercio di opere d’arte e di oggetti di antiquariato. Solitamente, tali soggetti sono spinti anche da un profondo un interesse culturale e posseggono ampie conoscenze del settore, ma resta il fatto che la loro finalità sia quella far crescere il valore delle opere in loro possesso al solo scopo di rivendere per ottenere rilevanti guadagni, esattamente come in una qualunque altra attività economica.

L’appartenere ad una delle tre categorie testé descritte comporta grandi differenze dal punto di vista fiscale e, di conseguenza, sulla tassazione applicata ai proventi generati dalla compra-vendita delle opere d’arte. Cercando di sintetizzare il più possibile la questione, ecco di seguito come vengono assoggettati i redditi in base alla tipologia del venditore:

  • collezionista privato: la persona che vende occasionalmente un’opera d’arte non è sottoposta a nessun tipo di imposizione fiscale, perciò la cessione potrà essere considerata esentasse;
  • speculatore occasionale: in questo caso i proventi della vendita devono essere gestiti come redditi diversi, ai sensi dall’articolo 67, comma 1, lettera i del TUIR. Il soggetto non risulta passivo di IVA in quanto manca il requisito fondamentale dell’attività di vendita abituale;
  • mercante d’arte: essendo un professionista titolare di partita IVA, oltre ad essere assoggettato ad imposta sul valore aggiunto, vedrà  i proventi generati dalla vendita di opere d’arti considerati alla stregua dei redditi d’impresa.

Sulla carta, la diversificazione tra le varie figure è abbastanza netta, ma in realtà le cose sono più complicate di come possa apparire la questione. Infatti spesso è complicato collocare in modo chiaro una compravendita di opere d’arte ed identificare, senza farsi venire dei dubbi, a quale categoria possa appartenere il venditore.

 

Come individuare la figura professionale del mercante d’arte

Ogni compravendita di opere d’arte tra privati dev’essere analizzata con attenzione per capire a che tipo di figura appartiene il venditore. Per un mercante d’arte il primo requisito è quello della presenza di un’attività commerciale svolta in modo abituale, oppure sistematico e professionale. Per inquadrare tale soggetto ci sono altri elementi utili da considerare e, nello specifico:

  • numero di transazioni effettuate nel corso di un anno: è chiaro che un professionista eseguirà molte più operazioni che uno speculatore occasionale, per non parlare di un collezionista;
  • transazioni con importi consistenti;
  • vendita di opere d’arte di svariate tipologie: la compravendita nello stesso anno di quadri, statue, gioielli e altri oggetti appartenenti a categorie differenti, è un’attività che poco si concilia con il collezionismo e prefigura, invece, transazioni di natura commerciale;
  • numero di soggetti con cui il mercante intrattiene rapporti: anche in questo caso la presenza di molteplici acquirenti e venditori fa presumere che un’attività sia di tipo imprenditoriale;

Sottolineo che al fine della rilevanza di un’attività commerciale, poco conta se il profitto generato non è capitalizzato in denaro o con altri beni. Inoltre, anche il solo utilizzo dei portali di vendita online come canale di vendita non esclude l’attività d’impresa. Ad esempio, se le vendite vengono effettuate tramite eBay, ed è presente un elevato numero di operazioni per un periodo continuativo, l’attività è da considerarsi a tutti gli effetti di tipo commerciale.

 

La tassazione del mercante d’arte

Nel momento in cui è stata individuata con assoluta certezza la figura del mercante d’arte, i proventi conseguenti e le plusvalenze generate dalle vendite sono riconducibili ad un reddito d’impresa. La normativa di riferimento è l’articolo 55 del TUIR che disciplina i redditi derivanti dall’esercizio di una professione abituale, anche se non organizzata in forma d’impresa e sebbene non esclusiva delle attività previste dall’articolo 2195 del Codice Civile.

In buona sostanza, la vendita di un’opera d’arte, oppure di un oggetto da collezione potrebbe essere considerata un’attività intermediaria nella circolazione dei beni. Di conseguenza, la compravendita è assimilabile ad un’attività imprenditoriale se effettuata come una professione abituale seppur non organizzata.

