Chiudere una ditta individuale con debiti: fallimento, dilazione, saldo e stralcio
Quando un imprenditore, titolare di una ditta individuale, non è in grado di far fronte ai debiti accumulati, si trova di fronte ad una strada senza uscita che spesso culmina con l’intraprendere la procedura legale di fallimento.
Purtroppo, proprio il numero delle procedure concorsuali, ha visto una forte crescita a causa della crisi economica, colpendo numerose imprese sia artigiane che commerciali. Il titolare è così costretto a chiudere la propria partita IVA non avendo le risorse economiche per pagare fornitori, eventuali finanziamenti ricevuti da istituti di credito oppure cartelle esattoriali per tasse imposte e contributi non versati al Fisco.
In questo articolo analizzeremo quali sono i rischi che corre l’imprenditore che dichiara fallimento e cosa accade ai debiti residui, e proveremo, inoltre, a fornire alcune soluzioni alternative al fallimento che consentono all’imprenditore individuale di evitare l’onta fallimentare che in Italia può restare come un marchio a vita sulle sue spalle minando irreparabilmente la sua credibilità e, soprattutto, mettendo a rischio, interamente, il suo patrimonio personale e familiare.
Indice:
- Fallimento ditta individuale: i rischi per l’imprenditore
- Chiusura volontaria di una ditta individuale: adempimenti
- Cessazione con ComUnica
- Quanto costa chiudere una ditta individuale
- Pagamento rateizzato dei debiti con lo Stato
- Pagamento rateizzato con piano straordinario
- Saldo e stralcio debiti tra privati
- Saldo e stralcio per debiti con lo Stato
Fallimento ditta individuale: i rischi per l’imprenditore
Il titolare di una ditta individuale in difficoltà, solitamente, prova in ogni modo a resistere per evitare di dover chiudere la propria attività prematuramente. Quando però i debiti diventano insostenibili e non esistono sbocchi, la conseguenza, purtroppo per lui, è solamente quella del fallimento.
In questa situazione quali rischi corre l’imprenditore?
A differenza che nelle società di capitali, in un’impresa individuale, per tutti gli obblighi e i debiti accumulati, risponde personalmente, ed in solido, il titolare dell’attività. Questo significa che il suo patrimonio personale, per intero, potrà essere aggredito da creditori, banche e Fisco dopo aver chiesto e ottenuto il fallimento dello stesso.
Infatti, proprio a seguito della chiusura di una ditta individuale per fallimento, seguendo un ordine ben preciso, tutti potranno rivalersi sui beni personali dell’imprenditore: proprietà immobiliari, terreni, auto, imbarcazioni, etc.
Naturalmente, il recupero dei crediti non avverrà in modo automatico, esistono, infatti, delle specifiche procedure che i creditori dovranno seguire per poter veder soddisfatte le loro pretese che non sempre, però, portano alla completa copertura del credito vantato.
La legge stabilisce, infatti, un elenco di beni di natura strettamente personale e indispensabili per il sostentamento del fallito e della sua famiglia, che non possono essere pignorati. Tra questi rientrano derrate e combustibili, mobili come il letto e il tavolo da pranzo (tranne quelli di alto valore d’antiquariato) ed elettrodomestici di stretta necessità quali frigorifero e lavatrice, ecc.
Anche vestiti, l’anello nuziale, documenti di famiglia, animali da compagnia, o impiegati a fini terapeutici, non rientrano tra i beni soggetti a pignoramento. In alcuni casi, è anche possibile che il giudice possa stabilire l’emissione di un assegno mensile per contribuire al sostentamento del fallito e della famiglia, in modo da garantirgli la sussistenza e il pagamento delle spese mediche, quando necessarie.
Cosa accade se il titolare della ditta fallita è nullatenente?
In queste situazioni a rimetterci sono i creditori, non trovando nessun bene da aggredire. Il mancato saldo dei debiti è comunque un’onta che macchia la reputazione dell’ex imprenditore, causando difficoltà qualora volesse riavviare una nuova attività e, comunque, visto che i debiti non si cancellano, il fallito dovrà fare attenzione per il resto della propria vita a non divenire proprietario di alcun bene aggredibile.
Nell’ipotesi in cui il soggetto volesse in seguito al fallimento riaprire una nuova attività, dovrà, per forza di cose, fare i conti con una certa diffidenza da parte di clienti e fornitori e, anche l’eventuale accesso al credito, presso le banche, non sarà più così semplice.
