Come ridurre le trattenute in busta paga grazie alle detrazioni

A nessuno piace pagare le tasse, anche se sono un dovere del cittadino e risultano indispensabili per sostenere le spese della comunità e di tutti gli organi dello Stato. Purtroppo, in Italia, il cuneo fiscale ha raggiunto percentuali da capogiro, costringendo le aziende a pagare un altissimo costo del lavoro a fronte di stipendi medi netti tra i più bassi d’Europa.

Una situazione ben nota a tutti i lavoratori dipendenti, che si vedono ogni mese decurtare dal compenso ricevuto cifre non certo indifferenti. Del resto, proprio nel nostro “Bel Paese”, la famigerata IRPEF ha raggiunto aliquote che portano la pressione fiscale tra le più alte al mondo, partendo dal 23% per i redditi bassi (fino a 15 mila euro), per arrivare fino al 43% per soggetti che dichiarano oltre 75 mila euro. All’IRPEF come sappiamo si sommano svariate altre imposte come i contributi previdenziali, le addizionali, ecc.

In questa situazione, il contribuente deve saper cogliere al volo ogni opportunità concessa dal Fisco per pagare meno tasse: una di queste sono le detrazioni per lavoro dipendente. Di seguito cercheremo di focalizzare la nostra attenzione su cosa siano tali agevolazioni, il sistema di calcolo e come il lavoratore le possa ottenerle.

Indice:

 

Quali imposte e contributi si pagano sulla busta paga?

Prima di analizzare le detrazioni è importante sapere quali tasse, contributi e imposte si celano all’interno di una busta paga. Il lavoratore dipendente riceve a fine mese lo stipendio in cui sono riportate le cifre relative al lordo e al netto corrisposto ma, molte volte, non conosce con precisione a cosa sono dovute le varie trattenute.

È necessario sottolineare come imposte e contributi previdenziali non gravino solo sul dipendente, ma anche in modo significativo sul datore di lavoro. Spesso, infatti, si sente dire che un lavoratore costa all’impresa quasi il doppio dello stipendio ricevuto: conti alla mano non è una leggenda metropolitana ma la triste realtà.

Una pesantissima imposizione fiscale che da una parte riduce sensibilmente i soldi a disposizione del lavoratore per sostenere le proprie spese, dall’altra non rappresenta di certo uno stimolo e un incentivo per le aziende ad assumere nuovo personale, soprattutto con contratti a tempo indeterminato.

Siamo arrivati al momento di vedere effettivamente quali siano le trattenute che ogni lavoratore è obbligato, suo malgrado, a versare alla fine del mese. Le tanto odiate voci sono inserite nella parte finale della busta paga che portano al calcolo della cifra netta percepita:

  • contributi previdenziali INPS a carico del lavoratore;
  • trattenute IRPEF;
  • addizionali IRPEF (sia regionali che comunali);
  • contributi INAIL.

Ma a questo salasso, a fare in parte da contraltare, ci pensano tutta una serie di detrazioni: da lavoro dipendente, ad esempio o per carichi familiari, e altre che andremo ad analizzare più avanti.

Per quanto riguarda i contributi previdenziali da versare all’INPS, vengono calcolati attraverso l’applicazione di un’aliquota sull’imponibile lordo. Si tratta di un contributo a carico, sia del datore di lavoro che del lavoratore dipendente. La quota a debito di quest’ultimo rappresenta la parte minore, tuttavia, la legge non impone al titolare d’impresa di dover indicare in busta paga l’esatto ammontare della trattenuta che, comunque, non è un valore fisso e uguale per tutti, ma varia a seconda della categoria di appartenenza del lavoratore.

Per sapere a quanto corrisponde l’aliquota, l’INPS mette a disposizione delle tabelle riassuntive da cui si desume che la percentuale applicata varia da un massimo di 9,49 punti percentuali, fino ad un minimo del 5,84%.

