Come pagare meno imposte sul trading online

Scritto da Omar Cecchelani il 8 Febbraio 2021 in Fisco e Tasse

La tassazione sulle rendite finanziarie è un argomento che toglie il sorriso a qualsiasi investitore, a maggior ragione se si tratta di trader che fanno della compravendita online di asset finanziari la loro professione. Del resto, l’imposta sostitutiva prevista dal nostro ordinamento tributario, nella misura del 26% sul capital gain, è un balzello fiscale difficile da digerire. Quindi, la domanda che tutti si pongono è se esiste la concreta possibilità di non pagare la tassa sulle plusvalenze generate o comunque poter risparmiare qualcosa relativamente a questo onere.

L’aliquota fissa al 26% è senza dubbio una trattenuta tra le più alte dei Paesi UE, cresciuta negli ultimi anni al pari della voracità dell’Erario. Infatti, fino al 2010, le plusvalenze inferiori a 50.000 euro all’anno ottenute da operazioni di trading online e relative a posizioni aperte al massimo per 7 giorni, non subivano alcuna imposizione. Un vero e proprio paradiso per tutti i trader, che però ha visto la fine con il decreto Salva Italia del 2011 e l’istituzione del regime fiscale sul capital gain con aliquota al 20%.

A partire dal 1° luglio 2014, grazie all’attuazione del Decreto Legge 66/2014, l’imposta sostitutiva sulle rendite finanziarie è passata al 26%. In pratica, restano esclusi solo i guadagni derivanti dalla cessione di titoli di stato italiani, obbligazioni di titoli pubblici regionali e bond di Stati esteri o organismi internazionali, che invece sono tassati al 12,5%.

L’obiettivo comune di qualsiasi operatore e investitore, è quello di provare, per quanto sia possibile, di risparmiare anche sulle trattenute relative alle rendite finanziarie per ridurre il più possibile l’impatto fiscale. Vediamo dunque di capire se esistono delle alternative analizzando nel dettaglio cosa prevede la tassazione in Italia per le attività di trading online.

Prima di iniziare dobbiamo premettere che in quest’articolo cercheremo solo di dare indicazioni di carattere generale, prendendo come paragone i regimi fiscali di altri Paesi esteri. Spesso si sente parlare di trader che, ancora oggi, riescono ad operare senza versare nemmeno un centesimo di imposte. Come vedremo a breve è un’eventualità possibile, tuttavia sottolineiamo sempre l’importanza di utilizzare strumenti e metodi che consentano di restare nel pieno rispetto della legalità.

Indice:

 

Come viene tassato il trading online in Italia?

La regola generale da avere ben chiara è che la tassazione delle rendite finanziarie risulta assoggettata a regimi diversi (risparmio amministrato o dichiarativo) a seconda se la società finanziaria di investimento (soggetto che svolge il ruolo di intermediario) ha sede all’estero oppure in Italia.

Il sistema è piuttosto semplice e prevede le seguenti possibilità:

  • l’intermediario col quale il trader effettua le operazioni finanziarie ha la sede legale, oppure operativa, sul territorio delle Stato italiano. In questo caso le plusvalenze generate da ogni operazione di trading online sono sottoposte al regime del risparmio amministrato. Ciò significa che la società finanziaria assume il ruolo di sostituto d’imposta e corrisponde al beneficiario l’importo al netto, avendo calcolato e decurtato l’imposta sostitutiva al 26%;
  • l’intermediario ha la sede operativa o legale al di fuori dell’Italia. Spetterà al trader applicare la tassazione sui guadagni derivanti dall’attività online, utilizzando il regime dichiarativo. In pratica, dovrà attenersi all’obbligo di inserire in dichiarazione dei redditi, tramite il modello Redditi Persone Fisiche negli appositi quadri RM, RT e RL, gli importi prodotti dalle operazioni eseguite nel periodo d’imposta. Sarà lo stesso trader a calcolare il totale delle plusvalenze, al fine di ottenere la base imponibile su cui applicare l’aliquota al 26%.

Il primo aspetto che appare evidente è la sostanziale differenza tra la modalità di tassazione alla fonte rispetto a quella dichiarativa, che dipende dal luogo dove risiede l’intermediario (società finanziaria, broker, ecc.).

 

Appoggiarsi ad un broker estero per attività di trading online

Scegliere un broker con sede all’estero anziché in Italia comporta, come principale effetto, quello di poter applicare il regime dichiarativo. Spetterà pertanto al trader dichiarare i proventi al Fisco non subendo l’imposizione alla fonte.