Resta il fatto che la natura abituale dell’attività dev’essere appurata caso per caso, perciò assume un ruolo fondamentale la figura del commercialista o di un consulente fiscale molto preparato in materia. Il requisito dell’abitualità non si basa solo sul parametro temporale, ma tiene conto anche della complessità delle transazioni e della loro rilevanza economica.

Tutta la questione, infatti, si riduce nello stabilire quando la cessione di opere d’arte si può considerare o meno come un’attività d’impresa. Un soggetto privato che svolge saltuariamente un’operazione anche economicamente rilevante, ben difficilmente può essere inquadrato come un mercante d’arte professionista.

A diramare la questione arriva in nostro aiuto il fatto che un commerciante di oggetti con valore artistico, per svolgere tale attività, deve aprire una partita IVA in forma individuale, oppure societaria e, al contempo, è obbligato all’iscrizione presso l’INPS e la Camera di Commercio. Tutti questi elementi danno una grossa mano ad inquadrare con correttezza la figura del mercante d’arte.

La situazione si fa decisamente più complicata quando è necessario stabilire se un soggetto risulta uno speculatore occasionale, oppure un collezionista. Aspetto non da poco visto che in un caso si pagano le tasse sui proventi della vendita e nell’altro non si versa nemmeno un euro al Fisco.

 

Collezionista e speculatore occasionale: come distinguerli?

Se il mercante d’arte rappresenta una figura professionale facilmente inquadrabile, collezionista e speculatore occasionale sono invece soggetti facilmente sovrapponibili. Infatti, entrambi non svolgono un’attività imprenditoriale ed effettuano transazioni occasionali.

In tali frangenti, il nodo dirimente è stabilire se l’attività risulta in qualche modo di natura commerciale, sebbene la stessa non sia abituale. A tale scopo, l’unico aspetto rilevante è la presenza di un preordinato fine speculativo, di certo non facile da individuare.

Bisogna prestare parecchia attenzione nell’analizzare ogni singola situazione per scoprire i nessi che portano all’intento di generare profitto. Alcuni esempi possono essere l’acquisto su commissione, oppure l’aver contratto un finanziamento per acquistare l’opera, ma sapendo già di poterla vendere in breve tempo ottenendo un buon guadagno. Altro elemento che fa supporre una predeterminazione al profitto, è la durata del possesso. Un collezionista, normalmente, tiene le opere tutta la vita, quantomeno passano svariati anni prima che decida di privarsene; questo perché il suo interesse è legato più al lato estetico e culturale che non a quello pecuniario o speculativo. Uno speculatore, invece, mantiene il possesso dell’oggetto, giusto il tempo necessario per generare un aumento del suo valore, o comunque il tempo minimo per garantirsi un profitto.

Solo valutando tali comportamenti sarà possibile distinguere un collezionista amante delle opere d’arte che possiede, e a volte rivende o scambia opere per acquistarne altre, da uno speculatore che non ha grande interesse nel tenere nella sua galleria un oggetto per lungo tempo.

Il collezionista, essendo al di fuori da qualsiasi logica speculativa, nel caso in cui dovesse vendere un’opera d’arte non ha alcun obbligo fiscale da rispettare o particolare tributo da versare. Viceversa, uno speculatore occasionale dovrà riportare nella propria dichiarazione dei redditi la plusvalenza generata dalla vendita dell’oggetto. A tal proposito, l’importo conseguito rientra nei redditi diversi e va indicato nel quadro D del modello 730, oppure nel quadro RL del modello Redditi Persone Fisiche.

 

Obblighi fiscali per opere d’arte detenute all’estero

Appurato cosa accada nel momento in cui si decide di vendere un’opera d’arte, vediamo ora di inquadrare fiscalmente la detenzione all’estero di oggetti di valore artistico da parte di proprietari con residenza fiscale in Italia.

