Come si individua il domicilio fiscale di un contribuente
Domicilio e residenza fiscale sono concetti che da sempre generano innumerevoli dubbi: molti contribuenti li sovrappongono pericolosamente, quando invece i due concetti presentano significative differenze e, al contempo, costituiscono elementi di grande rilevanza ai fini fiscali.
Questa confusione comporta importanti conseguenze per l’accesso a determinate agevolazioni fiscali, nonché relativamente alla compilazione e presentazione della dichiarazione dei redditi. Concetti che invece dovrebbero essere ben chiari, soprattutto, ai soggetti che intendono trasferirsi all’estero o comunque percepiscono redditi per attività svolte al di fuori del territorio dello Stato.
Scopo di quest’articolo è puntualizzare le differenze tra residenza fiscale e domicilio fiscale, come ci si deve comportare a livello di burocrazia quando si decide di trasferirsi in un Paese straniero, la procedura per comunicare all’Agenzia delle Entrate la modifica del domicilio e cosa accede qualora venisse accertata una residenza di comodo.
Indice:
- La differenza tra domicilio e residenza
- Cosa intende la legge per domicilio fiscale?
- L’importanza del domicilio fiscale
- La definizione di residenza fiscale
- L’importanza della residenza fiscale
- La residenza fiscale per contribuenti all’estero
- Iscrizione all’AIRE: non sufficiente per il cambio di residenza fiscale
- Il cambio del domicilio fiscale
- Cambio di residenza: cosa succede in mancanza di comunicazione?
- Comunicare una residenza non veritiera costituisce reato di falso in atto pubblico
- Cosa accade comunicando un indirizzo inesistente
- Verifica della residenza da parte dell’Agenzia delle Entrate
- Individuare una residenza di comodo
- Obbligo di reperibilità
La differenza tra domicilio e residenza
Secondo la normativa civilistica e, nello specifico, l’articolo 43 del codice civile, la residenza viene individuata con l’abitazione dove il cittadino ha stabilito la dimora abituale, quindi fa testo l’iscrizione presso l’anagrafe comunale. Il domicilio, invece fa riferimento al luogo in cui la persona ha stabilito la sede dell’attività economica, dei propri affari o interessi personali.
Ciò è valido a prescindere se il soggetto risulta fisicamente presente in quel determinato luogo. Ad esempio, una persona che trasferisce la sede di lavoro all’estero, ma mantiene i legami familiari in Italia, è considerata sempre residente in Italia.
Cosa intende la legge per domicilio fiscale?
La definizione di domicilio fiscale è stabilita dal diritto tributario. Infatti, come ribadito dall’Agenzia delle Entrate, tale fattispecie non risulta disciplinata dal codice civile ma bensì dall’articolo 58 del DPR n. 600/73, contenente la normativa in materia di modalità per l’accertamento fiscale dei contribuenti. Senza entrare troppo nel merito possiamo così riassumere il concetto di domicilio fiscale:
- per le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato coincide con la residenza anagrafica, ovvero il Comune dove dimora abitualmente il contribuente e che risulta dall’iscrizione nel registro dell’anagrafe. Per le persone non residenti, come domicilio fiscale viene preso quello del Comune in cui viene prodotto il reddito. In presenza di redditi generati in diversi Comuni, fa testo quello con l’importo più elevato;
- per le società è il Comune in cui è ubicata la sede legale o, in sua assenza, quella amministrativa. Se quest’ultima non è presente, il domicilio fiscale coincide con quello del Comune in cui è stabilita la sede secondaria o la stabile organizzazione. In mancanza anche di questa condizione, la legge considera il domicilio fiscale della società il Comune dove vengono svolte in maniera prevalente le attività.
Nel momento in cui una persona fisica, o una società, decidono di cambiare residenza anagrafica trasferendosi in un altro Comune, in automatico ed entro 60 giorni si modificherà anche il domicilio fiscale. Quindi, in buona sostanza, il contribuente non può decidere il proprio domicilio fiscale ma sarà speculare alla residenza anagrafica. Per le società coincide con la sede amministrativa, legale o comunque il luogo dove vengono svolte le attività d’impresa.
L’importanza del domicilio fiscale
Il domicilio fiscale ha fondamentale rilevanza al fine di definire l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate con competenza territoriale. Quindi sarà il suddetto ufficio ad effettuare controlli e accertamenti sulle imposte dirette e invierà comunicazioni e notifiche relative ad atti tributari presso l’indirizzo del domicilio fiscale.