E’ buona norma affidarsi a intermediari che abbiamo ricevuto una regolare autorizzazione a livello europeo, potendo così contare sempre su società serie e affidabili che, oltretutto, saranno costantemente sottoposte a controlli da parte delle autorità competenti.

Scegliendo un broker estero il trader detiene il controllo diretto su plusvalenze generate e sulle tasse da dover pagare. A tal proposito non è affatto consigliabile appoggiarsi ad intermediari situati in paradisi fiscali: è sufficiente una società che opera al di fuori dell’Italia con sede e autorizzazione UE. Per conoscere a quali soggetti potersi rivolgere, è sufficiente visitare il sito della CONSOB in cui viene pubblicato un elenco aggiornato di tutti gli intermediari autorizzati ad operare in Italia.

 

Tassazione del trading online con broker estero

L’intermediario con sede all’estero non assume il ruolo di sostituto d’imposta, come avviene avendo la base operativa in Italia, perciò si limita a rendicontare plusvalenze, minusvalenze e interessi relativi al periodo d’imposta. Al trader viene lasciato l’onere di inserire i proventi delle attività svolte nella dichiarazione dei redditi. Tutto il capital gain ottenuto durante l’anno dovrà essere dichiarato inserendo i dati negli appositi quadri nel modello Redditi Persone Fisiche. Di conseguenza, anche appoggiandosi ad un broker estero, non c’è alcuna possibilità di svolgere attività di trading online evitando il pagamento dell’imposta sostitutiva al 26% sulle plusvalenze.

Alcuni potrebbero sottolineare che basterebbe non inserire in dichiarazione dei redditi i guadagni rendicontati dal broker, per non pagarci alcuna tassa. Tecnicamente il ragionamento non fa una piega, e potrebbe anche funzionare, prendendo coscienza però che di fatto si stia compiendo un reato di evasione fiscale, e che l’Agenzia delle Entrate dispone di tutti i dati relativi a conti correnti intestati in Italia e all’estero, con le informazioni che vengono incrociate per rilevare significati cambiamenti della condizione finanziaria del soggetto. Tradotto in altri termini, fare una cosa del genere è caldamente sconsigliato perchè le probabilità di essere “beccati” sono piuttosto elevate.

Tra l’altro, oltre che prendere la decisione più logica e saggia, ovvero quella di dichiarare al Fisco i guadagni da trading online conseguiti con broker esteri, è necessario prestare anche una certa attenzione per compilare la dichiarazione dei redditi in modo corretto per evitare comunque delle pesanti sanzioni su un argomento verso cui il Fisco è particolarmente attento.

 

Non pagare le tasse sul trading online grazie alla residenza fiscale

Un discorso interessante per evitare l’esborso fiscale sul trading online, o ridurne l’aliquota applicata, riguarda la residenza fiscale. Il diritto tributario italiano prevede che un contribuente fiscalmente residente in Italia debba dichiarare la totalità dei suoi redditi nel nostro Paese, indipendentemente dal luogo dove questi siano stati prodotti. Viceversa, un soggetto non residente in Italia è tenuto a dichiarare al Fisco solo i redditi generati sul territorio dello Stato italiano.

Questo è ciò che prevede l’articolo 3 del DPR n. 917/86 e rappresenta il motivo per cui i redditi da capital gain, conseguiti all’estero, sono tassati nel nostro Paese, per chi è residente in Italia.

Di conseguenza se un trader sposta la propria residenza fiscale in un paese straniero, eviterà di versare le tasse sulle plusvalenze al Fisco italiano non dovendo più dichiarare alcun reddito prodotti all’estero. Anche in questo caso però, tra teoria e pratica c’è una grande differenza, visto che quella appena descritta non è una situazione facilmente attuabile, a meno che non ci si trasferisca effettivamente all’estero, rispettando tutta una serie di regole.

 

Residenza fiscale fittizia all’estero

Per trasferire la residenza fiscale all’estero è necessario seguire un preciso iter burocratico. Il soggetto deve innanzitutto cancellarsi dall’Anagrafe della popolazione residente e successivamente iscriversi all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero). Tuttavia, per legge, ciò rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente, visto che la persona deve anche risiedere per almeno 183 giorni all’anno nel nuovo Stato. In aggiunta, l’Amministrazione Finanziaria potrebbe richiedere la presentazione di prove reali (bollette di utenze domestiche, contratto di locazione, atto di acquisto di un immobile, ecc.) per dimostrare di aver effettivamente trasferito la propria dimora abituale dall’Italia allo Stato estero.

