Come dichiarare e tassare i redditi prodotti all’estero in italia

Sempre più connazionali decidono di trasferirsi all’estero per cogliere nuove opportunità di lavoro, investire in attività economiche oltreconfine, o solo per godersi la pensione in Paesi con un minor costo della vita e, soprattutto una fiscalità più leggera. Situazioni che anni fa erano un’evenienza piuttosto remota, oggi invece rappresentano quasi l’ordinaria amministrazione.

Uno dei dubbi principali che assale gli espatriati italiani è quello di “come dichiarare i redditi esteri“. Una lecita domanda che sarebbe opportuno porsi prima ancora di andare oltre confine, anziché aspettare il momento di compilare la dichiarazione. In questa fase è indispensabile sapere se il reddito estero dev’essere tassato in Italia, oppure è sufficiente dichiararlo nel Paese in cui è stato prodotto, ovvero applicando il cosiddetto principio dello Stato della Fonte.

La logica porta a pensare che vivendo e lavorando in una Nazione straniera, e non avendo più nulla a che spartire con l’Italia, anche dal punto di vista fiscale si sia tenuti a rispondere solo al sistema tributario dello Stato in cui viene generato il reddito. Purtroppo, la logica non va sempre a braccetto con la fiscalità e la situazione è più complicata di quanto si possa immaginare. Comportarsi in maniera superficiale porta solo ad errori nella dichiarazione dei redditi esteri, con conseguente comunicazione di irregolarità e avviso di accertamento fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate.

A prescindere dalla buona fede del contribuente, spesso le violazioni sui redditi dichiarati all’estero sono legate a tentativi di evasione ed elusione fiscale, quindi l’Amministrazione Finanziaria è quantomai vigile. Motivo in più per prestare massima attenzione in modo da evitare pesanti sanzioni, oppure vedersi tassato due volte lo stesso reddito.

Vediamo di capire quali siano i corretti comportamenti fiscali da adottare in presenza di redditi esteri, quali normative disciplinano tali situazioni e quando viene applicata la doppia imposizione.

Indice:

 

Comprendere il significato di residenza fiscale

Per non partire subito col piede sbagliato e dichiarare in modo scorretto i redditi percepiti all’estero, è fondamentale comprendere il significato di residenza fiscale. Spetta all’articolo 2, comma 2 del DPR n. 917/86 del TUIR definire un soggetto con residenza fiscale in Italia e sottoposto a tassazione IRPEF, come quel contribuente che per la maggior parte del periodo d’imposta risiede sul territorio dello Stato, oppure risulta iscritto nell’anagrafe della popolazione residente.

In pratica ciò significa che la residenza fiscale in Italia è riconosciuta qualora il soggetto, per almeno 183 giorni in un anno, soddisfa uno dei seguenti requisiti:

  • risulta iscritto all’anagrafe della popolazione residente;
  • ha il domicilio in Italia;
  • ha la residenza in Italia.

Come si nota la residenza fiscale non dipende dall’età, dal sesso, dallo stato civile del contribuente e nemmeno dal possesso o meno della cittadinanza. Ricordiamo inoltre che per domicilio si intende il luogo in cui viene stabilita la sede principale degli affari e interessi di natura morale, familiare o sociale. La residenza è invece la condizione di stabile permanenza in un determinato Stato, con l’intenzione di rimanervi.

I tre requisiti sopra elencati per essere considerati residenti fiscalmente in Italia non devono coesistere, ma ne basta solo uno. Per rendere più chiaro il concetto facciamo un piccolo esempio:  supponiamo che una persona lavori all’estero e risulti regolarmente iscritta all’AIRE, ma la sua famiglia risiede ancora in Italia. In tale situazione, i suoi familiari rappresentato il motivo per cui il soggetto è da considerarsi fiscalmente residente in Italia. Infatti al centro dei propri interessi patrimoniali e sociali c’è il mantenimento dei legami familiari, di conseguenza il suo domicilio rimane in Italia e, di conseguenza, tutti i redditi ovunque prodotti dal contribuente, iscritto all’Aire, saranno soggetti a tassazione in Italia sulla base del principio di tassazione del principio mondiale.

