Abuso di diritto tributario: cedere le quote alla suocera o ad un socio fittizio

Scritto da Omar Cecchelani in Imprese

Da un punto di vista fiscale, l’abuso di diritto si configura in quei comportamenti che portano alla cosiddetta elusione fiscale, ovvero: atti, fatti e negozi produttivi di una vantaggio fiscale indebito che, di per se, non violano alcuna disposizione ma, in qualche modo, aggirano obblighi e divieti previsti dal nostro ordinamento.

In questo ambito rientra a pieno titolo la “pianificazione fiscale aggressiva” che si pratica mettendo in piedi tutta una serie di operazioni artificiose che, prese singolarmente sono del tutto lecite e legali, ma hanno come preciso scopo quello di eludere l’imposizione comportando un vantaggio fiscale indebito.

L’abuso di diritto è quindi una pratica abusiva che l’Agenzia delle Entrate cerca di contrastare con tutti i mezzi a sua disposizione, ma molto difficile da scovare, in quanto trattasi di comportamenti del tutto leciti, che di per se non violano le disposizioni di legge ma che, nel modo in cui vengono utilizzati, comportano dei vantaggi fiscali impropri: non una vera e propria evasione fiscale ma un raggiro delle normative.

Un esempio su tutti, per comprendere di cosa sto parlando, sono le società di comodo nei paesi off-shore: non è reato di per se essere proprietari di una società off-shore situata in un paradiso fiscale, ma mettere in piedi operazioni, sulla carta lecite e legali, tra la società oltreconfine e la propria società in Italia, oppure destinare buona parte degli utili di impresa in un Paese con fiscalità agevolata è un modo come un altro per sottrarre denaro al Fisco e, proprio a questo, l’Agenzia delle Entrate sta provando a porre rimedio.

Insomma vengono dichiarate come operazioni che configurano l’abuso di diritto quelle che vengono effettuate senza una valida ragione economica se non quella del risparmio fiscale per sottrarre in modo anomalo denaro al Fisco.

La G.d.F. per stabilire se un’operazione ha una valida ragione economica fa un semplice osservazione: “Questa operazione ha un senso se non quello di sottrarre soldi all’erario? Esiste una buona ragione che non sia il solo risparmio fiscale per mettere in piedi tale operazione?

Ecco che molte operazioni, con questa chiave di lettura, diventano per lo meno sospette, come ad esempio l’utilizzo di società off-shore, l’importazione di prodotti da società estere che sono rivenduti al prezzo di costo, le eccessive sponsorizzazioni sportive e, il caso che prendiamo in considerazione in questo articolo, l’intestazione di quote societarie alla suocera, al nonno pensionato, oppure al prestanome senza reddito.

Perchè intestare le quote di una SRL o una SAS, parlando di realtà medio piccole, ad un pensionato, o ad un prestanome? Qual’è la convenienza fiscale di tale operazione?

Molto semplice.. se sei socio di una SAS o di una SRL con due soci al 50% e ti ritrovi ad avere 100mila euro di utile netto l’anno, avrai come reddito imponibile 50mila euro a testa.

Su una SRL dovrai pagare la ritenuta al 26% sui dividendi e, soprattutto, l’INPS sulla totalità del reddito di impresa suddiviso sui due soci lavoratori:

INPS SRL su 100.000 € di utile suddiviso su due soci (24% di 100.000) = 24.000 €

Supponiamo che a questi due soci se ne aggiungano altri 2, magari le suocere pensionate dei due componenti la compagine societaria alle quali vengono cedute poco meno della metà delle quote.

Bella scelta quella di covare la serpe in seno!” Ma non è la figura della suocera in quanto tale ad interessarmi ora, ma il suo profilo fiscale.

La suocera è normalmente una persona over 70 che vive di pensione, che quindi, di norma, non ha altri redditi, se non qualche affitto percepito, ed un profilo che risulta quasi immune dai controlli della Guardia di Finanza.

Cosa può nascondere una signora 70enne che vive di pensione? Perchè la polizia tributaria dovrebbe indagare su chi, in fondo, “ha già dato” e vive serenamente facendosi mantenere dall’INPS?