Al tal proposito, dobbiamo sottolineare la possibilità di stabilire un indirizzo diverso dal domicilio fiscale (ad esempio quello del commercialista), dove l’Amministrazione Finanziaria potrà inviare tutte le comunicazioni. Si tratta comunque più che altro di una curiosità, visto che all’atto pratico l’Agenzia delle Entrate inoltra notifiche e atti tributari ai contribuenti titolari di partita IVA tramite indirizzo di posta elettronica certificata: iniziativa che, ben presto, coinvolgerà qualsiasi categoria di contribuenti.
La definizione di residenza fiscale
La residenza fiscale è concettualmente diversa rispetto al domicilio fiscale, infatti individua lo Stato dove il contribuente risiede e, di conseguenza, il regime impositivo a cui è assoggettato. Il Fisco si basa proprio sulla residenza fiscale di un contribuente per tassare i redditi da lui prodotti. Per il nostro sistema tributario una persona fisica si considera fiscalmente residente in Italia se:
- trascorre la maggior parte del periodo d’imposta sul territorio dello Stato, ovvero almeno 183 giorni nell’anno solare che diventano 184 giorni se l’anno è bisestile.
Questa appena citata è la regola generale, a cui aggiungere uno dei seguenti requisiti:
- il contribuente deve risultare iscritto all’anagrafe comunale della popolazione residente (il cosiddetto criterio formale);
- il contribuente ha il domicilio civilistico in Italia (criterio sostanziale);
- il contribuente ha la residenza anagrafica in Italia.
Di conseguenza, è sufficiente la presenza di una sola delle condizioni appena elencate, affinché il cittadino venga considerato fiscalmente residente in Italia.
Per quanto concerne le persone giuridiche, secondo quanto sancito dall’articolo 3 del TUIR una società viene considerata residente in Italia se:
- la sede legale o, in sua assenza, la sede amministrativa risulta stabilita per almeno 183 giorni (anno solare) sul territorio dello Stato.
L’importanza della residenza fiscale
Se il domicilio fiscale è il riferimento per stabilire quale ufficio tributario ha diritto di controllo e intervento sul contribuente, la residenza fiscale risulta invece fondamentale per individuare i contribuenti che hanno l’obbligo di versare le imposte nelle casse dell’Erario italiano.
Per una persona che vive e lavora in Italia e produce tutti i sui redditi sul territorio dello Stato, questo concetto può anche avere una rilevanza secondaria. Il discorso cambia radicalmente per chi genera reddito all’estero o vuole trasferirsi oltre i confini nazionali. Infatti, il cosiddetto principio del Wordwide Taxation basa le proprie fondamenta sul concetto di residenza fiscale. Di conseguenza, un contribuente che risulta residente fiscalmente in Italia deve dichiarare tutti i redditi al Fisco del nostro Paese, a prescindere dallo Stato in cui gli stessi vengono generati o incassati.
La residenza fiscale per contribuenti all’estero
Arrivati a questo punto è piuttosto chiaro che finché risultiamo fiscalmente residenti in Italia, al Fisco poco importa se lavoriamo all’estero oppure produciamo il reddito in un altro Paese: a fine anno dovremo comunque inserire tutti gli importi conseguiti in dichiarazione dei redditi, a prescindere da dove li abbiamo generati. Per evitare questa situazione il primo step è trasferire la residenza all’estero, effettuando le seguenti operazioni:
- cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente;
- inscrizione all’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero (AIRE).
Non è comunque sufficiente una semplice “iscrizione” per convincere l’Agenzia delle Entrate; infatti è richiesto al soggetto di passare la maggior parte dell’anno nella sua nuova residenza in terra straniera (almeno 183 giorni), ovvero aver effettivamente trasferito la propria dimora abituale. A tale scopo, potrebbe essere richiesto al soggetto di esibire prove concrete come, ad esempio, un contratto di locazione, l’acquisto di un’abitazione, un certificato di matrimonio, una busta paga, il pagamento delle utenze domestiche oppure delle rette scolastiche dei figli. Tutti i documenti, se richiesti, dovranno essere opportunamente tradotti e presentati rispettando altre incombenze di natura burocratica.
Se l’Amministrazione Finanziaria dovesse ritenere che il contribuente abbia dimorato per un numero insufficiente di giorni nel Paese estero, i redditi conseguiti nel periodo d’imposta andranno dichiarati in Italia. Rispettando invece i requisiti, i redditi prodotti sul territorio del nuovo Stato di residenza saranno assoggettati al regime impositivo locale, mentre eventuali redditi generati in Italia dovranno sempre essere dichiarati al Fisco.