 

Trasferimento in un Paese appartenente alla black list

I Paesi a fiscalità privilegiata, ovvero i cosiddetti paradisi fiscali, sono inseriti in uno specifico elenco chiamato black list. L’Agenzia delle Entrate provvede ad aggiornare periodicamente la lista nera e l’ultimo intervento è datato 14 novembre 2019, secondo le disposizioni dell’Unione Europea.

La legge di certo non vieta ad un soggetto di stabilirsi in una di queste Nazioni, ma è doveroso sapere che l’articolo 2 del TUIR ha pensato bene di introdurre l’obbligo di presunzione legale per la residenza fiscale in Italia per coloro che si trasferiscono in un Paese appartenente alla black list.

A tale scopo, l’elenco dei paradisi fiscali preso in considerazione è quello stabilito dal Decreto Ministeriale del 4 Maggio 1999. Dalla lista è stata eliminata la Repubblica di San Marino in seguito alle modifiche introdotte dal Decreto n. 45 del 24 febbraio 2014.

In pratica, la normativa impone ad un soggetto che si trasferisce stabilmente in un Paese della black list, di presentare prove inconfutabili che contrastino la presunzione di fittizia residenza all’estero. Il motivo è dovuto al fatto che, nella maggior parte dei casi, il cambio di residenza fiscale ha il solo scopo di adottare particolari meccanismi di evasione ed elusione fiscale. Quindi il soggetto deve dimostrare sia la sua buona fede e che il trasferimento sia effettivamente legato a motivazioni lecite e non per aggirare il Fisco.

Qualora il contribuente fosse iscritto all’AIRE e cancellato dall’anagrafe della popolazione residente, deve comunque rispettare la presunzione di residenza in Italia. Di conseguenza, dovrà portare prove molto dettagliate e precise che convincano l’Agenzia delle Entrate a validare la residenza fiscale all’estero in un Paradiso Fiscale.

 

Tassazione dei redditi: il principio della World Wide Taxation

Il sistema tributario della maggior parte dei paesi si basa sul principio della cosiddetta World Wide Taxation, ovvero la tassazione dei redditi su base mondiale. L’Italia non fa eccezione così come stabilito dall’articolo 3 del DPR n. 917/86.

Una disposizione piuttosto semplice che stabilisce come un soggetto fiscalmente residente debba dichiarare tutti i suoi redditi in Italia, indipendentemente da dove essi siano stati percepiti. In buona sostanza, i redditi devono essere dichiarati nel Paese in cui il contribuente ha la propria residenza fiscale, senza preoccuparsi del luogo dell’effettiva produzione.

Se invece, il soggetto è ritenuto non fiscalmente residente in Italia ha l’obbligo di dichiarare solo i redditi percepiti sul territorio dello Stato italiano, ovvero applicare il principio della tassazione secondo lo Stato della Fonte.

 

Redditi esteri: quando si rischia la doppia imposizione

Visto quanto stabilito dal World Wide Taxation Principle, la regola generale impone alla persona fisica residente fiscalmente in Italia che percepisce redditi esteri, di dichiararli al Fisco. Ci sono però circostanze che, causa una particolare normativa fiscale dello Stato estero, obbligano il contribuente a dichiarare i redditi anche nel suddetto Paese.

Siamo difronte al fenomeno della cosiddetta doppia imposizione applicata sul medesimo reddito. Non è affatto una rarità che il contribuente con redditi esteri sia costretto a dichiararli in Italia e, nel contempo, subire l’imposizione tributaria dello Stato della Fonte.

Al fine di evitare la doppia imposizione sono state create speciali convenzioni interazionali tra i vari Paesi. Gli Stati contraenti possono così regolare la propria potestà impositiva per evitare che il soggetto veda tassato due volte il medesimo reddito o patrimonio. Si tratta di accordi che l’Italia ha stabilito nel corso degli anni con moltissimi Paesi europei ed extra UE, anche con lo scopo di prevenire fenomeni di evasione ed elusione fiscale grazie alla cooperazione tra le Amministrazioni Finanziarie.

 

Il meccanismo del credito d’imposta per redditi esteri

Il sistema tributario italiano offre la possibilità al contribuente con redditi percepiti all’estero, di poter beneficiare di un credito d’imposta ai fini IRPEF o IRES. Ciò significa che può vantare un credito nel caso di imposte sui redditi già assolte all’estero.