La via migliore da intraprendere è quella di accordarsi con tutti i creditori, sia che si tratti di semplici fornitori o istituti di credito, cercando una soluzione di pagamento anche dilazionata nel corso degli anni.
Lo stesso discorso vale per i debiti contratti con il Fisco: una saggia decisione è quella di trovare un accordo con lo Stato attraverso un piano di rientro dilazionato e concordato tra le parti, attraverso il saldo e stralcio delle cartelle esattoriali, o sfruttando la transazione fiscale, dovendo però dimostrare di versare in una chiara situazione di difficoltà economica.
Chiusura volontaria di una ditta individuale: adempimenti
Quando si chiude una qualsiasi attività, che si tratti di una ditta individuale o di un’attività professionale, è necessario adempiere a svariate pratiche burocratiche presso tutti gli uffici ed enti competenti.
Gli enti interessati sono: Agenzia delle Entrate, INPS e INAL e, per le ditte artigiane o commerciali, c’è da regolarizzare la posizione con la Camera di Commercio e il Comune in cui si svolge l’attività economica. Il titolare ha una serie di adempimenti da rispettare per non incappare in sanzioni e costi supplementari da sostenere.
Cessazione con ComUnica
Nel momento che si decide di chiudere una ditta individuale è necessario:
- recarsi presso l’ufficio competente dell’Agenzia delle Entrate per la chiusura della partita IVA;
- chiudere la posizione con l’INPS;
- chiudere la posizione INAIL;
- per attività artigianali e commerciali si deve chiudere la posizione con la Camera di Commercio;
- compilare un’autocertificazione SCIA da consegnare al Comune (solo in caso di impresa commerciale).
Le operazioni qui sopra elencate sono tutti adempimenti obbligatori, a cui si dovranno aggiungere anche altre azioni che potremmo definire facoltative ma, in realtà, necessarie quando si chiude una qualsiasi ditta individuale.
Il titolare dovrà preoccuparsi della gestione di eventuali rimanenze di magazzino, disdire il contratto di locazione degli immobili utilizzati, nonché preoccuparsi di interrompere le forniture di energia elettrica, gas, telefono, acqua, etc.
Da un punto di vista burocratico, chiudere una ditta individuale richiede una semplice procedura attraverso la cosiddetta Comunicazione Unica. Il modulo, inoltrato al Registro delle Imprese, consente la contemporanea chiusura delle posizioni con INPS, INAIL e Agenzia delle Entrate.
Per i lavoratori autonomi professionisti che risultano iscritti ad una cassa di previdenza specifica per la propria attività, si dovrà provvedere ad inviare all’ordine, copia della chiusura della partita IVA.
Ricordiamo che il modello ComUnica è entrato in vigore a partire dal 2010, di conseguenza, per le attività aperte prima di tale anno è necessario presentare all’Agenzia delle Entrate il modello AA9/12. Il modulo potrà essere compilato, sia online con accesso ai servizi telematici dell’Agenzia, che in forma cartacea inviandolo tramite raccomandata con ricevuta di ritorno, oppure, presentandosi di persona presso l’ufficio competente.
Quanto costa chiudere una ditta individuale
Chiudere una ditta individuale ha, generalmente, costi molto bassi, soprattutto svolgendo le pratiche in maniera autonoma. In questo caso sarà necessario pagare soltanto alcune marche da bollo da allegare al modello SCIA per il Comune, e un’altra marca da bollo per le attività iscritte presso il Registro delle Imprese: in ogni caso si tratta di cifre attorno ai 50 euro.
Se per la chiusura ci si avvale dei servigi di un commercialista o di un consulente, si dovrà pagare il suo onorario che, tuttavia, non dovrebbe superare i 200 euro.
Pagamento rateizzato dei debiti con lo Stato
Una delle cause che spesso portano al fallimento di una ditta individuale è il mancato versamento delle tasse e l’accumulo di debiti con il Fisco. Qualora si dovessero ricevere una o più cartelle esattoriali, è possibile optare per un metodo di pagamento rateale: sarà sufficiente presentare una apposita istanza attraverso l’invio di una raccomandata, oppure recandosi personalmente ad uno sportello competente per il territorio. Per debiti fino a 60 mila euro si potrà effettuare la domanda anche online.
Finché il soggetto resterà in regola con il piano di dilazione concordato, non verrà considerato inadempiente, quindi, gli enti creditori e l’Agenzia delle Entrate non iscriveranno fermi o ipoteche nè, tantomeno, attiveranno procedure di riscossione coattiva.