Innanzitutto, l’Agenzia delle Entrate, tramite la circolare n. 43/E/2009, ha inserito le opere d’arte tra gli investimenti esteri di natura finanziaria. In tali frangenti, il titolare del bene deve rispettare la normativa del monitoraggio fiscale che riguarda gli investimenti posseduti all’estero, anche se gli stessi non producono alcun reddito imponibile in Italia. La disciplina obbliga alla dichiarazione delle attività finanziarie estere tramite la compilazione del quadro RW del modello Redditi PF. Lo scopo del legislatore è quello avere una situazione piuttosto precisa e reale delle attività finanziarie che i contribuenti, con residenza fiscale in Italia, mantengono fuori dal territorio dello Stato.

Altro aspetto da considerare, è come il nostro Paese, nonostante sia uno dei principali fornitori di opere d’arte, non rappresenti il luogo più favorevole per custodire tali beni nel lungo periodo. Ci sono nazioni decisamente meno vincolanti e tra queste la Svizzera rappresenta una delle scelte migliori per il deposito delle opere d’arte. Non per nulla il Paese elvetico detiene il maggior numero di collezioni private e pubbliche in rapporto alla densità abitativa.

 

Come evitare il monitoraggio fiscale di opere d’arte detenute all’estero

Il monitoraggio fiscale è, senza dubbio, una grossa complicazione nel caso in cui si detengono opere d’arte al di fuori dei confini nazionali. Tuttavia, esiste la possibilità di evitare tali oneri sfruttando la cosiddetta amministrazione fiduciaria. Siccome un’opera d’arte all’estero è considerata un rilevante investimento, la legge offre la possibilità di conferire l’incarico della sua gestione ad un intermediario italiano. Esistono società fiduciarie che prendono in carico il patrimonio artistico e provvedono ad amministrarlo, custodirlo nonché occuparsi di tutto ciò che riguarda la sicurezza del deposito. Il vantaggio per il proprietario è il totale esonero dagli adempimenti del monitoraggio fiscale e relativa compilazione del quadro RW nella dichiarazione dei redditi.

Spetterà alla società fiduciaria assolvere a tutti gli obblighi tributari e anche gestire eventuali compravendite per garantire adeguata riservatezza alle transazioni; inoltre, potrà assumere la responsabilità amministrativa e di sicurezza del caveau in cui il proprietario intende depositare e conservare tutte le opere e gli oggetti d’arte della sua collezione. Altra funzione riguarda la valutazione dei beni, offrendo l’appoggio e il consiglio di esperti, anche nel caso in cui il fiduciante sia intenzionato ad effettuare nuovi acquisti.

 

Amministrazione fiduciaria: come funziona?

Il proprietario di opere d’arte detenute all’estero può decidere di sottoscrivere un contratto con un intermediario italiano che assumerà l’incarico di amministrazione dei beni. La titolarità dei diritti sulle opere d’arte viene mantenuta dal collezionista che potrà disporne come meglio crede; tuttavia, dovrà provvedere a comunicare alla società fiduciaria tutte le informazioni relative ai beni e inviare la documentazione delle opere d’arte e i flussi reddituali dei beni giuridicamente rimpatriati. Inoltre, il fiduciante dovrà anche comunicare preventivamente l’intenzione di effettuare operazioni di gestione o amministrazione sulle opere stesse.

Le opere e gli oggetti d’arte vengono mantenuti all’estero in una sede di proprietà della fiduciaria, oppure in un luogo scelto dal collezionista. Per prelevare o depositare beni sarà sempre necessario il consenso scritto della società amministratrice.

 

Gli incarichi della società fiduciaria

L’incarico principale di tali società è l’amministrazione delle opere d’arte la cui proprietà, titolarità dei diritti e detenzione, rimangono in capo al collezionista. Il fiduciante può disporre dei beni quando desidera, fermo restando il rispetto delle relative comunicazioni alla società fiduciaria. Un aspetto da non trascurare poiché, in caso di violazione, viene immediatamente a cessare il rapporto tra le parti e gli obblighi di natura fiscale spettanti alla società amministratrice.

La fiduciaria si assume l’onere di espletare tutti gli adempimenti tributari,  versare le ritenute alla fonte ed eventuali imposte sostitutive. Qualora fossero previste esenzioni, la società stessa è tenuta ad avvisare l’Agenzia delle Entrate tramite specifica comunicazione.