L’Agenzia delle Entrate ha però stabilito l’impossibilità di tale applicazione qualora le imposte, già versate nel Paese straniero, risultino in relazione a redditi esteri sottoposti in Italia a ritenuta a titolo di imposta, oppure a imposta sostitutiva.

Nello specifico è il comma 1 dell’articolo 165 del DPR n. 917/86 a stabilire le condizioni per poter fruire di un credito d’imposta per redditi esteri. Secondo questa normativa è necessario che:

  • il reddito prodotto all’estero risulti individuato dalle Convenzioni contro la doppia imposizione: solo i redditi previsti da tali accordi internazionali possono essere oggetto di credito per le imposte già versate all’estero;
  • il reddito generato all’estero deve concorrere alla formazione del reddito imponibile in Italia: come abbiamo già sottolineato ciò significa che il credito riguarda le sole imposte versate nel Paese straniero per ogni reddito estero assoggettato a ritenuta a titolo di imposta in Italia, o imposta sostitutiva. Ne consegue che sono esclusi i redditi di capitale a seguito di partecipazione al patrimonio di una società non residente. È altresì impossibile utilizzare i redditi di capitale percepiti direttamente all’estero. Ciò si riferisce ai dividenti di società estere di paesi non inseriti nella black list, i quali concorrono alla formazione del reddito imponibile nella misura del 5% del loro ammontare. Quindi per i dividenti non si può beneficiare di nessun credito di imposta, bensì verranno tassati in Italia considerando l’importo al netto dell’imposta estera già assolta;
  • il credito d’imposta viene attribuito in base al periodo d’imposta in cui i redditi esteri concorrono a formare il reddito imponibile: così facendo credito e periodo d’imposta sono sempre perfettamente correlati. Chiaramente, tale condizione è valida qualora il versamento delle imposte estere avviene entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, riferita al successivo primo periodo d’imposta.

 

Conseguenze dell’iscrizione all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’estero

Un aspetto di fondamentale importanza per stabilire l’effettiva residenza fiscale di un cittadino italiano trasferito all’estero è l’iscrizione all’AIRE.

L’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero è un istituto introdotto con la Legge n. 470/88, allo scopo di regolarizzare la posizione degli italiani che, per i più svariati motivi, decidono di vivere in un Paese straniero. È bene subito precisare come per “Paesi esteri” si intendano anche tutti gli Stati membri dell’Unione Europea.

L’AIRE è un registro pubblico gestito da ciascun Comune, con la finalità di raccogliere i dati degli espatriati italiani che hanno stabilito la loro fissa dimora all’estero per un periodo pari o superiore a 12 mesi. Il soggetto che decide di trasferire la residenza all’estero deve comunicarlo, tramite apposita dichiarazione, all’Ufficio anagrafe del proprio Comune. La modulistica dev’essere consegnata entro 90 giorni dall’avvenuto cambio di residenza.

L’iscrizione all’AIRE è un diritto/dovere del cittadino, nonché un obbligo di legge con procedura completamente gratuita. La diretta conseguenza è l’immediata cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente nel proprio Comune. Quindi si perde la residenza anche a livello fiscale in Italia, ma non la cittadinanza. Dopo l’iscrizione, tutte le eventuali comunicazioni, raccomandate o notifiche non saranno più spedite al vecchio indirizzo, bensì inviate all’estero al recapito indicato nella dichiarazione.

In definitiva, l’iscrizione all’AIRE è la condizione indispensabile per perdere la residenza fiscale in Italia ed evitare il rischio di doppia imposizione sui redditi esteri. Ad esempio, se un lavoratore italiano all’estero con stabile dimora per più di 12 mesi in un Paese straniero decide di non iscriversi all’AIRE, per il sistema tributario italiano possiede ancora la residenza fiscale in Italia e dovrà inserire i redditi percepiti all’estero nella dichiarazione da presentare al Fisco. Sono esentati dall’obbligo d’iscrizione all’AIRE chi si trasferisce per un periodo inferiore ai 12 mesi, lavoratori stagionali, dipendenti statali e militari in servizio presso una struttura NATO.