Al datore di lavoro spetta invece il versamento più consistente, ovvero circa il 33% e comprende anche i contributi assicurativi ed assistenziali.

L’altra voce che va a ridurre sensibilmente il lordo in busta paga è rappresentata dalla trattenuta IRPEF. Ormai ogni contribuente conosce bene come funziona il meccanismo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e quali siano le aliquote applicate in base al reddito dichiarato. Tuttavia, è sempre opportuno rinfrescare la memoria per sapere con esattezza a quale scaglioni si appartiene:

  • aliquota e trattenuta sono pari al 23% per i redditi fino a 15 mila euro;
  • per redditi compresi tra 15.001 e 28.000 euro la trattenuta è pari a 3.450 euro, + il 27% sulla parte eccedente i 15.000 euro;
  • per redditi compresi tra 28.001 e 55.000 euro la trattenuta è pari a 6.960 euro, + il 38% sulla parte eccedente i 28.000 euro;
  • per redditi compresi tra 55.001 e 75.000 euro la trattenuta è pari a 17.220 euro, + il 41% sulla parte eccedente i 55.000 euro;
  • per redditi oltre i 75.000 euro la trattenuta è pari a 25.420 euro, + il 43% sulla parte eccedente i 75.000 euro;

Per il Fisco, tra l’altro, il solo tributo IRPEF non è sufficiente a riempire le sue saccocce anche perche, poveri loro, a Regioni e Comuni chi ci pensa?

Ma ci pensano i contribuenti che si troveranno costretti a versare anche le addizionali regionali e comunali.

Le addizionali regionali sono imposte a favore della Regione d’appartenenza da versare attraverso un pagamento suddiviso in 11 rate, trattenute all’interno della busta paga. La percentuale viene stabilita liberamente da ogni Regione ma non deve superare il tetto massimo del 3,3%.

Seguendo lo stesso principio, le addizionali comunali sono tributi a favore del comune di residenza trattenuti in busta paga con una aliquota che non dovrebbe mai superare lo 0,8%. Ci sono, comunque, delle eccezioni come il Comune di Roma che applica un’addizionale comunale dello 0,9%.

È facile intuire che essendo tributi con limiti stabiliti dalla legge ma entro i quali Regioni e Comuni possono godere di una certa libertà di scelta, le cifre da sborsare da parte dei lavoratori (a parità di reddito) variano a seconda del luogo di residenza.

I più sfortunati sono i contribuenti del Lazio che, per esempio, con un reddito lordo di 30 mila euro devono versare circa 800 euro di addizionali IRPEF. I dipendenti meno tartassati sono i risiedenti in Friuli che, sempre per un reddito lordo di 30 mila euro, pagano solo 360 euro all’anno di addizionali.

L’ultimo aspetto riguarda la quota INAIL che però risulta a carico del datore di lavoro: cifra necessaria per pagare l’assicurazione contro eventuali infortuni e/o malattie professionali che potrebbero colpire un lavoratore dipendente. Altro non è che un premio assicurativo che l’azienda elargisce per tutelarsi nei casi di temporanea o totale inabilità al lavoro del lavoratore e che va a finanziare il fondo per l’erogazione delle indennità.

 

Le detrazioni per i lavoratori dipendenti

È l’articolo 13 del TUIR (Testo Unico sulle Imposte e sui Redditi) a stabilire a quanto ammontino e le regole riguardanti le detrazioni spettanti, in caso di reddito da lavoro dipendente e assimilati. Si tratta di cifre che non riducono la base imponibile per il calcolo dell’IRPEF, ma vengono sottratte direttamente dal tributo da versare al Fisco attraverso le trattenute in busta paga.

Le detrazioni per lavoro dipendente rappresentano uno dei pochi strumenti a disposizione dei lavoratori per ridurre la pressione fiscale relativa al proprio reddito e, dalla Legge di Bilancio del 2014, non hanno più subito alcuna variazione. Quindi, anche per il 2019, valgono le detrazioni introdotte a partire dal 1° gennaio 2014, anno in cui è stato aggiunto anche il famoso Bonus Renzi da 80 euro.