L’attuale normativa prevede che per piani di rientro dilazionati concessi a partire dal 22 ottobre 2015, la decadenza della rateizzazione avviene a seguito del mancato versamento di almeno 5 rate, anche non consecutive.
Come abbiamo appena accennato, per debiti fino a 60 mila euro la rateizzazione viene richiesta con una semplice domanda da effettuare anche online. Non serve presentare nessuna documentazione ma è sufficiente la dichiarazione di una momentanea situazione di difficoltà economica. In questo modo si ha l’immediato accesso al piano di pagamento dilazionato fino a un massimo di 72 rate spalmate in 6 anni.
Se i debiti sono, invece, superiori ai 60 mila euro è necessario presentare la domanda, con allegata la documentazione ISEE del nucleo familiare, che certifica la temporanea e obiettiva situazione di difficoltà economica.
Nel caso in cui la richiesta venisse accolta, il soggetto potrà restituire il debito attraverso 72 rate in 6 anni. Ricordiamo che a determinare l’importo di 60 mila euro concorre anche l’eventuale debito residuo di piani di dilazione già in corso. Indipendentemente dal valore del debito, il richiedente può scegliere tra rate di importo costante oppure crescente.
Pagamento rateizzato con piano straordinario
Ci sono molti casi in cui il debitore non è in grado di sostenere il pagamento rateizzato come sopra descritto. In questi casi è possibile fare la richiesta per un piano straordinario che suddivida la cifra dovuta fino ad un massimo di 120 rate in 10 anni ad importi costanti. Si tratta di un’opportunità introdotta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze a partire dal 6 novembre 2013 per venire incontro alle esigenze di sempre più persone alle prese con gravi situazioni economiche e finanziarie.
Per accedervi bisogna dimostrare di non essere in grado di pagare il debito secondo il piano ordinario. È una condizione che si verifica qualora l’importo della rata superi del 20% il reddito del nucleo familiare.
Dati che sono accertati dall’indicatore della situazione reddituale (ISR), riportato nella dichiarazione ISEE. Una volta appurata la grave difficoltà economica legata a ragioni estranee alla responsabilità del richiedente, costui potrà accedere al piano di pagamento straordinario.
Ci sono casi in cui un debitore, dopo aver concordato una dilazione ordinaria a 72 rate, vede peggiorare ulteriormente la propria situazione economica e si trova nell’impossibilità di versare quanto pattuito. Una situazione che può essere risolta facendo richiesta di una proroga, spostando il pagamento a 120 rate in 10 anni.
È necessario presentare una domanda con cui si specifica il motivo che ha causato il temporaneo deterioramento delle finanze. Anche in questo caso, potrebbe essere sufficiente il modello ISEE come contro-prova, altrimenti, serve documentazione che attesti, per esempio, la perdita del lavoro di uno o più membri della famiglia, la nascita di un figlio, gravi problemi di salute, etc.
Saldo e stralcio debiti tra privati
Una soluzione per trovare un accordo bonario tra debitore e creditore è rappresentata dall’offerta transattiva, il cosiddetto “saldo e stralcio”. Le due parti si accordano a ridurre una parte del debito, a fronte, spesso, dell’immediato pagamento di quanto concordato in seconda istanza.
In questi casi quindi, il creditore (privato, banca o società finanziaria) accetta di ricevere una somma più bassa ma a condizione che questa venga pagata immediatamente.
Quando la transazione avviene tra privati, è buona norma trascrivere i contenuti dell’accordo in un documento che attesti la modifica dei vecchi accordi con quelli pattuiti a saldo e stralcio del debito. Tale documento dovrà tutelare entrambe le parti e stabilire, di fatto, la nascita di un nuovo contratto, in modo da evitare che, una volta chiuso l’accordo transattivo, nessuno avanzi più pretese dalla controparte.
Se il creditore è, invece, un istituto di credito o una finanziaria, non sempre sarà possibile proporre un accordo a saldo e stralcio con le modalità sopra descritte.
Spesso la banca segue un iter diverso, ovvero, emette un decreto ingiuntivo nei confronti del debitore, lo segnala in CRIF (centrale rischi finanziari), e potrebbe addirittura cedere il proprio credito ad una società di recupero crediti, che si prenderà in carico la somma acquistandola ad una cifra inferiore di quella nominale.