Non ci sono motivi, ed ecco perchè i pensionati sono le figure ideali per ricevere quote societarie intestate che comportano un’aumento dei loro redditi che, comunque, se fatto intelligentemente non fa accendere alcun campanello d’allarme e consente di perpetrare in questa pratica molto comune che, come vedremo, porta ad un bel risparmio fiscale.

Torniamo all’esempio dei due soci della SRL e aggiungiamo alla compagine societaria le due suocere pensionate. Le quote saranno ora così suddivise: il 52% ai due soci lavoratori (26% a testa) e il restante 48% (24% a testa) alle suocere che saranno soltanto socie di capitali.

Nell’ipotesi fatta in precedenza, ovvero quella dei 10o.ooo € di utile, con la nuova compagine societaria, si noterebbe subito come le due suocere, in quanto socie non lavoratrici, non pagherebbero INPS sulla loro quota di utile, pertanto, i contributi previdenziali calcolati soltanto sul reddito dei due soci lavoratori si ridurrebbero al 24% di 52.000 € e quindi € 12.480 contro i 24.000 € della situazione precedente!

Che dire? Un bel risparmio, con uno stratagemma che sulla carta è perfettamente legale… Sulla carta…

Un risparmio ancora più ingente se consideriamo il caso della SAS, infatti, nelle società di persona in cui l’intero utile si considera distribuito ai soci in base alle loro quote di partecipazione, l’inserimento di un paio di “soci fittizi“, ovviamente accomandanti, oltre a ridurre, come nel caso delle SRL, l’imponibile su cui calcolare i contributi previdenziali, comporta anche un frazionamento del reddito su più soggetti con conseguenze abbassamento delle aliquote impositive IRPEF.

Torniamo al caso precedente fermo restando che per l’INPS, il discorso resta analogo a quello della SRL con un risparmio di 11.520 €.

Passiamo all’IRPEF che verrà calcolato in base all’intero reddito della società suddiviso sui soci in base alle loro quote di partecipazione.

Senza i due soci fittizi ci si ritroverebbe in questa situazione:

  • Socio 1 – reddito imponibile 50.000 €
  • Socio 2 – reddito imponibile 50.000 €

L’Irpef calcolata su 50.000 € è data dalla seguente operazione (6.960 € + 38% di 22.000 €) = 15.320 €

Questo significa che:

  • Socio 1 dovrà pagare 15.320 € di IRPEF
  • Socio 2 dovrà pagare 15.320 € di IRPEF

Per un TOTALE di 30.640 €

Aggiungiamo alla compagine le due suocere, socie fittizie accomandanti con le percentuali sopra indicate. Con 4 soci, i redditi risulteranno così ripartiti:

  • Socio 1 – reddito imponibile 26.000 €
  • Socio 2 – reddito imponibile 26.000 €
  • Socio 3 – reddito imponibile 24.000 €
  • Socio 4 – reddito imponibile 24.000 €

Calcoliamo ora quanto ognuno dei soci dovrà pagare di IRPEF:

  • Socio 1 (3.450 € + 27% di 11.000 €) = 6.420 €
  • Socio 2 (3.450 € + 27% di 11.000 €) = 6.420 €
  • Socio 3 (3.450 € + 27% di  9.000 €) = 5.880 €
  • Socio 4 (3.450 € + 27% di  9.000 €) = 5.880 €

Per un TOTALE di 24.600 €

Direi che c’è poco da dire, il risparmio in una SAS, aggiungendo alla compagine societaria le due suocere, nella situazione appena descritta ammonta, tra INPS e IRPEF, a 17.560 €, alla faccia di chi dice che le suocere sono dannose!

Scherzi a parte, l’inserimento, seppur fittizio, di due soci accomandanti, in società comporta dei risparmi fiscali ingenti facendo un’operazione di per se lecita.

Ma è proprio tutto regolare? 

Se inserire, attraverso una cessione di quote, due soci accomandanti in un SAS, fossero anche le suocere, è un atto formalmente lecito e regolare, la G.d.F. potrebbe contestare che questa operazione sia totalmente priva di alcuna ragione reale economica se non quella di ottenere un ingente risparmio fiscale e contributivo.