 

Tassazione dei redditi per un soggetto iscritto all’AIRE

Un cittadino per essere considerato fiscalmente residente all’estero deve iscriversi all’AIRE. Tuttavia è solo una disposizione di natura formale ma non sostanziale. Perché tale condizione di italiano residente all’estero abbia validità, il soggetto deve vivere stabilmente nel Paese straniero per almeno 183 giorni, ossia la maggior parte del periodo d’imposta. In questo modo, sarà considerato dall’Amministrazione Finanziaria residente fiscalmente all’estero, avendo così facoltà di dichiarare al Fisco solo eventuali redditi prodotti in Italia e non quelli conseguiti nel nuovo Paese di residenza.

Ci sono però altri due aspetti da considerare. L’Agenzia delle Entrate è molto attenta a queste situazioni poiché spesso legate a meccanismi di evasione o elusione fiscale; perciò verifica che il soggetto abbia spostato all’estero anche gli interessi di natura familiare ed economica. Iscriversi all’AIRE e avere la famiglia residente in Italia sono due condizioni contrastanti che spesso impediscono di assumere la qualifica di residente all’estero. Inoltre ,è importante controllare la data di iscrizione all’AIRE e, più precisamente, quando è avvenuta l’accettazione della domanda. Il motivo è capire se nell’anno relativo all’iscrizione il soggetto risulta o meno con residenza fiscale in Italia.

 

Redditi esteri: come presentare la dichiarazione dei redditi

I possibili scenari sono due:

  • soggetto con residenza fiscale all’estero: se il contribuente rispetta tutte le condizioni richieste per essere considerato fiscalmente residente in un Paese straniero, dovrà dichiarare i redditi solo nello Stato di residenza e pagare le imposte secondo il vigente sistema tributario. Non ha alcun obbligo di dichiarare i redditi esteri in Italia ma, eventualmente, solo quelli ottenuti da fonti italiane;
  • soggetto con residenza fiscale in Italia: in questo caso, il contribuente, pur risiedendo all’estero, non dispone di tutti i requisiti necessari per ottenere la residenza fiscale nel Paese straniero. In tali circostanze è obbligato a dichiarare i redditi esteri in Italia e, al contempo, subire anche la tassazione presso lo Stato ospitante. L’unico modo per evitare la doppia imposizione è quella di una eventuale sussistenza di specifici trattati bilaterali sottoscritti dal Governo italiano con il Paese ospitante. Al contrario, il soggetto dovrà dichiarare i redditi sia in Italia che nello Stato estero sfruttando il Modello Redditi Persone Fisiche. Come abbiamo visto, è possibile che il contribuente possa recuperare i tributi versati all’estero, fruendo di un credito d’imposta.

 

Come stabilire se un reddito è di fonte estera?

Appurati quali siano requisiti e le condizioni per acquisire la residenza fiscale all’estero e applicare il conseguente trattamento tributario, vediamo di capire quando un reddito è considerato o meno di fonte estera. I criteri di collegamento per stabilire se un reddito è prodotto in Italia sono disciplinati dall’articolo 23 del TUIR secondo le seguenti disposizioni:

  • reddito fondiario: qualora deriva da un immobile ubicato sul territorio italiano;
  • reddito da lavoro autonomo o dipendente: la prestazione lavorativa dev’essere svolta in Italia;
  • reddito di capitale: se il soggetto erogante ha residenza in Italia;
  • reddito d’impresa: l’azienda deve avere in Italia una stabile organizzazione;
  • redditi diversi: dipende dal luogo in cui si trovano i beni o deve viene svolta l’attività lavorativa;
  • reddito da partecipazione imputato per trasparenza: la società di persone o capitale deve avere residenza fiscale in Italia.

Sono invece ritenuti redditi prodotti all’estero se:

  • il bene da cui deriva si trova all’estero;
  • l’attività economica è stata svolta in un Paese straniero;
  • il soggetto che ha corrisposto i redditi ha residenza fiscale all’estero.

 

Problematiche operative derivanti dalla doppia imposizione

Abbiamo visto come esista la concreta possibilità che un contribuente residente fiscalmente in Italia, ma con redditi conseguiti all’estero, possa essere sottoposto a doppia imposizione. Un fenomeno ancor più probabile qualora nello Stato estero venga applicata:

  • la tassazione del reddito in base al presupposto di collegamento personale con lo Stato;
  • la tassazione basata su criteri di collegamento territoriale.