Così facendo, il debitore potrà trattare direttamente con la società di recupero crediti proponendo un importo più basso di quanto dovuto, a saldo e stralcio del debito originario con la banca. Va da se che la società di recupero crediti cercherà di accordare al debitore una soluzione a saldo e stralcio solo nel caso in cui la cifra offerta sia maggiore di quanto pagato alla banca per acquisire il credito stesso.
Il vantaggio per il debitore che riesce a trovare un accordo a saldo e stralcio coi creditori è abbastanza scontato e consiste in una importante riduzione dell’importo da pagare, che può arrivare anche fino al 50%, se non di più, nei casi più disperati.
Per quanto riguarda il creditore, un primo ragionamento potrebbe far pensare che risulti la controparte maggiormente danneggiata da un accordo di questo genere in quanto incasserebbe una somma notevolmente inferiore rispetto a quella originariamente pattuita.
In realtà, ci sono dei risvolti positivi da non sottovalutare, infatti, un accordo bonario eviterà al creditore di dover agire in giudizio contro il debitore e anticipare ingenti somme di spese legali per le procedure di recupero ma, soprattutto, di attendere i tempi lentissimi della giustizia italiana che, troppo spesso, portano ad un nulla di fatto perchè magari, nel frattempo, il debitore fallisce, non ha più il becco di un quattrino, è scappato in un paradiso fiscale o, purtroppo per lui, è deceduto, lasciando il creditore con una causa vinta sulla carta che difficilmente, però, porterà alla soddisfazione del proprio credito.
Come si dice in Italia: “sporchi, maledetti e subito“…
Saldo e stralcio per debiti con lo Stato
La Legge di Bilancio del 2018 ha introdotto la possibilità di azzerare i debiti nei confronti del Fisco pagando una somma concordata di minor valore, ovvero utilizzando il metodo del saldo e stralcio.
La nuova normativa consente di stralciare le cartelle esattoriali versando una cifra di importo pari a:
- 16% del debito dovuto con un indicatore ISEE fino a 8.500 euro;
- 20% del debito dovuto con ISEE compreso tra 8.500,01 e 12.500 euro;
- 35% dell’importo dovuto con ISEE a partire da 12.500,01 fino a 20.000 euro.
Si tratta di un accordo relativo alla cosiddetta “Pace Fiscale” che intende venire incontro a persone, imprese, ditte individuali e lavoratori autonomi che versano in gravi difficoltà economiche.
Possono accedere al saldo e stralcio tutte le persone fisiche, liberi professionisti titolari di partita IVA, imprese o ditte individuali, tranne le società. È necessario rispettare determinati requisiti ed in particolare:
- avere un ISEE del nucleo familiare inferiore o uguale a 20 mila euro;
- lo stralcio deve riguardare esclusivamente cartelle esattoriali affidate all’agente di riscossione nel periodo compreso tra il 1°gennaio 2000 e il 31 dicembre 2017.
Altro aspetto da sottolineare riguarda i debiti ammessi alla procedura di saldo e stralcio. In pratica riguarda solamente:
- omesso versamento di contribuiti INPS;
- mancato pagamento di imposte derivanti dalle dichiarazione dei redditi annuali (IRPEF e IVA).
Oltre ad avere tutti i requisiti necessari sopra elencati, è possibile aderire al saldo e stralcio anche per debiti su cui risulta aperta una procedura di liquidazione (meglio conosciuta come legge sul sovraindebitamento) oppure una procedura di rottamazione delle cartelle. Il pagamento può avvenire in una sola soluzione oppure dilazionato nel tempo, con importo a cui verrà applicata una percentuale di interessi pari al 2%.
Per quanto riguarda le scadenze, la data entro cui presentare la domanda era il 30 aprile mentre l’Agenzia Riscossione ha tempo fino al 31 ottobre per decidere se accettare la richiesta ed avvertire il debitore dell’accoglimento della stessa.
Il primo pagamento è previsto entro il 30 novembre con versamento in un’unica soluzione dell’intero importo o di una prima rata pari al 35% di quanto dovuto.
Le altre eventuali rate hanno scadenze il 31 marzo e 31 luglio degli anni successivi, fino alla completa estinzione del debito.
Se hai trovato interessante questo articolo, per approfondire, ti consiglio il mio libro "PAGARE MENO TASSE" che ti svelerà i segreti che i commercialisti ti tengono volutamente nascosti...
NUNZIO
Gennaio 23, 2020 @ 09:42
ho appena letto informazioni utili per poter svolgere nei migliori modi la soluzione ai miei problemi. grazie