Ci sono alcuni aspetti che è fondamentale conoscere a proposito di queste agevolazioni. Uno dei più importanti riguarda il reddito complessivo al fine del calcolo delle detrazioni. Ricordiamo che tale reddito è dato dalla somma di tutte le entrate percepite dal soggetto, al lordo degli oneri deducibili, tra le quali anche il reddito imputabile alla proprietà immobiliare adibita a prima casa con le relative pertinenze.

La rendita catastale va calcolata, dichiarata tra i redditi dei fabbricati e contribuisce a formare il reddito complessivo del contribuente. La stessa però verrà poi sottratta da quest’ultimo attraverso la detrazione per la prima casa per ottenere la base imponibile ai fini IRPEF.

In caso di redditi derivanti da contratti di locazione e assoggettati al regime della cedolare secca oppure per redditi di altra natura, non è possibile sommare le detrazioni ma si deve effettuare una scelta considerando i maggiori vantaggi.

Inoltre, è bene sottolineare che le detrazioni vengono applicate secondo un criterio di decrescenza (maggiore è il reddito dichiarato e minore è l’importo delle detrazioni spettanti per lavoro dipendente) e non ne hanno diritto i contribuenti con un reddito superiore ai 55 mila euro.

Per il calcolo, come vedremo in modo approfondito nel successivo paragrafo, sarà necessario considerare il numero dei giorni lavorativi dell’anno solare, con il presupposto che il conteggio sia  stabilito sulla base di 365 giorni anche in anni bisestili e facendo rientrare giorni di riposo e festività.

 

Come si calcolano le detrazioni da lavoro dipendente

Abbiamo già accennato che per il calcolo delle detrazioni da lavoro dipendente e assimilati si deve prendere in considerazione il periodo lavorativo dell’intero anno, ovvero tutti i giorni che hanno portato al diritto di ricevere una retribuzione sottoposta a ritenuta.

Nel conteggio è necessario comprendere i giorni di riposo e le festività, mentre si devono sottrarre i giorni che non danno diritto ad alcun compenso. Oltre a tener conto dei giorni lavorativi, l’altra regola si basa sulla fascia di reddito di appartenenza del lavoratore.

 

La fascia più bassa è stata fissata a 8.000 euro, al di sotto della quale al lavoratore spetta una detrazione pari a 1.880 euro da rapportare ai giorni lavorativi secondo la seguente formula:

detrazione = 1880 x (giorni di lavoro : 365) 

Un importante fattore da evidenziare è quello che in questa fascia di reddito, e per lavoratori con contratto a tempo indeterminato, la detrazione non potrà  mai essere inferiore a 690 euro indipendentemente dai giorni lavorati nel corso dell’anno; invece per i dipendenti con contratto a tempo determinato, il limite minimo sale a 1.380 euro.

In questa fascia di reddito normalmente, si collocano soprattutto giovani apprendisti, tirocinanti e lavoratori precari che, spesso, stipulano anche più di un contratto di lavoro nel corso dell’anno solare. In molti casi, poter godere di una detrazione minima di 1.380 euro può significare non dover pagare l’IRPEF. Discorso analogo per soggetti che hanno firmato un contratto negli ultimi mesi dell’anno: avendo lavorato un basso numero di giorni possono godere della detrazione minima di 690 euro, ottenendo una notevole riduzione dell’imposta IRPEF oppure non pagandola affatto.