Seguendo tali, principi si possono verificare situazioni di doppia imposizione. Prendiamo, ad esempio, un contribuente con residenza fiscale in Italia che produce parte del proprio reddito all’estero. Subirà una doppia imposizione dovuta ad una prima tassazione nello Stato estero dov’è generato il reddito per via del criterio sul collegamento territoriale, e una seconda tassazione in Italia per l’applicazione del criterio di collegamento personale. Quindi lo stesso reddito potrebbe essere sottoposto a doppia imposizione in capo al medesimo soggetto.

 

Reddito estero da lavoro dipendente: come viene tassato?

Secondo quanto stabilito dal Worldwide Taxation Principle ( ‘‘principio della tassazione mondiale’’ ), un soggetto fiscalmente residente in Italia, ma con attività lavorativa svolta all’estero, deve pagare le imposte in Italia anche su redditi prodotti in uno Stato estero.  Questo salvo che non si possano applicare le Convenzioni contro la doppia imposizione stipulate tra l’Italia e il Paese straniero.

In tal senso, l’Italia basa gli accordi contro la doppia imposizione prendendo come ispirazione il Modello OCSE e, in particolare, l’articolo 15 che disciplina la ripartizione della potestà impositiva per i redditi da lavoro subordinato all’estero. In particolare è stabilito che:

“i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato”

Tuttavia, le remunerazioni che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente svolta nell’altro Stato contraente sono imponibili soltanto nel primo Stato. Questo a condizione che:

  • il lavoratore dipendente soggiorni nell’altro Stato per un periodo non superiore ai 183 giorni nel corso del periodo di imposta preso a riferimento;
  • le remunerazioni vengano pagate da un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato;
  • L’onere di pagare le remunerazioni non è sostenuto da un datore di lavoro con stabile organizzazione o base fissa nello Stato in cui si svolge l’attività.

 

Tassazione esclusiva nello stato di residenza del lavoratore

Derogando il principio sopra esposto, il paragrafo 2 dell’art. 15 del modello OCSE prevede, che a determinate e particolari condizioni, subentri l’esenzione dalla tassazione nello Stato in cui viene svolta l’attività di lavoratore subordinato. Tassazione che avverrà nel solo Stato di residenza del lavoratore.

E’ possibile che il lavoratore dipendente venga tassato solamente nello Stato di residenza quando si verificano tutte le seguenti condizioni:

  • il lavoratore soggiorni nello Stato in cui esercita l’attività di lavoro dipendente per un periodo inferiore a 183 giorni nel corso di un periodo di 12 mesi;
  • le remunerazioni vengano pagate da un datore di lavoro non residente nello Stato dove viene svolta l’attività di lavoro dipendente;
  • le stesse remunerazioni non siano pagate da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro dispone nello Stato in cui viene svolta l’attività;

La deroga all’articolo 15 del Modello OCSE consente da una parte che prestazioni di lavoro dipendente per brevi periodi svolte in uno Stato estero non assumano particolare rilevanza fiscale in entrambi gli Stati e che il contribuente renda conto del proprio operato fiscale esclusivamente ad un unico ordinamento tributario, ovvero quello dello Stato di residenza.

Riepilogando quanto appena detto:

  • se il lavoratore dipendente svolge un periodo di permanenza all’estero fino a 183 giorni e il datore di lavoro è italiano, i suoi compensi saranno tassati solo in italia;
  • se il lavoratore dipendente svolge un periodo di permanenza all’estero fino a 183 giorni e il datore di lavoro è straniero, i suoi compensi saranno tassati sia in Italia che all’estero;
  • se il lavoratore dipendente svolge un periodo di permanenza all’estero oltre i 183 giorni e il datore di lavoro è italiano , i suoi compensi saranno tassati sia in Italia che all’estero;
  • se il lavoratore dipendente svolge un periodo di permanenza all’estero oltre i 183 giorni e il datore di lavoro è straniero, i suoi compensi saranno tassati sia in Italia che all’estero;

In conclusione possiamo dire che la regola generale per la tassazione del lavoro dipendente all’estero si basa sia sul principio dello Stato alla Fonte che della residenza del contribuente. Perciò i redditi esteri da lavoro dipendente sono sottoposti a doppia imposizione in Italia e nel Paese estero dov’è stata erogata la prestazione.