Un altro adempimento dell’intermediario riguarda la verifica dei beni, imposta dalla normativa antiriciclaggio. I controlli hanno anche la finalità di stabilire se l’origine e il possesso delle opere d’arte rispettano il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. A tale scopo, si prende come riferimento la documentazione ricevuta dal proprietario (fatture, contratto di acquisto, certificazione di autenticità e di libera circolazione, polizza assicurativa, ecc.) da cui si può ricostruire l’esatta provenienza dei beni. Inoltre, un esperto potrà analizzare le opere d’arte per stabilirne l’autenticità e certificarne il valore storico-artistico, nonché quello economico.

 

La perizia dell’esperto

Uno degli scopi della perizia effettuata dall’esperto è quello di stabilire se l’opera d’arte possa essere o meno classificata come bene culturale secondo i parametri del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. In pratica, si accerta che l’opera si stata realizzata da un artista non più in vita e che l’esecuzione risalga ad almeno 50 anni addietro. Inoltre, l’opera deve possedere un interesse culturale non ancora accertato da apposita dichiarazione del Ministero. Tutto questo serve per capire quali eventuali vincoli alla circolazione del bene si debbano applicare in base alla normativa italiana. L’accettazione dell’incarico da parte della società fiduciaria presuppone l’effettuazione e la consegna della perizia.

Tale documento verrà fornito anche al proprietario per prendere atto di ciò che è stato rilevato. Il fiduciante, una volta conferito l’incarico alla fiduciaria, assume la responsabilità di comunicare, ogni anno, una dichiarazione nella quale conferma il possesso e la disponibilità dei beni, nonché il valore economico indicato nella perizia, oppure un’eventuale variazione. Il tutto per mettere l’intermediario nelle condizioni di assolvere ai propri adempimenti amministrativi e fiscali.

 

Rapporti sul reddito

A seguito del rapporto tra fiduciaria e proprietario delle opere d’arte, è necessario costituire un conto corrente intestato all’intermediario per conto del fiduciante. Su tale conto devono transitare tutti i redditi relativi alle transazioni riguardanti i beni sottoposti ad amministrazione fiduciaria.

Non stiamo parlando solo dell’eventuale vendita ma anche, ad esempio, dei proventi per l’affitto delle opere d’arte esposte in un museo, o la partecipazione a mostre private e, in generale, ogni corrispettivo derivante da rapporti intrapresi con terzi e con oggetto i beni amministrati. Il fiduciante deve autorizzare l’intermediario ad operare sul conto così che possa, tra le altre cose, effettuare i pagamenti delle imposte.

 

Conclusioni

Da un punto di vista fiscale il mercato dell’arte è caratterizzato da una disciplina piuttosto incerta che provoca confusione in chi desidera investire e operare in questo settore. Infatti, da una parte un collezionista potrebbe vedersi recapitare un avviso di accertamento relativo ai redditi di una vendita avvenuta ormai da molti anni.

Il soggetto si troverà di fronte a non poche difficoltà per dimostrare di aver svolto la transazione senza alcun fine lucrativo, ma solo mosso da interessi culturali. Dall’altra parte, invece, altre persone potrebbero sfruttare le lacune normative per mascherare lo scopo speculativo di queste operazioni e passare completamente inosservati sotto gli occhi dell’Amministrazione finanziaria, oppure presentare prove di un presunto collezionismo in modo da sfuggire alla tassazione delle plusvalenze realizzate.

Di fronte ad una fiscalità piuttosto nebulosa l’unico strumento a disposizione del contribuente è l’interpello qualificatorio. Si tratta di un’istanza che trova la sua applicazione nei casi di obbiettiva incertezza, proprio come la tassazione delle opere d’arte. In questo caso non viene messa in dubbio l’interpretazione della norma fiscale, bensì la sua qualificazione giuridico-tributaria e la conseguente applicazione.

Comunque, per evitare di incorrere in guai col Fisco, o ricevere spiacevoli avvisi di accertamento a distanza di anni, è bene muoversi in anticipo e richiedere la consulenza di esperti nel settore.

   

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