False partite IVA e presunzione di lavoro subordinato

Sempre più di frequente, le aziende, quando hanno necessità di cercare del personale si affidano a collaboratori professionali con partita Iva rispetto ai contratti di lavoro dipendente. Il mercato del lavoro da qualche anno a questa parte, da quando la crisi è iniziata, è profondamente cambiato e, specie chi sognava il posto fisso garantito a vita, ha dovuto cambiare le prospettive ed adeguarsi ad una maggiore flessibilità.

Gli imprenditori oggi assumono, come personale dipendente, soltanto chi è strettamente necessario per svolgere le attività garantite, mentre, per quanto riguarda le attività secondarie la tendenza è ormai quella di affidarsi al lavoro temporaneo (consulenti, collaboratori, prestatori occasionali, lavoratori a voucher) o addirittura fornitori con partita iva, liberi professionisti.

Le aziende oggi sono formate da un ridotto team di persone di fiducia che compongono il personale dipendente intorno alle funzioni di base e un team esterno per le commesse temporanee. Il grosso problema è che il confine tra il lavoro dipendente subordinato e il lavoro autonomo a partita Iva è troppo spesso molto fine e a volte le differenze, quasi, non  esistono.

Perchè le aziende preferiscono sempre più spesso circondarsi di consulenti  e collaboratori a partiva Iva piuttosto che assumere lavoratori dipendenti?

Intanto è utile sottolineare che le prestazioni rese da un titolare di partita Iva sono da considerarsi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (contratto di lavoro a progetto) qualora ricorrano almeno due di questi presupposti:

  • durata complessiva della prestazione con lo stesso committente superiore a 8 mesi all’anno per 2 anni consecutivi;
  • compensi derivanti dal rapporto di collaborazione superiori all’80% del suo fatturato annuo per due anni consecutivi;
  • disponibilità di una postazione di lavoro fissa nella sede del committente.

Vincoli che differenziano di molto il rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato da quello del collaboratore a partita Iva, ciononostante, sono ancora molti gli imprenditori che, a loro rischio e pericolo, se ne infischiano di queste regole e bypassano le assunzioni servendosi di lavoratori a partita Iva gestiti come lavoratori subordinati.

I vantaggi di questa soluzione, infatti, sono parecchi, in primo luogo la maggior flessibilità, poi il risparmio in termini di contributi previdenziali: il lavoratore autonomo paga meno contributi rispetto a quanti ne pagherebbe l’azienda assumendo un lavoratore dipendente e quindi il ricarico del lavoratore autonomo è sicuramente meno pesante che pagare stipendio, contributi e altre tutele al lavoratore dipendente.

Ma ancor più inflazionata è la tendenza ad utilizzare le collaborazioni occasionali a ritenuta d’acconto che risulta ancor più vantaggiosa rispetto alle precedenti soluzioni perchè è totalmente esente dal pagamento dei contributi previdenziali.

Il grosso problema di questo genere di collaborazioni, è che devono essere:

  • realmente occasionali e non continuative: il soggetto infatti dovrà svolgere un numero limitato di collaborazioni relative alla stessa commessa, e non potrà svolgere troppe collaborazioni con la stessa azienda nel corso dell’anno;
  • senza alcun tipo di organizzazione: l’organizzazione infatti da adito alla presunzione che il lavoro del prestatore d’opera non sia occasionale ma abituale e professionale;
  • limitate nel tempo: il limite temporale di tali collaborazioni non può superare i 30 giorni consecutivi;
  • con un tetto massimo di ricavi: i compensi occasionali, per il lavoratore, non possono superare i 5.000 euro l’anno lordi. Oltre quella cifra scatta l’obbligo contributivo da parte del lavoratore che dovrà iscriversi alla gestione separata dell’INPS e pagare i contributi sull’eccedenza oltre i 5.000 euro.

Tornando all’utilizzo di lavoratori a partita Iva è utile sottolineare come il rapporto di lavoro di questo tipo, sarebbe vantaggioso per entrambi i soggetti, anche per il lavoratore stesso che si troverebbe a dover pagare l’Irpef, non sul percepito, come se fosse lavoratore dipendente, ma sull’utile, ovvero sulla differenza tra costi e ricavi della sua attività.

Stesso discorso per i contributi previdenziali che il lavoratore a partita Iva sarà costretto a pagare in percentuale ai suoi utili e non su quanto effettivamente percepito come un lavoratore dipendente.

E’ ovvio che questo risparmio, da parte dell’azienda in primis, e da parte del lavoratore in secondo luogo, potrà essere spartito tra i due soggetti garantendo un rapporto di lavoro meno costoso per l’azienda ma ugualmente remunerativo per il lavoratore.

Questi vantaggi per entrambi i soggetti, come abbiamo visto, fanno si che molti rapporti di collaborazione tra aziende e lavoratori autonomi nascondano, in realtà, dei veri e propri rapporti di lavoro subordinato attuando una sorta di forzatura ai rapporti coi collaboratori a partita Iva.