Le Convenzioni non stabiliscono che la potestà impositiva possa essere applicata da un unico Stato tra i due contraenti, di conseguenza spetta e norme convenzionali, oppure interne, cercare di porre rimedio, così da evitare la doppia imposizione economica dei redditi da lavoro dipendente prodotti all’estero.

 

Come vengono tassati i redditi prodotti da lavoro autonomo all’estero

Il professionista con residenza fiscale in Italia deve dichiarare i redditi per prestazioni svolte all’estero solo in Italia. Tuttavia, qualora avesse una base fissa nel Paese straniero dove esercita la professione, i redditi saranno sottoposti a tassazione anche nello Stato estero. A stabilirlo è l’articolo 14 della Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni. Quindi fanno testo lo Stato di residenza fiscale del professionista e l’assenza o meno di una stabile base lavorativa all’estero.

 

Tassazione redditi fondiari prodotti all’estero

La tassazione derivante da beni immobili detenuti all’estero è disciplinata dall’articolo 6 del Modello OCSE il quale stabilisce:

  • per beni immobili si devono intendere quelli classificati dalla legge vigente nello Stato contraente;
  • la tassazione dei redditi è collegata al luogo dov’è ubicato il bene immobile. In generale, l’imposizione tributaria è applicata nello Stato in cui sono situati i beni immobili da cui deriva il reddito;
  • siccome nella legge manca la locuzione “esclusivamente nello Stato in cui sono situati gli immobili da cui deriva il reddito“, ne deriva che tali redditi subiranno una doppia imposizione venendo tassati sia nello Stato in cui è ubicato l’immobile che in quello di residenza del contribuente.

E utile precisare che riguardo all’Italia, se il reddito derivante da una eventuale locazione estera viene tassato direttamente nello Stato estero, lo stesso dovrà essere tassato anche in Italia senza alcuna deduzione di spese. Spetterà però un credito per le imposte pagate all’estero.

Se invece il reddito derivante da una locazione estera non venisse tassato direttamente nello Stato estero, sarà possibile applicare in Italia la deduzione forfettaria del 5% ai fini IRPEF.

 

Tassazione reddito di impresa all’estero

Spetta all’articolo 7 del Modello OCSE definire la tassazione del reddito di impresa conseguito all’estero. La regola generale impone il pagamento delle imposte nello Stato di residenza fiscale dell’impresa. L’unica eccezione è prevista qualora nell’altro Stato contraente (diverso da quello della sede dell’impresa) sia presente una stabile organizzazione, il che comporta la tassazione del reddito d’impresa proprio nel suddetto Paese.

Il punto su cui discutere è come identificare una stabile organizzazione e quale reddito imputarle. Si dovrà tenere conto di ogni funzione svolta, i beni impiegati, nonché i rischi assunti dall’impresa attraverso la stabile organizzazione. Nel reddito attribuito sono computati sia profitti che perdite e risulta quello prodotto considerando la stabile organizzazione come un’impresa indipendente operante nelle medesime condizioni e svolgendo le stesse attività.

 

Tassazione redditi per attività lavorativa a bordo di navi o aerei

L’attività lavorativa deve avvenire a bordo di navi o aerei che svolgono traffico internazionale, oppure su battelli per il trasporto in acque interne. Per traffico internazionale si intende qualsiasi trasporto marittimo, o aereo, gestito da un’impresa con sede in uno dei Paesi contraenti, oppure verso località appartenenti all’altro Stato contraente.

In queste particolari situazioni, i redditi sono imponibili nello Stato in cui è ubicata la sede della direzione effettiva dell’impresa. L’articolo 8 del Modello OCSE, tuttavia, offre l’opportunità ai due Paesi contraenti di spartire la potestà impositiva. Quindi, viene applicato un metodo misto in cui allo Stato dove si trova la struttura operativa dell’impresa spetta la tassazione dei redditi, mentre allo Stato di residenza l’applicazione di quanto previsto per eliminare la doppia imposizione.