Questa situazione configura un vero e proprio abuso di diritto e, se la G.d.F. non può invalidare la cessione di quote, nè tanto meno contestare la composizione della compagine societaria, potrebbe però, disconoscerne gli effetti riuscendo a dimostrare che le due suocere, poco hanno a che fare con la società, ma sono soltanto messe li ad hoc per consentire ai due soci lavoratori di dimezzare il peso dei contributi previdenziali e le aliquote IRPEF.

Questo comporta il fatto che i contributi previdenziali e l’IRPEF dovranno essere ricalcolati come se nella società le due suocere non ci fossero!

In base alla nuova normativa sull’abuso di diritto si configura un danno nei confronti dell’ordinamento tributario quando si compiono «operazioni prive di sostanza economica che realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti» in quanto si tratta di atti «inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali».

La norma dice anche che non ricorre l’abuso di diritto quando l’operazione è qualificabile come legittima ricerca di un risparmio fiscale e quando si tratta di operazioni che costituiscono «violazione di specifiche disposizioni tributarie», in quest’ultimo caso infatti si parlerà di evasione e non di elusione.

La normativa parla di operazioni per le quali non è configurabile l’abuso di diritto e le definisce qualificabili come la legittima ricerca di un risparmio fiscale. Il discrimine tra operazioni legittime e abuso di diritto è la valutazione di  quando un’operazione sia da considerarsi “ricerca di un legittimo risparmio fiscale” e quando un “abuso di diritto“.

Per questo ci viene in aiuto la Cassazione affermando che: “… il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extra-fiscali”.

Questo significa che, gli organi preposti al controllo (G.d.F. e Agenzia delle Entrate) per la tassazione, non si fermino all’apparenza esteriore dell’atto, ma ne verifichino la sostanza e l’utilità.

Nel nostro caso appare piuttosto bizzarro l’inserimento, tramite cessione di quote, di due settantenni come socie di capitali, in una compagine societaria con due soci lavoratori, con la sola motivazione che servissero i loro 10.000 euro di capitale conferito per tirare avanti.

Una motivazione banale può essere contestata dall’amministrazione finanziaria che potrebbe non considerare, a livello tributario, gli effetti di tale cessione. Riassumendo, i presupposti affinchè si possa parlare di abuso di diritto sono:

  • operazioni prive di sostanza economica;
  • ottenimento di vantaggi fiscali non spettanti al contribuente;
  • l’essenzialità del vantaggio fiscale per il compimento dell’operazione.

L’abuso di diritto non si configura invece quando ad animare talune operazione, che possono anche comportare un risparmio fiscale, ci siano finalità e valide ragioni extra fiscali particolarmente rilevanti e non marginali.

Tali ragioni extra fiscali sono considerate valide, ed escludono l’abuso di diritto, quando sono, ad esempio, poste in essere per esigenze amministrative o organizzative: l’inserimento di due soci operativi in una SAS, se da un lato consente il vantaggio fiscale di frazionare su più soggetti il reddito di impresa, permette all’azienda di acquisire anche maggior forza lavoro e più elevate competenze.

Ecco che in un caso del genere non si configurerebbe abuso di diritto perchè la causa prima di tale operazione sarebbe da ricercarsi nel miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa, o professionale del contribuente.

Basterà, per escludere l’abuso del diritto, che ricorra una valida ragione extra fiscale anche se l’operazione presenta i requisiti richiesti per configurare l’elusione fiscale (vantaggi fiscali indebiti, loro essenzialità, assenza di sostanza economica dell’operazione realizzata).

Come vediamo, il confine tra operazioni lecite ed operazioni che potrebbero costituire abuso di diritto e quindi inquadrate come elusione fiscale, è molto labile e spesso difficilmente riscontrabile. In generale, le operazioni più a rischio sono:

  • operazioni di scissione;
  • trasformazione di società:
  • fusione tra società;
  • cessione di quote;
  • cessione di crediti;
  • prestito ai soci.

E tutte quelle operazioni che possono nascondere più o meno velatamente motivazioni di solo risparmio fiscale.

   

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