Iscrizione all’AIRE: non sufficiente per il cambio di residenza fiscale
La cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e la successiva iscrizione all’AIRE è il primo passo, senza il quale il Fisco continuerà a considerare il soggetto fiscalmente residente in Italia, con tutti gli oneri contributivi che ne derivano.
Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate è stata molto chiara al riguardo specificando che:
- l’iscrizione all’AIRE è una condizione necessaria ma non sufficiente per perdere la residenza in Italia;
- l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente è invece una condizione sufficiente per essere considerati residenti in Italia.
Di conseguenza, possiamo anche iscriverci all’AIRE, ma agli occhi del Fisco potremmo rimanere contribuenti con residenza fiscale in Italia. Sono ritenuti comportamenti sospetti il mantenere sul territorio dello Stato rilevanti interessi economici o affettivi (ad esempio la famiglia dimora ancora in Italia).
Anche nel caso in cui il cittadino abbia scelto come destinazione paradisi fiscali o Paesi inseriti nella black list (con sistemi impositivi particolarmente vantaggiosi), sarà piuttosto difficile convincere l’Agenzia delle Entrate di risiedere effettivamente in queste Nazioni. Seri problemi potrebbero presentarsi anche a seguito del trasferimento in Stati senza regimi impositivi particolarmente favorevoli, qualora l’Amministrazione Finanziaria riuscisse a dimostrare che il soggetto non ha vissuto abitualmente nel nuovo Paese, ma soltanto in modo fittizio.
L’argomento del trasferimento della residenza fiscale all’estero è alquanto delicato ed estremamente complicato. Non per nulla molti consulenti si occupano unicamente di questa materia, in cui il limite tra un comportamento legittimo e situazioni legate a fenomeni di evasione fiscale o emigrazione fittizia è molto sottile. Inoltre, non bisogna nemmeno scordare il discorso relativo alle Convenzioni internazionali stipulate dai vari Paesi, Italia compresa, per evitare doppie imposizioni sui redditi prodotti e pertanto, prima di prendere decisioni affrettate, sarebbe bene parlarne con un esperto in materia di fiscalità internazionale.
Il cambio del domicilio fiscale
Per cambiare il domicilio fiscale è necessario presentare una specifica istanza all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate in una delle seguenti forme:
- cartacea: il modulo, disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate, va compilato e consegnato all’ufficio competente. In alternativa, sarà possibile spedirlo per posta tramite raccomandata con ricevuta di ritorno;
- telematica: basta accedere all’area personale del sito dell’Amministrazione Finanziaria, compilare la domanda e inoltrarla. In questo caso sarà necessario possedere il PIN rilasciato dall’Agenzia, oppure utilizzare lo SPID.
Ricordiamo che il cambiamento di domicilio fiscale ha effetto dopo 30 giorni dall’invio della domanda (termine valido per entrambe le forme).
Cambio di residenza: cosa succede in mancanza di comunicazione?
Ogni cittadino ha l’obbligo di comunicare alle autorità il cambio di residenza, altrimenti il soggetto può incorrere nel reato di falso in atto pubblico. La mancata comunicazione potrebbe anche portare ad una pena detentiva, ma solitamente vengono applicate soltanto sanzioni amministrative e civili.
Nel momento in cui un cittadino si iscrive all’anagrafe comunale, quindi comunica l’indirizzo dove ha deciso di stabilire la propria dimora abituale, spetta all’ufficio competente accertare la veridicità di tale condizione. In presenza di un cambio di residenza, gli agenti della polizia municipale, oppure i funzionari incaricati dal Comune, possono effettuare accertamenti entro 45 giorni dalla comunicazione. Se nel corso delle verifiche emergono irregolarità rispetto alla dichiarazione resa dal cittadino, parte una segnalazione all’Autorità di Pubblica Sicurezza.
Comunicare una residenza non veritiera costituisce reato di falso in atto pubblico
Il funzionario dell’anagrafe è un Pubblico Ufficiale, perciò il cittadino che dichiara il falso, oppure comunica dati errati, commette reato di falso in atto pubblico. La violazione è disciplinata dall’articolo 483 del Codice Penale e prevede la reclusione fino ad un massimo di due anni.
Cosa accade comunicando un indirizzo inesistente?