Nel caso in la sede dell’impresa che svolge l’attività di trasporto internazionale si trovi direttamente a bordo di una nave o battello, la Stato da prendere come riferimento per applicare la tassazione è quello del porto di provenienza oppure, in mancanza di identificazione, di residenza dell’esercente della nave o del battello.

 

Tassazione dei dividendi esteri

Passiamo ora ad analizzare la tassazione dei dividendi distribuiti da una società con residenza nello Stato A ad una società, o persona fisica, invece residente in uno Stato B.

Lo Stato A è quello dove si trova la sede dell’azienda che paga i dividendi, a cui la Convenzione OCSE attribuisce un potere impositivo sui dividendi stessi. Tuttavia, anche lo Stato B, quello di residenza del socio o dell’azionista, ha diritto di applicare la propria potestà impositiva.

Lo Stato della Fonte può applicare una tassazione nella misura pari a:

  • 5% dell’ammontare lordo dei dividendi per distribuzione di utili infragruppo, ovvero in presenza di una società con partecipazione nell’altra con quota di capitale di almeno il 25%;
  • 15% per dividendi relativi a partecipazioni di investimento;

In presenza di particolari accordi tra alcuni Paesi, la ritenuta sui dividendi infragruppo può essere ridotta fino ad essere azzerata. Così come avviene in base alla direttiva madre-figlia per dividendi infragruppo distribuiti all’interno dell’Unione Europea.

 

Tassazione interessi finanziari

Quando un ente con residenza in uno Stato eroga interessi ad un soggetto residente in un altro Stato, interviene l’articolo 11 del Modello OCSE a stabilire che i suddetti interessi sono sottoposti a tassazione solo nello Stato di residenza del beneficiario.

Negli interessi si possono includere anche i redditi che derivano da debiti di qualunque natura, anche se non garantiti da ipoteca, e il pagamento concorra o meno al diritto di partecipare agli utili. Ne consegue che rientrano tra questi anche gli interessi da titoli del debito pubblico, buoni, obbligazioni, nonché premi e frutti collegati a tali titoli.

Sono invece esclusi gli interessi relativi a penali per ritardato pagamento. In caso di obbligazione con diritto di partecipazione, gli interessi sono trattati al pari dei dividendi solo se il finanziamento non partecipa al rischio di impresa del debitore.

 

Tassazione delle royalties transnazionali

Le royalties sono i pagamenti versati ad un beneficiario per lo sfruttamento dei diritti d’autore di opere artistiche, scientifiche, letterarie o comunque derivanti dall’ingegno. Inoltre, riguardano anche lo sfruttamento di brevetti, marchi, formule segrete, disegni, nonché informazioni riguardanti esperienze industriali, commerciali e scientifiche.

In base a quanto stabilito dall’articolo 12 del Modello OCSE, le royalties internazionali sono tassate solo nello Stato di residenza dell’effettivo beneficiario. Alcuni Paesi, compresa l’Italia, hanno sollevato qualche dubbio sulla sola tassazione in seno allo Stato di residenza e pertanto hanno deciso di applicare una ritenuta sulle royalties in base a specifici accordi bilaterali. A tal proposito, l’Italia applica una ritenuta nella misura del 5% per le royalties in uscita nei confronti di beneficiari con residenza in Svizzera.

Un caso particolare riguarda i diritti d’autore pagati a sviluppatori di software da parte delle aziende distributrici. In tale situazione i pagamenti non sono considerati come royalties bensì come un reddito di impresa.

Anche i pagamenti a seguito di cessione dei diritti, ovvero il trasferimento della piena proprietà, non sono trattati fiscalmente come le royalties.

 

Tassazione del capital gain

Un investitore con residenza fiscale in Italia applica l’aliquota prevista dal sistema tributario italiano su plusvalenze o capital gain relativi a titoli esteri. Questo in maniera del tutto indipendente dalla nazionalità del soggetto che ha emesso le azioni o lo strumento finanziario. Quindi fa testo unicamente lo Stato di residenza fiscale del beneficiario del capital gain.

 

Sportivi e artisti: come vengono tassati i redditi prodotti all’estero?

I redditi percepiti da artisti e sportivi sono legati sia al principio dello Stato della Fonte che della residenza fiscale del contribuente, quindi assoggettati alla disciplina applicata nei Paesi coinvolti. La normativa fiscale internazionale ha stabilito apposite regole per evitare da una parte la doppia imposizione e dall’altra che i soggetti possano eludere il potere impositivo dei vari Stati.