 

La seconda fascia di reddito è quella compresa tra 8.000 e 28.000 euro e per il calcolo delle detrazioni, il meccanismo è un po’ più complesso. Per prima cosa è necessario calcolare un coefficiente moltiplicativo da applicare successivamente. Le due formule sono:

 coefficiente moltiplicativo = (28000 – reddito netto) : 20000

detrazione = [978 + (902 x coefficiente)] x (giorni lavorativi : 365)

 

L’ultima fascia di reddito è quella compresa tra 28.000 e 55.000 euro e anche in questo caso è necessario calcolare il quoziente moltiplicativo attraverso la seguente formula:

quoziente moltiplicativo = (55.000 – reddito netto) : 27000

mentre la formula finale per la detrazione è:

 detrazione = (978 x quoziente) x (giorni lavorativi : 365)

 

Oltre il limite dei 55.000 euro non spetta alcuna agevolazione.

 

Detrazioni da lavoro dipendente: a chi e quando spettano?

Per avere diritto alle detrazioni fiscali da lavoro dipendente, è necessario che siano presenti una serie di elementi durante il concorso alla formazione del reddito. L’aspetto in assoluto più importante è la presenza di uno o più redditi derivanti da lavoro dipendente sia con contratto a tempo determinato che indeterminato. Sono escluse tutte le entrate dovute a pensioni (in questi casi sono previste specifiche detrazioni), ad eccezione dei casi stabiliti dal comma h-bis dell’articolo 49 del TUIR.

Inoltre le detrazioni spettano per i compensi ricevuti da:

  • lavoratori con contratto a progetto (Co.co.pro);
  • lavorativi con contratto di collaborazione continuativa;
  • lavoratori interinali;
  • coloro che percepiscono redditi assimilati come l’indennità mensile di disoccupazione NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego);
  • soci delle cooperative di produzione e lavoro;
  • soci delle cooperative di servizi;
  • soci delle cooperative agricole;
  • soci delle cooperative della piccola pesca.

Rientrano tra i compensi soggetti a detrazione anche le somme corrisposte a titolo di borsa di studio oppure per l’addestramento professionale, sempre che il beneficiario non abbia anche un rapporto di lavoro dipendente con il soggetto che ha provveduto al versamento. Infine, anche i compensi ricevuti da chi svolge lavori socialmente utili e le remunerazioni ai sacerdoti, rientrano tra i redditi che possono godere di queste detrazioni fiscali.

 

Come richiedere la detrazione per lavoro dipendente

Il primo elemento da evidenziare è come l’Agenzia delle Entrate abbia stabilito che il sostituto d’imposta (datore di lavoro, INPS, etc.) sia obbligato a riconoscere le detrazioni indipendentemente dalla richiesta presentata dal lavoratore dipendente. Questo fattore è la principale differenza rispetto alle detrazioni derivanti da carichi familiari. Quindi, il meccanismo è alquanto semplice, perchè avviene tutto in modo automatico.

Spetta al datore di lavoro applicare la corretta detrazione in base ai giorni lavorativi e alla presunta fascia di reddito del lavoratore, inserendo la voce in busta paga. Dal canto suo, il lavoratore deve comunicare, attraverso uno specifico modulo per le detrazioni fiscali, un eventuale reddito complessivo diverso ed indicare su quale ammontare di reddito intenda applicare le detrazioni.

Infatti, nei casi in cui il reddito complessivo sia maggiore di quello inserito dal datore di lavoro e non sia avvenuta alcuna comunicazione allo stesso, le detrazioni spettanti diminuiranno e, a fine dell’anno, attraverso il conguaglio o in fase di dichiarazione dei redditi, dovranno essere restituite dal lavoratore che le ha indebitamente percepite.

La legge non obbliga il dipendente a comunicare l’aumento di reddito e non sono previste né sanzioni amministrative né tanto meno penali in caso di mancato avviso, rimarrà solo una maggior imposta da dover versare in fase di dichiarazione dei redditi o di conguaglio.

Invece, se si avrà l’accortezza di compilare il modulo relativo, il sostituto d’imposta potrà calcolare correttamente le detrazioni e il lavoratore non avrà alcuna successiva sorpresa.