Tutto questo ha lo scopo di portare alla luce le cosiddette residenze fiscali fittizie, ovvero falsi trasferimenti al fine di non dichiarare i redditi in Italia evitando così le imposte. Ricordiamo che tale fattispecie costituisce il reato penale di falso in atto pubblico e prevede la reclusione anche fino a due anni, oltre che pesanti sanzioni amministrative.

 

Come trasferire la residenza fiscale all’estero

L’unico modo concreto per non versare le tasse sulle plusvalenze in Italia è trasferirsi realmente all’estero. Quindi, oltre all’iscrizione all’AIRE, si dovranno spostare tutti gli affetti e le attività economiche svolte: in pratica, non si dovrebbe lasciare più alcun interesse in Italia.

Così facendo l’Agenzia delle Entrate non avrà nulla da eccepire e il trader potrà svolgere con la massima tranquillità l’attività ed essere assoggettato al regime impositivo locale. Per ottenere dei vantaggi fiscali non si deve per forza scegliere un Paese inserito nella Black List (paradisi fiscali), ma è sufficiente optare per un luogo con una tassazione più favorevole rispetto a quella italiana, per altro un’impresa tutt’altro che ardua.

 

Tassazione capital gain: dove trasferirsi all’estero?

Fare i bagagli e lasciare l’Italia non è certo una decisione da prendere alla leggera, anche se il pensiero di versare tasse nettamente inferiori rispetto al 26% italiano sul capital gain, per chi fa il trader di professione, può essere un notevole incentivo. Le possibili mete sono davvero tante anche perché è abbastanza semplice trovare Paesi con una pressione fiscale meno opprimente di quelle nostrana.

Se vogliamo rimanere in Europa le soluzioni fiscalmente più vantaggiose sono il Belgio, la Svizzera, la Slovacchia e il Lussemburgo che prevedono l’esenzione totale dell’imposta. Il Regno Unito applica una tassa del 20%, la Grecia un’aliquota al 15%, Malta al 12%, mentre la Bulgaria offre un’imposta unica sul reddito delle persone fisiche pari al 10%, esattamente la stessa tassa prevista per le plusvalenze da rendite finanziarie.

Anche la Romania applica un’aliquota al 10%, mentre in Ungheria e Repubblica Ceca l’imposta sul capital gain è al 15%. In Croazia la tassazione raggiunge il 12%, tuttavia le azioni devono essere tenute per almeno due anni, quindi è un regime poco adatto elle esigenze di chi pratica attività di trading online. Anche la Spagna può essere una buona scelta ma solo se decidiamo di trasferirci in determinante zone, come le isole Canarie in cui si può sfruttare un’aliquota al 15%.

Giusto per spezzare una lancia a favore dell’Italia, è bene ricordare che ci sono anche Paesi decisamente più severi. La Svezia, ad esempio, applica un’aliquota pari al 30%, mentre la Finlandia arriva fino al 34% per importi oltre i 30.000 euro. Chi non fa nessun tipo di sconto è la Danimarca, anzi l’imposta sulle rendite finanziarie arriva al 42% se si supera il limite di 7.413 euro. Infine, Austria e Slovenia poco si discostano dall’Italia e prevedono una tassa nella misura del 27,5%.

 

In quali Paesi extra-UE non si pagano tasse sul capital gain?

Come abbiamo visto, rimanendo in Europa si trovano valide alternative alla tassazione sulle plusvalenze da rendite finanziarie rispetto all’Italia, addirittura in alcune Nazioni si può godere di una completa esenzione. Ci sono anche molti Paesi extra-UE dove non si deve versare nemmeno un centesimo sul capital gain oppure l’aliquota risulta molto conveniente. Ecco una lista delle località fiscalmente più favorevoli:

  • Singapore: rappresenta una delle piazze commerciali e finanziarie più importanti del sud-est asiatico e offre un regime fiscale particolarmente accondiscendente. Chi volesse trasferirsi lì avrà piacere nel sapere che sul capital gain non è prevista alcuna tassa;
  • Malesia: oltre alle temperature gradevoli tutto l’anno e le bellezze naturali, è possibile godere dell’esenzione della tassazione sulle plusvalenze da rendite finanziarie;
  • Hong Kong: destinazione che consigliamo visto che il sistema tributario locale non applica alcuna imposta sul capital gain;
  • Nuova Zelanda: anche la terra dei kiwi non prevede tasse sul capital gain;
  • Cancun: una città messicana famosa come meta turistica e per le sue bellissime spiagge, ma sarà anche apprezzata da chi vuole pagare solo il 10% sulle plusvalenze da trading online;
  • Andorra: questo piccolo principato applica una tassa sul capital gain molto vantaggiosa pari al 10%, ma la riduce a 0 qualora il soggetto possieda meno del 25% dell’asset venduto.