Le norme sono stabilite dall’articolo 17 del Modello OCSE, a cui fa riferimento anche l’Italia per stipulare con i Paesi stranieri accordi al fine di disciplinare la tassazione dei redditi di sportivi e artisti. La normativa ha previsto apposite deroghe agli articoli 7 e 15 relativi alla tassazione dei redditi di impresa e da lavoro dipendente.

In pratica, i redditi prodotti a seguito di prestazioni sportive e artistiche a livello transnazionale sono tassati sia nello Stato delle Fonte dove viene svolta l’attività, che in quello di residenza del soggetto. Una soluzione adottata per evitare che l’artista, o lo sportivo, possa sfuggire all’imposizione proprio nello Stato della Fonte, visto che spesso le attività risultano di breve durata e non hanno la necessità di una stabile base d’affari.

 

Reddito da pensione per soggetti con residenza fiscale all’estero

La tassazione della pensione di un soggetto che ha residenza fiscale non più in Italia varia a seconda se il lavoratore è del settore privato oppure pubblico. Nel primo caso l’articolo 18 del Modello OCSE chiarisce come la pensione sia soggetta a tassazione solo nello Stato di residenza fiscale del beneficiario, senza alcun legame con il Paese dove a suo tempo è stata svolta l’attività lavorativa e maturati i requisiti previdenziali.

È invece l’articolo 19 del Modello OCSE a sancire le regole per la tassazione della pensione da lavoro pubblico. La legge prevede l’imposizione nello Stato di emissione della pensione, tuttavia è possibile applicare il regime tributario del Paese estero solo se il soggetto ha perso la nazionalità italiana e conseguito quella dello Stato in cui si è trasferito. Un’evenienza però non valida per i pensionati emigrati all’estero che hanno svolto lavoro dipendente presso una Pubblica Amministrazione.

 

Come recuperare le imposte versate all’estero

Ai sensi dell’articolo 165 comma 1 del DPR n. 917/86, il contribuente che ha già versato imposte nel Paese straniero sui redditi ivi prodotti e che concorrono a formare la base imponibile ai fini del calcolo delle imposte dirette in Italia, può applicare un’agevolazione fiscale. In altre parole, è possibile recuperare i tributi versati all’estero attraverso un credito d’imposta, compilando il quadro CE del Modello Redditi Persone Fisiche.

In realtà, il credito d’imposta potrebbe anche trasformarsi in una detrazione, e la scelta tra i due benefici fiscali dipende dal periodo di fruizione. Secondo quanto stabilito dalle convenzioni internazionali è necessario che l’agevolazione venga applicata nell’anno in cui sono state versate a titolo definitivo le imposte estere.

In tal senso si possono verificare le seguenti situazioni:

  • il pagamento delle imposte estere a titolo definitivo si verifica nel medesimo periodo di imposta della dichiarazione dei redditi in Italia. In questo caso il credito d’imposta si applica come una detrazione e non potrà superare l’importo dell’imposta netta da versare al Fisco;
  • il pagamento delle imposte estere a titolo definitivo si verifica in un periodo successivo quello della dichiarazione dei redditi in Italia. In tale circostanza l’agevolazione è costituita da un credito d’imposta.

 

Tassazione nel caso di redditi prodotti in più Stati esteri

Se il reddito complessivo deriva da fonti in più Stati stranieri, per stabilire l’ammontare della detrazione sarà necessario effettuare un calcolo separato per ogni Stato. Si dovrà ripetere il computo del credito d’imposta tante volte quanti sono i Paesi esteri in cui risulta essere stato percepito il reddito. Sommando ogni singolo valore si ottiene l’importo complessivo dell’agevolazione.

   

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2 Comments
PINO

Giugno 22, 2023 @ 17:12

Reply

UNO SCHIFO PROPRIO …..alla fine non conviene più lavorare meglio fare il BARBONE

UMBERT0

Novembre 27, 2022 @ 21:46

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salve,come e dove vengono tassati i redditi prodotti in italia,ma provenienti da una societa’ con sede legale all’estero…?
in quale sezione/quadro della precompilata vanno inseriti…?

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