 

Come le imprese possono dare compensi ai dipendenti senza pagare tasse e contributi

Uno dei maggiori problemi dell’Italia è l’elevato livello di tassazione: un vero e proprio cappio al collo per la crescita economica. Un dato su tutti è rappresentato dal cuneo fiscale, ovvero la differenza tra quanto costa un dipendente all’azienda e il netto effettivamente percepito in busta paga. Da anni i vari governi che si susseguono alla guida del nostro Paese mettono tra i punti fermi del loro programma l’abbattimento del cuneo fiscale: in realtà tutto è sempre rimasto alla stregua di una promessa elettorale e, in taluni casi, si è addirittura imboccata la via opposta.

Tuttavia, esistono alcune strategie che le imprese possono adottare per pagare meno tasse da lavoro dipendente e permettere, di conseguenza, al proprio collaboratore di percepire un maggior stipendio netto o godere di alcuni benefici. Vediamo di seguito quali sono questi semplici strumenti:

Il primo è rappresentato dai buoni pasto che possono essere rilasciati dall’azienda in formato cartaceo o elettronico. Il vantaggio di questi titoli è che siano totalmente esenti sia dall’IRPEF che dall’INPS, purché l’importo giornaliero per il singolo lavoratore non superi:

  • 5,29 euro per buoni pasto cartacei;
  • 7,00 euro per buoni pasto telematici.

Nel caso in cui vengano elargite somme superiori, l’eccedenza sarà tassata secondo quanto previsto dalla specifica normativa. Il buono pasto è nominativo, e viene consegnato dall’azienda ai dipendenti con qualsiasi tipologia di contratto di lavoro, potrà essere consumato interamente, solo dall’intestatario, negli esercizi affiliati e senza ricevere alcun resto in denaro.

Il secondo mezzo è rappresentato dai buoni carburante da erogare ai dipendenti per il rifornimento dei mezzi di trasporto utilizzati. In questo caso il buono non è nominativo e per il suo sfruttamento è sufficiente rifornirsi presso il distributore convenzionato. I vantaggi per l’impresa sono una completa deduzione dall’IRES della spesa sostenuta, mentre per il lavoratore c’è l’esenzione da IRPEF e contributi fino ad un importo massimo di 258,23 euro all’anno.

Il terzo strumento sono le cosiddette erogazioni liberali, ossia beni e servizi prodotti o acquistati dall’azienda e ceduti a titolo gratuito ad uno o più dipendenti. Molto spesso sono compensi che prendono il nome di cessioni in natura oppure fringe benefit. La legge stabilisce, tuttavia, un limite annuo di 258,23 euro di erogazioni liberali per singolo dipendente, limite entro cui si ha una totale esenzione fiscale, sia per l’azienda che per il lavoratore.

Quest’ultimo si ritroverà con uno stipendio maggiore senza vedersi aumentare contributi previdenziali e tassazione IRPEF. A differenza dei buoni pasto e carburante, i fringe benefit devono essere inseriti con una specifica voce in busta paga e, di conseguenza, nella Certificazione Unica.

L’ultimo stratagemma per poter alleggerire la pressione fiscale sono i rimborsi forfettari. Sono speciali contributi di spesa elargiti dall’azienda per sostenere i costi delle trasferte lavorative dei propri dipendenti. Naturalmente, anche in questo caso, sono previsti dei limiti oltre i quali tali spese perdono il diritto alla totale esenzione fiscale.

La legge fissa in 46,48 euro il massimo giornaliero per le trasferte in Italia e in 77,47 euro per quelle all’estero. Per importi superiori, l’eccedenza rimane comunque completamente deducibile per l’azienda, ma non per il lavoratore che subirà la tassazione ai fini IRPEF e INPS. Si tratta di un notevole beneficio fiscale soprattutto per il datore di lavoro che potrà godere di una totale deducibilità indipendentemente dal valore delle spese di trasferta, molto meno per il lavoratore vincolato dai limiti imposti dalla normativa.

   

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