Nella malaugurata ipotesi che un cittadino decida di comunicare all’anagrafe un indirizzo falso o inesistente, le conseguenze sarebbero piuttosto serie: la persona in questione verrebbe cancellata dall’anagrafe comunale e dichiarata irreperibile. Il Comune potrebbe procedere in tal senso a seguito della segnalazione da parte di un ufficiale giudiziario, postino, datore di lavoro, INPS o qualunque altro soggetto. In pratica, verrebbe accertata l’impossibilità di ricevere comunicazioni, notifiche o atti giudiziari da parte del soggetto, per cui il Comune potrà disporre la definitiva cancellazione dall’anagrafe di chi ha dichiarato un indirizzo inesistente.
La condizione di irreperibilità non è affatto positiva, anzi comporta come effetto immediato l’invio di tutte le notifiche presso la casa comunale. Ciò significa che ogni comunicazione viene considerata conosciuta come se fosse stata ricevuta dal diretto interessato: costui non avrà possibilità di difendersi dalle pretese a suo carico derivanti da cartelle esattoriali, raccomandate dei creditori, multe, atti giudiziari, ecc.
Verifica della residenza da parte dell’Agenzia delle Entrate
La comunicazione di falsa residenza è spesso un espediente utilizzato per evitare il pagamento delle imposte. Ecco spiegato il motivo per cui i controlli per accertare la veridicità della dimora abituale non vengono eseguiti unicamente dalla Polizia Municipale, ma anche, e non di rado, dall’Agenzia delle Entrate. L’Autorità Finanziaria interviene in presenza di situazioni ritenute anomale, ovvero cambi fittizi o poco chiari di residenza allo scopo di eludere il Fisco.
In questi casi il rischio maggiore è la revoca della residenza e con essa tutte le eventuali agevolazioni fiscali concesse. Inoltre, accertata l’irregolarità, l’Amministrazione Finanziaria potrebbe richiedere il pagamento delle imposte dovute e non versate quali, ad esempio, l’IMU sulla prima casa.
Abbiamo già visto come anche il cittadino che si iscrive all’AIRE per trasferire la residenza all’estero, rappresenta una situazione a cui l’Agenzia delle Entrate presta particolare attenzione. I funzionari eseguono scrupolosi controlli per accertare che il soggetto abbia stabilito realmente la dimora abituale in un altro Stato, anziché fingere il trasferimento al fine di evitare la tassazione dei redditi in Italia.
Individuare una residenza di comodo
Nonostante i numerosi tentativi di creare residenze fittizie per aggirare il sistema tributario, non è poi così difficile scoprire una cosiddetta residenza di comodo. Solitamente vengono scelte le seconde case, situate in zone di villeggiatura, come finta dimora abituale. All’Agenzia delle Entrate è spesso sufficiente effettuare un semplice controllo dei consumi delle utenze domestiche, per rendersi conto di una situazione quantomeno anomala e meritevole di accertamenti. Infatti una dimora, per essere considerata abituale, richiede la presenza stabile per almeno 183 giorni l’anno, di conseguenza i consumi di luce, acqua e gas non possono risultare di certo troppo bassi o addirittura pressoché nulli
Il Comune, qualora accertasse una residenza di comodo, ha il potere di richiedere al contribuente il versamento dell’IMU dovuta e di altre tasse non versate. Tuttavia, per il pagamento degli arretrati relativi alle imposte patrimoniali, il periodo di riferimento è limitato agli ultimi 5 anni. Oltre questo lasso temporale il debito arretrato, e non ancora richiesto, finisce in prescrizione.
Obbligo di reperibilità
Concludiamo quest’articolo sottolineando come il cittadino abbia l’obbligo per legge di rendersi reperibile, non tanto verso i soggetti privati, quanto nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni e verso l’Amministrazione Finanziaria. Le condotte illecite che abbiamo visto parlando delle false residenze, molte volte non portano a nessuna conseguenza pecuniaria né tantomeno penale. Il motivo è da ricercare nell’inefficienza della pubblica amministrazione (spesso i controlli per accertare la residenza non vengono nemmeno effettuati) ed è da una sorta di tacito assenso delle autorità comunali che trovano vantaggioso aumentare il numero dei residenti, seppur fittizio.
Tutto ciò non deve far dimenticare che dichiarare una falsa residenza all’ufficio anagrafe comunale è un reato penale punibile con sanzioni amministrative e, in taluni casi, anche con la reclusione. Perciò è sempre buona norma pensarci due volte quando si pensa di trasferire la residenza e ricordarsi di effettuare la comunicazione entro i termini previsti dalla legge.
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