Ognuno in base al proprio stile di vita può decidere se trasferirsi in un Paese del vecchio continente con abitudini vicine a quelle italiane, oppure dall’altra parte del mondo: l’importante sarà quello essere in grado di dimostrare di aver vissuto stabilmente (almeno 183 giorni l’anno) nella nuova dimora per non avere problemi con l’Agenzia delle Entrate.

 

È possibile non pagare le tasse sul capital gain?

Giunti al termine di quest’articolo possiamo affermare che l’unica via legittima e legale di poter evitare l’imposta sostitutiva sul trading online, è quella trasferire la residenza fiscale in un Paese con una tassazione più vantaggiosa. Abbiamo visto che in base alla destinazione scelta possiamo anche ottenere una totale esenzione dell’imposta, mentre in altri casi beneficiamo di una sostanziale riduzione rispetto all’aliquota italiana al 26%. Tuttavia, l’aspetto fondamentale è dover trasferire effettivamente la dimora abituale all’estero e non solo in modo fittizio: in tale frangente si commetterebbe un reato penale, oltre che finire sotto la lente di ingrandimento dell’Agenzia delle Entrate.

Prendendo la radicale decisione di stabilirsi in modo definitivo all’estero, consigliamo sempre di rivolgersi a consulenti esperti in materia con cui pianificare il trasferimento. Il professionista, oltre che preoccuparsi di tutto l’iter burocratico necessario, analizzerà la situazione allo scopo di scegliere un Paese che permetta il miglior risparmio fiscale possibile.

Viceversa, mantenendo la residenza in Italia, non abbiamo alcuna possibilità di evitare il pagamento dell’imposta sulle plusvalenze da attività di trading online, neppure appoggiandoci a intermediari con sede all’estero. In tutto questo discorso rimangono esclusi eventuali tentativi con metodi al di fuori della legalità che, ovviamente, non suggeriamo né tantomeno condividiamo.

 

Plusvalenze e minusvalenze

Quando parliamo di tassazione sul capital gain ci riferiamo, ovviamente all’esborso fiscale dovuto sui guadagni derivanti dalla compravendita di titoli (parlando ovviamente di trading online). L’aumento di valore, dal prezzo di acquisto al prezzo di vendita dei titoli, genera un guadagno su cui, “guarda un po’…” lo Stato italiano ha deciso di piantare il suo dente…

  • Cosa succederebbe però, a livello fiscale, qualora il trader subisse una perdita, ovvero una minusvalenza?

Sinonimo di minusvalenza può essere “capital loss“, ovvero una perdita di valore rispetto a quanto pagato all’acquisto del titolo, perdita che si configura soltanto nel momento in cui il trader decide di vendere il proprio titolo.

L’aspetto più interessante da sottolineare, da un punto di vista fiscale è che, avendo carattere contabile, le minusvalenze possono essere utilizzate per compensare eventuali altri guadagni di pari natura realizzati nello stesso periodo di imposta in cui le stesse sono maturate o nei successivi 4 anni. Questo è fondamentale perchè, la disgrazia di patire un’eventuale perdita azionaria, obbligazionaria o relativa a qualsiasi altro strumento finanziario, può diventare, per lo meno, un fattore favorevole a livello fiscale da non trascurare assolutamente.

   

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2 Comments
Gianfranco

Agosto 23, 2022 @ 21:49

Reply

Nessuno parla mai della Repubblica di San Marino.
In questo Paese, i residenti hanno una tassazione dell’ 8% sulle rendite da Capital Gain; quindi, e questo senza andare troppo lontano ed imparare una nuova lingua.
Ma NESSUNO lo accenna.

Cristian

Dicembre 29, 2021 @ 21:06

Reply

Buongiorno, come viene tassato il capital gain in Indonesia come persona fisica?

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