Ma è utile sottolineare che l’aumento del ricorso al lavoro di terzi con partita Iva che celano dei veri e propri rapporti di lavoro dipendente, è spesso molto rischioso perchè le aziende impiegano questi lavoratori in modo esclusivo e per 12 mesi continuativi l’anno o secondo le esigenze dell’azienda senza alcun accorgimento.

Questi rapporti di lavoro anomali, se scoperti, possono essere assimilati al lavoro subordinato, infatti, se un fornitore emette fatture ad una sola azienda, è come se fosse un dipendente dell’azienda stessa e, la Finanza e gli organi della Previdenza, sono molto attenti in questi ultimi anni a controllare queste collaborazioni.

Non voglio entrare nel merito della questione, ma è chiaro che se un’azienda, specie in un periodo di crisi come quello attuale, non se la sente di assumere del personale e decide di ricorrere alle partite Iva per avere maggior flessibilità e soprattutto risparmiare parecchi euro tra contributi previdenziali, Irpef, ferie, permessi, tredicesima, Tfr, malattie ed infortuni, lo deve fare seguendo alcune accortezze per evitare la presunzione di lavoro subordinato.

Sarebbe utile che il lavoratore autonomo non emetta solo 12 fatture l’anno, tutte e 12 riconducibili allo stesso soggetto, e ancor peggio se tutte con lo stesso importo. Chiunque capirebbe che questo sarebbe equiparabile ad un rapporto di lavoro subordinato con una sorta di stipendio. Il lavoratore a partita Iva dovrebbe avere più di un committente e dividere su più aziende i propri ricavi.

E’ fondamentale non andare oltre i limiti di durata e fatturato con un singolo committente previsto dalla normativa, a meno che non si tratti di un professionista iscritto ad un ordine professionale per cui la riforma Fornero ha escluso la presunzione di subordinazione. E’ fondamentale evitare che il lavoratore con partita Iva abbia una postazione di lavoro fissa all’interno dell’organizzazione aziendale e svolga in parte il proprio lavoro presso altra sede.

Cosa succede se il rapporto di lavoro tra azienda e partita Iva diventa  lavoro subordinato?

Il fatto di far lavorare una partita Iva mono-committente con una postazione fissa all’interno dell’azienda e con un proprio fatturato prodotto maggiore dell’80%  dal committente stesso, comporta, se scoperto dalla polizia tributaria, la trasformazione del rapporto di lavoro a partita Iva in:

  • co.co.pro (contratto a progetto) se si individua uno specifico progetto;
  • lavoro subordinato a tempo indeterminato se non vi è un progetto.

In questo ultimo caso  la collaborazione si convertirà in lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto originale, con tutto quel che ne consegue.

In caso di riqualificazione del rapporto di lavoro da “partita iva fittizia” a  lavoro subordinato a tempo indeterminato, i datori di lavoro, si troverebbero a dover adempiere ad una serie di obblighi fiscali, retributivi e contributivi arretrati, comprese le sanzioni, sin dalla data di costituzione del rapporto.

Se invece, la prestazione lavorativa si configura come co.co.pro., gli oneri contributivi che derivano dall’obbligo di iscrizione alla gestione separata dell’INPS saranno a carico:

  • per 2/3 del committente;
  • per 1/3 del collaboratore.

Anche in questo caso, qualora i versamenti debbano comunque essere effettuati in forza della “conversione” del rapporto, il collaboratore avrà il diritto di rivalsa nei confronti del committente della percentuale che era a suo carico (1/3).

Ovviamente il lavoratore avrà anche diritto a tutte le tutele per i lavoratori subordinati, come le prestazioni Inps, le relative malattia, maternità, infortunio, ecc.

L’unica ancora di salvezza per il datore, al fine evitare la trasformazione del rapporto di lavoro, è la cosiddetta “prova contraria” ovvero, la dimostrazione che pur sussistendo due dei tre requisiti sopra descritti, esista un vero e proprio rapporto di lavoro autonomo e non subordinato per evitare la trasformazione del rapporto di lavoro.

Esistono altri casi però, in cui i rapporti di lavoro tra committente  e partita Iva non danno luogo ad alcuna presunzione di lavoro subordinato o parasubordinato. Sono infatti escluse le prestazioni con le seguenti caratteristiche:

  • il lavoratore ha competenze teoriche di grado particolarmente elevato acquisite con percorsi formativi rilevanti e/o maturate nel corso di anni di esperienza;
  • la retribuzione annua del lavoratore non sia inferiore a 1,25 volte il reddito minimale stabilito ogni anno dall’Inps per il versamento dei contributi previdenziali (quindi intorno ai 18.000 euro);

Se la seconda opzione è chiara, ed è facilmente calcolabile in modo assolutamente matematico, la prima è di natura più teorica e fa riferimento a prestazioni che devono avere dei particolari coefficienti di difficoltà e professionalità e non essere prestazioni di mero carattere esecutivo o ripetitivo. Per chiarire questo punto, il ministero ha definito nel dettaglio cosa si intende per “grado particolarmente elevato” ed “esperienze rilevanti“, in particolare

  • per grado particolarmente elevato il ministero intende il possesso di un diploma, un titolo universitario, particolari qualifiche e apprendistato professionale o di alta formazione e ricerca;
  • per rilevanti esperienze si intende il possesso di qualifiche ottenute lavorando per almeno 10 anni come subordinato, così come lo svolgimento dell’attività autonoma per almeno 10 anni;

E’ ovvio che per essere considerati validi i diplomi o titoli di studio conseguiti, così come le esperienze maturate devono essere pertinenti all’attività da svolgere.

E’ esclusa la presunzione di rapporto di lavoro subordinato quando le prestazioni svolte dal lavoratore autonomo richiedono l’iscrizione ad un albo, ruolo o elenco professionale qualificato: ingegneri, notai, chimici, architetti, avvocati, dentisti, medici, farmacisti, veterinari, biologi, geologi, psicologi, consulenti del lavoro, giornalisti, commercialisti, ecc.

Questo significa che con un po’ di accortezza è possibile risparmiare anche sull’approvvigionamento del personale e soprattutto godere di maggiore flessibilità senza buttar via soldi tra tasse e contributi.

Mi rendo conto che sarebbe più bello poter consigliare agli imprenditori di assumente personale e creare posti di lavoro ma, in un periodo come quello attuale, in cui le certezze esistono solo a breve termine, è bene, restando nella legalità, cercare la soluzione migliore per evitare di “regalare” soldi al fisco o rimanere imbrigliati in situazioni scomode con personale che approfitta delle tutele di un rapporto a tempo indeterminato.

   

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4 Comments
loli

Marzo 15, 2021 @ 13:05

Reply

Quanto durano contenziosi simili e che spese hanno?
Purtroppo mi trovo anch’io in questa situazione e in questo periodo di Covid sono ugualmente “invitato” a presentarmi in azienda, rischiando la salute in primis mia e degli altri che vivono come me questa condizione.

Luca

Marzo 12, 2020 @ 17:52

Reply

Buonasera,
avrei una domanda in quanto ho un contenzioso aperto con la mia ex azienda.
Ero configurato come partita IVA mentre in realtà svolgevo a tutti gli effetti le mansioni di lavoratore subordinato.
Domanda:
potendo dimostrare i criteri di subordinazione e quindi la natura di falsa partita iva del mio contratto, ho diritto al reintegro indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda? Oppure per aziende al di sotto dei 15 dipendenti si applicano altre norme?
Luca

Omar Cecchelani

Luglio 27, 2020 @ 12:38

Reply

Questa è più una domanda che dovrebbe fare ad un avvocato o a un consulente del lavoro… Per quella che è la mia esperienza, non essendo mai stato assunto come lavoratore subordinato, ma avendo tutte le caratteristiche che configurano tale tipo di rapporto, ha diritto al reintegro indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda…

tsrm

Agosto 28, 2019 @ 15:24

Reply

Un quesito ancora irrisolto riguarda le false partite iva con Albo (specie nella sanità privata)
Nel caso si avessero tutti gli indici di subordinazione citati nella norma, può la sola iscrizione ad un albo escludere dall’ essere riconosciuti false partite iva?

Le cliniche private sono ormai piene di tecnici di radiologia a partita iva che del libero professionista non hanno nulla, di infermieri, di tecnici di laboratorio, di fisioterapisti e persino di medici false partite iva!
Tutti svolgono un lavoro da dipendenti a tutti gli effetti! con badge, con orari e turni e prestazioni stabilite dal committente, nei suoi locali e con i suoi macchinari, lavoratori che devono programmare le assenze e sostituire i colleghi quando assenti, lavoratori palesemente subordinati e con compensi inferiori al dipendente!
Tutte partite iva che in realtà rientrano nell’organizzazione aziendale.
Sono consentite solo perchè iscritte ad un Albo?

[ Nelle varie norme che si sono succedute non è mai stata eliminata una clausoletta che nei fatti va a consentire l’uso di false partite iva!
cioè la clausola che esclude dal riconoscimento di falsa partita iva proprio gli iscritti ad un albo (ormai tutti hanno un albo, soprattutto in sanità!).
Poi si è aggiunto anche “l’alto grado di istruzione” (ormai la laurea breve ce l’hanno tutti) e il compenso superiore ad 1,25 volte del livello minimo imponibile ai fini previdenziali (e i committenti infatti si tengono al limite, tant’è che cliniche e case di cura non sono neanche tenute a rispettare i contratti collettivi nazionali per i privati) ].

Ringrazio chi riuscisse a risolvere il dubbio!

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